PER LA REGIONE AUTONOMA ROMAGNOLA
Alla memoria di A.
Spallicci e di tutti quelli che si
sono battuti per
l’Autonomia della Romagna.
Grazie alle battaglie autonomistiche che il
MAR (movimento per l’autonomia della Romagna) porta avanti da
anni, il tema Romagna autonoma è diventato per i romagnoli un tema
di grande attualità e lo diventerà ancor di più nel corso delle
imminenti elezioni amministrative.
Senza alcun dubbio il grande merito di questa attualità deve
essere attribuita ad alcuni autorevoli personaggi romagnoli
guidati dall’Onorevole Stefano Servadei, ma vana sarebbe stata la
loro lodevole fatica se il problema non fosse profondamente sentito
anche da larghissimi strati della popolazione romagnola, ne fa fede
le quasi 90 mila firme raccolte e i comitati del movimento
disseminati per tutta la Romagna.
Le sacrosante ispirazioni
autonomiste dei romagnoli sono recentemente approdate nel parlamento
nazionale, infatti è in atto una revisione costituzionale di alcuni
articoli il cui fine è quello di permettere ai romagnoli un
democratico pronunciamento referendario.
Creare una nuova regione comporta
una serie di modificazioni istituzionali fra cui la delimitazione
amministrativa di una area, ebbene lo scopo primario di questo
scritto è proprio quello di dare un contributo all’indispensabile
designazione di un confine. Data la premessa il problema qui più
trattato riguarderà in particolare il confine segnato dal fiume
Sillaro, ma saranno pure sollevati e discussi alcuni aspetti
riguardanti l’autonomia romagnola, con particolare riguardo ai
vantaggi e agli svantaggi a cui i romagnoli saranno soggetti al
seguito di detta autonomia, questo per dare la possibilità ai
romagnoli di arrivare al referendum con un minimo di informazione
per far si che possano esprimere il loro parere “in coscienza”.
L’IMPORTANZA DEI CONFINI
Quello dell’importanza dei
confini è a mio parere un problema trascurato dai legislatori,
infatti spesso vengono, con incredibile leggerezza, messi o levati,
senza che ci si renda conto dei risultati, quasi sempre spiacevoli a
cui si va incontro. Mettere un confine dove non c’è mai stato,
col risultato di dividere aree omogenee , o levarne uno
secolare, col risultato di unire popolazioni diverse, significa
creare delle incomprensioni o a volte anche dei conflitti.
Prima di fare una
legge i legislatori dovrebbero studiare a fondo la storia delle
varie popolazioni, in tal caso capirebbero la ragione per cui una
legge è capita e “rispettata” in alcune zone e meno in altre,
la ragione è che ogni popolo è “frutto” della sua storia e
che perciò è indispensabile conoscerne il loro passato. Al riguardo
delle leggi vi è un detto che i legislatori non possono non tenerne
conto: le leggi devono essere come i
vestiti, cioè devono aderire perfettamente alle persone a cui sono
destinate.
Da qui la necessita di
evidenziare con confini ben precisi le varie aree. Se questa analisi
è giusta, occorre rivedere la concezione legislativa, occorre
varare sempre meno leggi a carattere nazionale, e vararne sempre di
più a carattere regionale, e per far questo è indispensabile
evidenziare sempre di più i confini regionali, anzi, occorrerebbe
in qualche caso rivedere tali confini, e questo si può fare solo
studiando le diversità etniche delle varie popolazioni.
Al riguardo di
questo punto di vista, occorre prendere atto che l’Europa è
previdente e preveggente , infatti, essendosi accorta che i confini
nazionali sono per la stragrande maggioranza frutto di guerre o di
accordi internazionali, cioè “fasulli”, si è autodefinita
l’Europa delle regioni
e conseguentemente consiglia di evidenziare i confini regionali
senza preoccuparsi degli esistenti confini nazionali. Quando in
campo europeo si consigliano le macro regioni, non si intende
l’unione di regioni per farle più grandi, ma si intende che,
quando le etnie combaciano, si possono e si devono unire anche
regioni di diverse nazionalità.
Il problema confini è un problema
vecchio come l’uomo, una delle prime cose che fece l’uomo
primitivo , dopo aver provveduto a procurarsi il cibo ed un luogo
per ripararsi, è sicuramente stato quello di delimitare una “sua
area”. D’altronde questo avviene anche fra gli animali, infatti
anche loro delimitano i loro territori.
La stragrande maggioranza delle
guerre antiche e moderne sono dovute a problemi di confine, questo
per dire che con i confini non si deve scherzare, in caso contrario
si creano immancabilmente dei conflitti.
L’istituzione di un
consorzio fra alcuni comuni, indetto dalla giunta regionale
Emiliano- Romagnola, è il classico esempio di come i problemi di
confini siano presi con leggerezza; si cerca di unire insieme, senza
tener conto che da tempi immemorabili
vi è in loco il confine
SILLARO, i comuni del circondario
imolese, cioè romagnoli, con alcuni comuni bolognesi cioè emiliani,
si tratta di una “unione” innaturale ed antistorica, che non può
non creare incomprensioni, infatti , pur essendo quest’ultima
solo una proposta, ha già generato vivaci proteste.
Se i legislatori si ostinano, in
quanto in altre faccende affaccendati, a non approfondire
personalmente ed adeguatamente il “problema” confini, dovrebbero
almeno tenere conto dei numerosi contributi degli studiosi del
“ramo” cioè degli storici. Pur prendendo atto che gli storici ,
a causa della complessità del problema, incontrano anche loro non
poche difficoltà a stilare contributi esaurienti, non pare
giustificata la quasi totale indifferenza dei legislatori verso i
contributi storiografici.
Al riguardo delle difficoltà che
si incontrano studiando i confini: già al primo approccio ci si
rende conto quanto il compito sia arduo, infatti ci si trova
immediatamente di fronte ad una matassa inestricabile creata da una
moltitudine di confini sia civili che ecclesiastici: nazionali,
regionali provinciali comprensoriali, comunali, diocesani,
parrocchiali, ecc. Pur storicamente spiegabili, alcuni di questi
confini sono talmente assurdi che non è più accettabile la loro
esistenza, si rende perciò necessario effettuare una salutare e
non più rimandabile revisione, ma attenzione, i confini antichissimi
non devono essere assolutamente toccati! Ma come si fa a distinguere
i confini antichissimi da quelli relativamente antichi? Due sono i
modi che garantiscono una scelta sicura, primo; che la loro
funzione di confine, abbia avuto una quasi ininterrotta continuità
storica, secondo: che poi è una conseguenza del primo, che abbia
mantenuto e tenuto diviso la lingua, le usanze , il folklore ecc.
Mettendo a confronto
il Senio ed il Sillaro, cioè due corsi di acqua che in epoca romana
erano di identica importanza e seguendone la secolare evoluzione,
abbiamo la dimostrazione che il sopra citato metodo offre buone
garanzie di attendibilità. In epoca romana il corso del fiume Senio
fungeva da confine fra il territorio di Faenza ed di Imola, quello
del Sillaro fra Imola e Claterna, questa ultima una città che si
trovava nella via Emilia in prossimità del torrente Quaterna, il
cui territorio sarà successivamente incorporato a quello di
Bologna.
Molto probabilmente
questi due fiumi hanno avuto tale funzione anche nei primissimi
tempi del cristianesimo, ma ben presto il Senio non ha più
segnato o ha segnato solo parzialmente il susseguente confine
diocesano, da parte sua invece il Sillaro ha sempre segnato e
segna tutt’ora detto confine. Altrettanto dicasi per il confine di
comitato, cioè il confine medioevale fra le varie città; il corso
del Senio, diversamente da quello ininterrottamente segnato dal
Sillaro, lo ha segnato solo per brevi periodi. Per non parlare dei
confini provinciali e comprensoriali, segnati dal corso del Sillaro
e mai dal corso del Senio. Come mai queste vistose differenze? Presto
detto; il confine segnato dal Sillaro, diversamente dal confine
segnato dal Senio, è un confine, che essendo antichissimo, è ben
radicato nella popolazione, e conseguentemente non è mai venuto meno
alla sua funzionalità. Per spiegarmi meglio:
quando in un posto vi è da tempi remoti un confine naturale, in
questo caso segnato da un corso d’acqua, per ogni qualsiasi altra
necessità di segnare un confine , si ricorrerà a tale percorso. in
quanto ,essendo già radicato nella popolazione, meglio si presta a
tale uso.
Forte di questa
convinzione, cioè che il Sillaro, anche quando i documenti
tacciono, abbia segnato il confine fra l’area imolese e l’area
bolognese, che poi corrisponde anche al confine fra l’Emilia e la
Romagna, mi sono messo alla ricerca di tracce o di notizie indirette
che confermino la giustezza di questa “teoria”,
ed è grazie ai risultati conseguiti, che questo mio lavoro può
essere, al riguardo, considerato una novità.
STUDI SUL SILLARO CONFINE DELLA
ROMAGNA.
Che il Sillaro è il confine fra
l’Emilia e la Romagna, non è solo il parere della stragrande
maggioranza degli studiosi, ma lo si trova scritto anche in molti
autorevoli dizionari, purtroppo in nessuna carta geografica moderna
tale confine risulta segnato.
Tre
sono le ragioni per cui
necessiterebbe delimitare e segnare una volta per sempre un confine
fra Emilia e Romagna. Prima:
Come è noto la nostra regione si chiama Emilia, trattino,
Romagna, già la presenza del trattino lascia intendere che si tratta
di due entità diverse, ma all’epoca della costituente , cioè
quando si decise di fissare le regioni, era detta Emilia e Romagna.
La presenza di questa (e) significa inequivocabilmente che si tratta
di due regioni distinte e ben diverse. Purtroppo accadde un “
pasticcio”; in una seduta parlamentare, con scarsa presenza di
legislatori, passò un emendamento ove si chiedeva la soppressione
della voce Romagna.
Successivamente, al seguito delle vivace proteste di moltissimi
parlamentari, la voce Romagna fu rimessa, ma, senza che nessuno se
ne accorgesse, nel posto della (e) fu messo l’attuale trattino. Se
si prende in mano l’elenco delle regioni discusse nel corso della
costituente, cioè quelle presentate nel 1863 dal Maestri, che
più o meno corrispondevano a quelle presentate un decennio prima dal
Correnti, ci si renderà conto che l’Emilia e la Romagna erano
considerate due regioni diverse, ma che per ragioni di “ordine
pubblico”, romagnoli considerati
“esseri socialmente pericolosi”,
si ritenne opportuno tenerle unite. Oggi quella “pericolosità”
non esiste più, perciò è giunto il
momento di evidenziare nei fatti tale diversità. Ebbene, logica
geografica vuole che le aree diverse debbano essere chiaramente
delimitate e questo può essere fatto solo designando un chiaro
confine.
Seconda
: in Romagna, vi sono dei prodotti tipici romagnoli, cioè
prodotti legati alla nostra storia , alla nostra gente , alla
nostra tradizione culturale, cioè prodotti DOC, ebbene una delle
prime norme necessarie alla tutela di questi prodotti è quella di
delimitarne chiaramente i confini territoriali, in caso contrario
non è possibile esaltarne la necessarie diversità ed unicità.
Questo vale per i prodotti romagnoli ma anche per i prodotti tipici
delle altre regioni, Emilia compresa.
Terza:
L’indizione di un possibile referendum che dia la possibilità ai
romagnoli di esprimersi al riguardo di una eventuale Romagna
Autonoma, mette in evidenza la necessità di segnare un confine. Non
si vede in caso contrario come sia possibile effettuare una
regolare raccolta di firme, come sia possibile sapere quali siano i
cittadini chiamati al voto, e in caso di risultato referendario
affermativo, come sia possibile sapere quale sarà il confine della
nuova regione. Segnare un confine non è quindi solo un atto
necessario, ma anche urgente.
Ma per quale ragione
questo indispensabile confine non è ancora stato segnato? Non
certamente per la mancanza di richieste, di queste ve ne sono state
parecchie e in qualche caso pure accompagnate da migliaia di firme,
purtroppo il consiglio regionale emiliano –romagnolo, cioè l’ente
incaricato alla segnatura, si è sempre opposto. Le ragioni del
persistente rifiuto non sono mai state chiaramente motivate, ma vi
sono buone ragioni per credere che la ragione principale sia quella
di impedire che venga indetto il sopra citato referendum. Il non
volere segnare un confine significa pure non tenere in
considerazione i secolari pareri degli storici e degli antichi
legislatori, infatti già 500 anni fa, hanno iniziato a venire
alla luce scritti che mettevano in evidenza la necessità di segnare
un confine fra l’Emilia e la Romagna e che questo doveva essere
segnato dal corso del fiume Sillaro. Un avvenimento significativo:
anno 1475, per mettere fine alle continue discussioni al riguardo del
vero confine della Romagna, a conferma che anche in tale periodo il
tema era di grande attualità, papa Pio IV, fu costretto ad
intervenire con un suo Breve per specificare chiaramente che il
confine doveva essere segnato “dal
Sillaro e dalla strada di Dozza.” Evitando
di elencare le numerose carte geografiche in cui il Sillaro
delimita chiaramente la Romagna , una elencazione che sarà comunque
fatta più avanti, passiamo ora in rassegna alcune opere il cui fine
è stato quello di esaltarne la romagnolità.
Nel
1818, il Placucci da alle stampe gli
Usi e pregiudizi dei contadini della
Romagna, nel 1840, vede la luce il
vocabolario romagnolo-italiano
del Morri, per non dire La Romagna
opera fondamentale che il Rosetti scrisse nel 1894 . Troppo lungo
sarebbe elencare tutti i contributi dati alle stampe, esiste infatti
al riguardo una sterminata bibliografia. Non tutti questi scritti
hanno comunque come tema il Sillaro, in alcuni, come per esempio
quello del Vesi, Ragionamento intorno
ai veri
confini della Romagna, scritto nel
1841, il tema era se Bologna era da considerarsi emiliana o
romagnola, si è trattato comunque sempre di contributi al riguardo
del confine fra l’Emilia e la Romagna. Come già detto per la
stragrande maggioranza degli autori, il Sillaro è il vero confine
della Romagna, ma non sono mancati anche studiosi fermamente
convinti che per moltissimi anni il confine della Romagna sia stato
invece segnato dal corso del Panaro, cioè da un fiume che si trova
fra Modena e Bologna.
Prima di passare in rassegna le
vicende storiche del confine fra l’Emilia e la Romagna, mi preme
segnalare, per il loro singolare contenuto, due scritti di autori
moderni, uno è del Balzani , l’altro è del Cavazza.
Il “Balzani pensiero” merita
di essere particolarmente commentato in quanto gli oppositori della
autonomia Romagnola lo considerano il loro “Vangelo”.
Dai suoi scritti e
dalle fonti che riporta traspare chiaramente che il Balzani è uno
storico ben documentato, perciò al riguardo delle testimonianze che
lui riporta mi pare che non ci sia niente da obiettare, non tutte
accettabili sono invece le conclusioni che questi ha ricavato da
tali testimonianze. Si può concordare con lui che il “sentirsi
romagnolo” è un sentimento non
antichissimo, ma non si può non riconoscere che è un “sentimento”
ben radicato in Romagna e perciò non “giovanissimo”. Forse è
più antico il “sentirsi emiliano”?
Se i Romagnoli, pur essendo espressamente ricordati da almeno 7
secoli, Dante li ricorda più volte, sono per il Balzani un popolo
“immaginato”, se la Romagna , pur essendo ricordata da ben 13
secoli, è da considerarsi una regione “immaginata”; se il
confine segnato dal Sillaro, un confine che, come la presente
ricerca dimostrerà , da almeno 18 secoli, salvo brevi periodi, ha
sempre tenuto distinto due differenti aree geografiche, è da
considerarsi un confine “immaginato”, che dire delle altre
popolazioni, delle altre regioni e degli altri confini? Coerenza
vorrebbe che, forte delle sue convinzioni , il Balzani mettesse in
discussioni il ”diritto di essere regione” di quasi tutte le
regioni italiane e che fra le pochissime degne di essere tali,
lasciasse la Romagna. L’impressione che ho rimasto del Balzani è
che questi ha visto, ma eccessivamente ingigantito, il “pelo”
nell’occhio
della Romagna e non abbia volutamente
vedere l’evangelico “palo” che
si trova negli occhi
della stragrande maggioranza delle altre regioni. Mi sembra perciò
assurdo voler usare le convinzioni del Balzani per dimostrare
l’inconsistenza della regione Romagna.
Lo scritto del
Cavazza, se non contenesse una proposta davvero singolare, non
meriterebbe nessuna segnalazione. Questi, in un suo recente scritto
pubblicato nel Pensiero Mazziniano,
propone di
levare la parola Romagna dalla
dicitura “Emilia- Romagna”, in modo che l’intera regioni sia
denominata solo Emilia. Chi ha letto qualche libro di storia, si
rende immediatamente conto dell’assurdità di tale proposta,
levare un nome storicamente ricordato da ben 13 secoli per lasciare
solo un nome, che dopo una presenza in epoca romana, è rimasto in
ombra per ben 13 secoli , può solo significare “ violentare la
storia.”. La proposta del Cavazza si commenta da sola.
VICENDE STORICHE DEL CONFINE
SEGNATO DAL SILLARO.
Anzitutto una
avvertenza: già ho in parte trattato questo tema ( Il
Sillaro confine della Romagna,
ma essendo questo un tema vastissimo, vi ritornerò prossimamente
con un altro articolo dal titolo Giurisdizione
civile ed ecclesiastica di Imola e Faenza in epoca romana.
Oltre alle vicende storiche del
confine della Romagna segnato nel corso dei secoli dal corso del
fiume Sillaro, sarà preso in considerazione anche la secolare
“posizione” geografica di Bologna, cioè se questa ha fatto
parte anche della Romagna, oppure solo dell’Emilia. Si è
trattato di una necessaria indagine, che, come si vedrà, ha
illuminato molti oscuri aspetti.
Il Sillaro nasce in località Tre
Poggioli , poi, dopo un percorso di 73 km , sfocia nel Reno
La presente ricerca riguarda solo
la parte più dibattuta del suo percorso, cioè il tratto a
“cavallo” della via Emilia.
Confine
naturale.
Questo fiume segna anzitutto un
ben accentuato confine geologico, infatti i gessi sono ben presenti
solo nella riva orientale, questo spiega la differenza di fauna e di
flora che si riscontra lungo il suo percorso.
Confine antropologico.
Nel 1879, il colonnello medico
Ridolfi Livi riceve dal ministro della guerra dell’epoca,
l’incarico di effettuare una indagine antropologica su tutto il
regno e dopo averla effettuata ”fotografa” i risultati
raggiunti tratteggiando le varie aree geografiche italiane in base
alla consistenza cefalica: ebbene, dando uno sguardo alle varie
cartine si noterà un ben diverso tratteggio in corrispondenza del
corso del fiume Sillaro. Si tenga presente che, a parere di molti
antropologi, l’indice cefalico, cioè il rapporto geometrico fra
lunghezza e larghezza del cranio, è il più importante degli indizi
della diversità delle razze; perciò non si può non essere
sorpresi nel constatare un tratto distintivo di tale portata in
corrispondenza di un così piccolo corso di acqua. Anche il più
scettico degli studiosi dovrà ammettere che tale diversità
etnica non può essere frutto di recenti stanziamenti di
popolazioni, ma di antiche popolazioni.
Confine di epoca Villanoviana
Nel periodo che va dal IX al V
secolo a.C, questo fiume ha diviso popolazioni con culture diverse.
Dice il Mansuelli e lo confermano
sia la Bermond Montanari che il Colonna, che il Villanoviano
Romagnolo è diverso da quello bolognese; cotesti studiosi fanno
infatti notare che in Romagna i più importanti aspetti della
cultura materiale, (armi, ceramica, oggetti ornamentali e
funerari) si contrappongono omogeneamente a quelli felsinei.
Confine in epoca gallica.
A parere di Calvetti
e di Servadei, esiste una contrapposizione ”etnopolitica” fra
emiliani, eredi dei Galli Boi, e
i romagnoli eredi dei Galli Senoni, ma dalle testimonianze storiche
questo non risulta chiaramente. Dice Livio che i Senoni dopo essere
calati nella area Cisalpina, si stanziarono fra i fiumi Esino ed un
fiume romagnolo che, a parere di molti studiosi sarebbe il Montone,
cioè il fiume che passa fra Forli e Faenza. Questo significa che
almeno nei primi tempi non tutta la Romagna era sotto i Galli
Senoni, una buona fetta si sarebbe trovata sotto i Galli Boi. La
prospettata derivazione del Senio dai Senoni, farebbe ritenere
fondata l’ipotesi che ad un certo momento i Senoni siano risaliti
verso il territorio dei Boi, in tal caso il Calvetti ed il Servadei
avrebbero pienamente ragione.
Confine in epoca romana.
Nei primissimi tempi
del dominio romano, le nostre zone facevano parte di una non ben
definita Gallia Cispadana, solo all’epoca di Augusto il territorio
romano viene diviso in regioni. A quel tempo le regioni non avevano
un nome, erano identificate solo grazie a dei numeri, le nostre
zone furono inglobate nella VIII° regione. A parere di molti
studiosi la VIII° regione corrispondeva alla attuale regione
Emilia- Romagna, questo è vero solo in parte, infatti comprendeva
dei territori che ora non ha più ( Oltrepò Pavese e Mantovano), ed
era mancante di territori ora facenti parte della nostra regione (
Ferrarese e Sarsinate). Contrariamente a quello che qualcuno scrive,
al tempo di Augusto (31 a.C. - 14 d.C.) non esisteva alcuna regio
Emilia: infatti Plinio il Vecchio
(23-79 d.C.) nella sua descrizione della regio VIII° non usa mai il
nome Emilia.
Solo al seguito di
una divisione amministrativa avvenuta verso la fine del II secolo
d.C, le regioni iniziarono ad essere identificate con un loro
nome, ebbene il nostro territorio regionale venne incluso nelle
regioni Aemilia e
Flaminia . Non
è chiaro quale fosse esattamente il territorio di queste due
regioni. Stando ad un elenco fatto alcuni decenni dopo, l’Aemilia
era unita alla Liguria e la Flaminia era unita al Piceno..
Considerato che
questi temi sono molto contestati, ritengo opportuno farne un
doveroso approfondimento. Iniziamo col cercare di conoscere a quale
data risale il primo ricordo di una regione chiamata Aemilia.
A parere di molti, il primo ricordo si troverebbe negli Epigrammi del
poeta romano Marziale, cioè verso la fine del I° secolo d.C. Non
è chiaro ciò che avrebbe effettivamente detto Marziale, questi,
trovandosi a Foro di Cornelio (Imola) e avendo spedito il suo
III Libro, dice che si trova nella regione
attraversata dalla via Emilia. Nel
Libro VI, avendo spedito un altro libro, dice dalla
Emilia, ma non ricorda
espressamente la
regione Emilia. Perciò è difficile
dedurre da Marziale, che al suo tempo esistesse una regione così
chiamata: molto probabilmente la sua seconda espressione è solo un
modo sintetico e colloquiale per indicare, appunto la regione
attraversata dalla via Emilia e non il nome ufficiale della regione.
Non si può escludere, ma sarebbe molto strano, che fra il libro III
ed il libro VI, vi sia stato il “trapasso” da “via
a “regio”, al
riguardo le fonti tacciono.
Il primo ricordo
ufficiale cioè amministrativo di una regione chiamata Emilia,
risale all’epoca di Commodo
(180-192), ma a tale epoca si trova già ricordata pure la regione
Flaminia.
Perciò a mio parere non è mai
esistita in epoca romana una” regio Aemilia” che corrispondesse
territorialmente all’attuale regione Emilia Romagna, quando
comparve la prima volta tale dicitura, si intendeva la attuale
Emilia e altre zone fra cui la Liguria Altrettanto dicasi per
Flaminia, almeno per i primi tempi , si intendeva il territorio
della attuale Romagna ed altri territori marchigiani.
Vediamo ora se è
possibile individuare , nel corso di tutto il periodo romano, quale
era l’esatto confine fra l’Emilia
e la Flaminia,
precisando che, a parere di molti,
tale confine era segnato dal fiume Panaro, per alcuni il Santerno,
per pochissimi, il Sillaro.
Iniziamo l’indagine
chiedendoci la ragione per cui la regione Flaminia aveva tale nome;
c’è chi dice che ha preso tale nome perché attraversata da una
anonima strada, ebbene una strada che dalla via Emilia
, tenendo il crinale fra il Sillaro e
l’Idice , andava verso la Toscana, è stata da tempo
rintracciata, si tratta della cosi detta Flaminia “minor”.
Ebbene , secondo il Susini, tale strada aveva pure un tragitto
“padano”, cioè andava verso la “bassa”, seguendo più o meno
il corso dell’attuale Reno, perciò lungo il confine della
Romagna. Effettivamente una strada chiamata Flaminia che dalle
colline imolesi arriva al mare, si trova chiaramente evidenziata
nella carta geografica che il Coronelli disegnò nel 1707. Non
dovremo sorprenderci se un giorno constateremo che questa strada
attraversava tutta la Romagna e si congiungeva alla via Flaminia
proveniente da Roma. D'altronde
all’epoca dei Carolingi, il tratto romagnolo della via Emilia era
detto Flaminia.
Vi sono perciò buone ragioni per
ritenere che in epoca romana il confine fra la Flaminia e l’Emilia
fosse segnato dal Fiume Sillaro.
Nel IV secolo vengono
istituite varie “provincie ecclesiastiche”, ebbene la Emilia
faceva parte della giurisdizione
milanese, la Flaminia
invece dipendeva dalla romana.
(Da una lettera scritta da S.
Ambrogio, a quel tempo vescovo di Milano, molti studiosi hanno
dedotto che sicuramente Imola facesse parte della giurisdizione
milanese. La stessa lettera farebbe pensare che anche Faenza avesse
la stessa dipendenza, ma come già annunciato ritornerò
prossimamente su questo specifico tema.)
Confine nel periodo
barbarico.
Le nostre zone,
essendo continuamente attraversate da orde barbariche, erano di fatto
“terre” di tutti o di nessuno , sarebbe perciò assurdo cercare
di individuare l’esistenza di qualche confine. Due notizie
indirette meritano comunque di essere riportate, non tanto per
problemi di confine ma in quanto segnalano la situazione geografica
di Bologna: scrive Zosimo che Alarico, re dei Visigoti, nel 408,
essendo diretto a Rimini, oltrepassata Bologna , avrebbe
attraversato “tutta l’ Emilia”;
nella prima metà del V° secolo, è
testimoniata in Italia la presenza di Sarmati, popolo di provenienza
iranica, ebbene, alcuni di questi si trovavano a Bologna”città
della Emilia”. Quindi, Bologna in
tale periodo, non era in Romagna, ma in Emilia.
Confine
Esarcale-Longobardo-Franco.
Questo è sicuramente il più confuso e perciò
più contestato confine.
Nonostante che il
Diehl, cioè il maggior studioso di questo periodo, abbia evidenziato
per tale periodo, l’indeterminatezza dei confini, “difficile
se non impossibile determinare i confini Esarcali”, molti
studiosi asseriscono quasi inappellabilmente che il confine
dell’Esarcato, sia nel periodo Bizantino che nel periodo
Longobardo, che nel periodo dei Carolingi, “ed
anche oltre”
sia stato , salvo brevi periodi, segnato continuamente dal corso del
fiume Panaro, perciò, a loro parere, un confine “secolare”,
cioè “il vero confine della
Romagna” Le note che seguiranno
non intendono smentire l’esistenza di un confine Panaro,
un confine storicamente ben
documentato, ma far presente che detto confine è stato, nel corso
delle conquiste Longobarde, spesso male interpretato , e
successivamente è stato confuso, in quanto gli storici antichi, a
cui poi hanno attinto molti storici moderni, avevano tenuto in
troppa considerazione le varie “donazioni “ dei Franchi a favore
dei Papi, molte delle quali sono poi risultate dei falsi colossali.
Perciò il Panaro, più che un confine di un vero territorio, spesso
era solamente il confine di terre che i
Papi pretendevano. Da una attenta
analisi di alcuni documenti, risulta, contrariamente al parere di
molti storici, che il Sillaro a più riprese ha segnato il confine
fra Esarcato, cioè il territorio bizantino e la Langobardia, cioè
il territorio occupato dai Longobardi.
Procediamo con ordine
: finita la bufera barbarica, arrivano nelle nostre zone i
Bizantini, i confini che loro creano hanno lo scopo di proteggere
da tutte le parti la città di Ravenna. Una loro linea confinaria
da più fonti ricordata (Catalogo Madrileno, Paolo Diacono ecc), fu
tracciata a metà del versante appenninico, ed era detta
Provincia delle Alpi Appennine.
Con l’arrivo in Italia dei
Longobardi, la situazione dei confini cambia radicalmente, ogni tappa
della inesorabile avanzata longobarda verso Ravenna, significava
un nuovo confine. Verso il 600, il confine viene a trovarsi nella
linea Luni-Monselice, verso il 640 diventa il corso del Panaro.
Stando alle cronache dell’epoca, sembra che per un lungo
periodo, i Longobardi non abbiano mai oltrepassato tale confine.
Nel 727 il re
longobardo Liutprando, parte per l’ennesima volta alla conquista
di Ravenna, l’impresa , stando al racconto di Paolo Diacono, gli
riesce solo in parte, infatti conquista alcune città Esarcali fra
cui Bologna e un non ben specificato Ducato
di Persiceto. Imola, in questa
occasione, non viene ricordata.
Questo Ducato
di Persiceto, successivamente
ricordato nel 733 in occasione di un altro tentativo di conquista,
segnò per un certo periodo il confine fra Bizantini e Longobardi.
Molto si è discusso
e si continua a discutere sull’esatta posizione e sui confini di
questo ducato, l’opinione
più diffusa è che si trovava fra Bologna e Modena, il cui centro
poteva essere la città di San Giovanni in Persiceto.
Vediamo di
approfondire cotesto problema storiografico, in quanto interessa
particolarmente il tema che stiamo trattando. Nel 748 il vescovo
Felice di Ravenna dice che le terre di sua competenza “vanno
dal “Limes Persiceti” al mare,” e
successivamente, precisando meglio dice “ tali
terre che vanno da Imola al mare, corrispondono al confine Esarcale
del 582, sotto l’imperatore Maurizio.
In vari documenti che
successivamente riguardano il Ducato di Persiceto vengono ricordate
alcune località che si trovavano nel limite orientale di questo
ducato; Pedriolo, Lignano, e Monte
Cellere, ebbene dette località si
trovano nelle immediate vicinanze del Sillaro.
Da tutte queste
testimonianze si ricavano notizie importanti: che un tratto del
Limes Persiceti ,
cioè il confine formatesi al seguito della avanzata longobarda del
727, si trovava fra Imola e Bologna, e non fra Bologna e Modena, e,
molto interessante, in quanto non riportata da altre fonti, il
confine Esarcale, almeno attorno nel 582, si trovava sulle stessa
linea, cioè sul Sillaro!
Ritorniamo alle
avanzate longobarde per vedere se vengono ricordati altri confini. Da
due testimonianze, indirette ma sicure, risulta che nel 743 il nuovo
confine era segnato dal fiume Santerno, tentiamo di localizzarlo
esattamente: crinale dalla parte montana fino alla via Emilia, difeso
dai castelli di Monte Battaglia, di Limisano e Limadiccio, poi
proseguimento in pianura lungo un tratto della via Longa, difeso dal
castello di Limitealto, ed il corso antico del Senio –Santerno
che, come è noto passava vicinissimo a Bagnacavallo. Una conferma
che questo tracciato poteva corrispondere ad un limes
è costituito dal fatto che è ricordata in loco una forestum
magnum, una vasta area delimitata
dal corso antico del Senio-Santerno, che nel 744 Liutprando donò
alla chiesa faentina. Non è chiaro quanto abbia durato questo nuovo
confine, ma sicuramente non molto, infatti, come abbiamo visto, nel
748, cioè all’epoca dell’arcivescovo ravennate Felice, il
confine fra longobardi e bizantini si trovava al limes
Persiceti, oltre Imola, cioè sul
Sillaro.
Non si può non prendere atto che
all’epoca detto confine era molto “ballerino”, ma occorre
tenere conto, che seppur non sempre documentato , deve per forza
essere stato segnato dal corso del Sillaro, in caso contrario sarebbe
difficile spiegare le differenze culturali fra i territori
delimitati da questo fiume, differenze che non si riscontrano nel
Senio-Santerno e tanto meno in corrispondenza di altri corsi di
acqua. Si pensi anche solo alle alla misurazioni delle terre: al di
là del Sillaro veniva fatta con la pertica longobarda di 12 piedi,
mentre al di qua si usava la pertica romana di 10 piedi. A
dimostrazione dell’esistenza e della lunga durata di questo
importante confine, sono state trovate, lungo il Sillaro, resti di
fortificazioni.
Fino al 774, cioè al termine
della dominazione longobarda, non risulta che detto confine abbia
subito delle variazioni, mentre invece, secondo alcune fonti, col
dominio dei Franchi, il confine sarebbe diventato di nuovo il
Panaro.
A questo punto,
considerati i ” buoni rapporti” che subito si instaurarono fra
Papi e Franchi, mi pare opportuno ripetere la doverosa precisazione
già fatta: il Panaro, più che un
confine di un vero territorio, spesso era solamente il confine di
terre che i Papi pretendevano.
Nonostante i buoni
rapporti, donazioni, privilegi ecc, non mancarono lotte per il
potere fra imperatori e Papi, fra Papi e Vescovi, fra conti e
marchesi, perciò periodo confuso con continue variazioni
territoriali. Difficile distinguere i confini ecclesiastici dai
confini civili, al riguardo è stata fatta molta confusione, un
esempio per tutti: considerato che grazie ad alcune donazioni, la
giurisdizione ecclesiastica ravennate, a volte detta anche Esarcato
di Ravenna , arrivava quasi alle porte
di Milano, quando si diceva “ Bologna
in Romagna,” non si doveva intendere
che Bologna faceva parte della Romagna, ma che faceva parte della
giurisdizione ecclesiastica ravennate. Perciò, al seguito di questa
importante constatazione, quando si cerca la posizione territoriale
che la città di Bologna ha avuto nel tempo, occorre sempre
distinguere se si tratta di documenti civili, oppure ecclesiastici.
Molti studiosi, non avendo fatta questa distinzione, sono stati
portati spesso “fuori strada”. Devo riconoscere che nel corso del
mio precedente articolo, spesso sono anche io caduto in tale errore.
Tale confusione finirà solo nel 1582 quando anche la chiesa
bolognese diventerà metropolitana.
Durante il periodo
franco compare per la prima volta la dicitura Romagna.
Molto si è discusso sulla esatta derivazione di questa parola; per
qualcuno deriverebbe da Roma Magna,
cioè grande Roma, da altri invece da
Roma Magno,
cioè dal Re dei Franchi Carlo Magno, ma l’opinione più diffusa e
probabilmente esatta è che deriverebbe da Romania,
cioè da terra degli
ultimi romani.
Confine fra
Longobardia e Romagna
Nonostante la fine
della dominazione dei Longobardi, le terre da loro conquistate
continuarono per secoli ad essere chiamate Longobardia
, e
quelle Bizantine Romagna.
Abbiamo già
sottolineato la difficoltà di distinguere i confini ecclesiastici da
quelli civili, perciò per continuare la ricerca del confine fra la
città di Imola e quella di Bologna, che corrisponde anche al
confine antico fra la Romagna e la Longobardia
e al moderno fra Emilia e Romagna, non resta che riportare
documenti riguardanti in particolare la posizione territoriale di
Bologna, Moltissimi sono i documenti al riguardo, per brevità si
riportano solo i più significativi.
Anno 905; privilegio
di Berengario, Bologna “Longobarda”.
962; Ottone I° riceve da Leone
VIII° terre esarcali, non vi è Bologna.
980; sotto il vescovo
bolognese Adelberto, la popolazione bolognese è detta “Longobarda”.
999; i vescovi
Ravennati detengono il dominio sopra un territorio che si estendeva
dall’alto imolese al mare, un
dominio a suo tempo, riconosciuto a loro anche da Ottone III°.
1114; viene
eletto papa Lucio II° che essendo nato a Bologna viene detto
“Longobardo”.
1262; in una bolla
papale Bologna è detta “Longobarda”.
1306;dagli atti
riguardanti una discussione sui confini della Romagna, risulta che
al riguardo vi erano molte incertezze. Incertezze che vengono messe
in risalto anche da Dante, questi, riferendosi al periodo esarcale
, descrive una Romagna molto più grande di quella odierna, ma
quando descrive i confini vigenti ai suoi tempi cita solamente le
sette città romagnole, cioè le sette
sorelle.
Chiarissimo invece
il documento del 1475; papa Sisto IV° è costretto ad intervenire
con un suo Breve per porre termine alle continue discussioni sui
confini della Romagna e specifica, in modo definitivo, che i
confini della Romagna
devono seguire “il corso del Sillaro
e la strada di Dozza”.
Confine dal
Rinascimento ad oggi.
Iniziamo con
le testimonianze riportate dai due geografi più illustri, il Biondo
e l’Alberti. Il Biondo, basandosi esclusivamente sulle fonti
classiche, dice che il Panaro
ha segnato il confine della Romagna. L’Alberti , pur ricordando il
Panaro fa presente che
al suo tempo vi era anche chi diceva che tale confine era stato
segnato pure dal Santerno.
Chiaramente il
confine Sillaro si trova ben evidenziato nelle carte geografiche
iniziando da quella che il Magini da alle stampe nel 1589. Con questa
sua carta il Magini fa una ottima precisazione: si tratta della”
Romagna of Flaminia”,
cioè Romagna un tempo Flaminia.
Segue ora un lungo elenco, ma
potrebbe essere ancor più lungo, di carte geografiche ove si trova
chiaramente tratteggiato il confine Sillaro. 1640 Blaeu. 1649
Briet. 1661 Bonoli. 1694 Titi. 1707 Coronelli. 1755 Boscovich. 1784
Zatta. 1792 carta napoleonica. 1805 Cassini.
Non mancano anche
antiche “cronache di viaggi”, come per esempio quelle del
fiammingo Schott e del Lassel, ove si ha la possibilità di veder
chiaro la posizione e la funzione sia del Panaro che del Sillaro.
Seguono ora alcune date che
meritano di essere ricordate: 1816, Imola ed il suo circondario si
trovano in provincia di Ravenna. 1859, Farini “cancella”
provvisoriamente la Romagna. 1859, Imola viene mesa in provincia
di Bologna.
Riassumendo e
concludendo: a parere di molti studiosi, salvo
brevi periodi, il Sillaro non
avrebbe mai segnato il confine della Romagna,
i dati che io ho portato dimostrano
invece che, salvo
brevi periodi, il Sillaro ha
sempre segnato il confine della Romagna,
non mi pare perciò, come vorrebbe il
Balzani, che questo sia un confine immaginato.
Una lunga e continua
permanenza di un confine naturale fra due aree, non poteva non
lasciare un “segno” nel
territorio e nella popolazione. Lungo sarebbe l’elenco delle
differenze fra l’aldiquà e l’aldilà,
non solo come abbiamo già detto,
flora e fauna, ma anche tutta una serie di diversità facilmente
riscontrabili: culinarie, linguistiche, folkloristiche, pratiche
agricole, ecc. Il Sillaro ha fatto da confine fra benedettini
filopapali
e filoimperiali,
come pure segna attualmente un confine costituito dalla densità
degli insediamenti umani, un confine poco noto, ma non per questo
meno importante, perché sicuro retaggio di antiche vicende.
Ultimissima
considerazione: il Tibiletti, validissimo storico, sorpreso nel
constatare che il confine che in epoca romana aveva la regione
Flaminia, cioè il Sillaro,
corrisponda ancora, nonostante i
grandi sconvolgimenti storici, al confine attuale della Romagna,
si chiede, se per caso tutto ciò, non
sia “mera causalità”. Per
quanto mi riguarda, forte della mia “teoria
dei confini”, sarei sorpreso del
contrario!!
PRO E CONTRO
L’AUTONOMIA DELLA ROMAGNA
Premessa
Avendo terminato il mio compito di “storico”, e non essendo n’è un politico , neanche un economista e tanto meno un legislatore, ma semplicemente un “uomo della strada”, entro nel merito di questo dibattuto tema con lo scopo, se possibile, di fare e di chiedere che venga fatto al riguardo, un po’ di chiarezza. Chi ha seguito un po’ del dibattito in corso, si sarà facilmente reso conto che spesso, specialmente da parte di alcuni politici, vengono fatte delle affermazioni, I romagnoli andranno peggio, i romagnoli andranno meglio, senza che siano portati gli indispensabili concreti esempi.Per non essere frainteso, tengo a precisare che sono favorevole alla Regione Autonoma romagnola, come a suo tempo, fui favorevole alla creazione della Regione autonoma Molisana, come sarò favorevole ad altre richieste di autonomia qual’ora abbiano le caratteristiche richieste dalle leggi vigenti.
Inizio questo approfondimento mettendo in risalto le due ragioni fondamentali che mi hanno spinto ad essere favorevole a detta autonomia: prima, sono state fatte le altre regioni e considerato che la Romagna, avendone le caratteristiche richieste, merita di esserla non meno delle altre, non vedo il perché, se richiesto dalla maggioranza dei romagnoli, non debba esserle dato la stessa opportunità. Seconda, i romagnoli, come gli abitanti delle altre regioni italiane, hanno diritto di decidere loro il loro destino. Solo dimostrandomi che , contrariamente agli abitanti di tutte le altre regioni, solamente i romagnoli non sono in grado di “camminare con le loro gambe”, rivedrei questa ultima ragione.
Possibile che solo i Romagnoli non siano all’altezza dei compiti eventualmente assegnateli? Aveva forse ragione l’antropologo Guglielmo Ferrero che considerò i romagnoli “popolo allo stato primitivo”, cioè poco meno che dei “beduini”? Nel 1946 il territorio romagnolo fu quello che diede il maggior numero di voti alla repubblica, nel 1979 espresse la più alta percentuale di voti per l’elezione dei parlamentari europei. Si veda, nonostante che l’Italia abbia migliaia di Km di spiagge marine, come i Romagnoli abbiano, prima che altrove, creato un complesso turistico superato nel mondo solo da quello della Florida, non è poco per dei “beduini”!
Qualcuno potrebbe giustamente obiettare che quelle riportate, per quanto importanti, sono solamente ragioni di “principio”, e che per chiedere la autonomia della Romagna, occorrono delle ragioni “sostanziali” cioè che contengano vantaggi reali. Si tratta di una giusta e comprensibile obiezione, specialmente se si tiene conto che gli oppositori della Autonomia Romagnola, “bombardano” continuamente l’opinione pubblica facendo presente, naturalmente senza alcune spiegazione, che con la autonomia i romagnoli hanno solo da rimetterci.
Una domanda a questo punto è d’obbligo: i romagnoli ci guadagneranno o ci rimetteranno? Altrettanto d’obbligo è una risposta. Prendo atto che non è facile rispondere ad una domanda riguardante una situazione non ancora realizzata, ma dando uno sguardo alle altrui esperienze, è possibile ricavare importanti elementi.
“Solo diventando regione Autonoma”, si ha diritto a delle “competenze”, per esempio potere fare delle leggi regionali che ci riguardano. Sanità, trasporti, turismo, urbanistica, agricoltura ecc. Considerato che tutte le altre regioni italiane approfittando di queste “competenze”, hanno tratto grandi vantaggi, perché solo la Romagna dovrebbe rimetterci?
“Solo diventando regione autonoma”, si ha diritto del Tribunale amministrativo, della sede regionale Rai, delle varie soprintendenze, di un ospedale con delle super specialità regionali, degli investimenti riguardante la università. Considerato che tutte le altre regioni italiane ne hanno approfittato con grandi vantaggi, perché solo la Romagna dovrebbe rimetterci?
“Solo diventando regione Autonoma,” abbiamo diritto di mettere un nostro rappresentante a Roma nel senato delle regioni(assemblea permanente stato-regioni), ove fra l’altro , si possono far proposte di leggi nazionali. Considerato che tutte le altre regioni hanno messo un loro rappresentante e ne traggono molto profitto,perché solo la Romagna dovrebbe rimetterci?
“ Solo diventando regione Autonoma, abbiamo diritto di mettere un rappresentante nel comitato delle regioni in Europa. Si tratta di un organismo a livello mondiale della massima importanza, infatti è possibile contattare gli operatori e fare affari senza dover “sottostare”alle strutture nazionali. Considerato che tutte le regioni italiane ed estere hanno approfittato di questa opportunità traendone grande profitto, perché solo la Romagna dovrebbe rimetterci?
Si tenga presente , che le regioni stanno acquisendo sempre più “competenze”, perciò non approfittarne significa perdere delle grosse occasioni. Mi pare che l’evidenza di questi “vantaggi”, ma non sono gli unici, non possano essere messi in discussione, chi dice che con l’autonomia della Romagna “i romagnoli hanno tutto da rimetterci”, dovrebbero dare qualche ulteriore spiegazione.
Dicevo prima che per permettere un “voto cosciente”, nel caso che venga indetto un referendum sulla autonomia della Romagna, occorre una corretta informazione, ebbene per far fronte a questa necessità , riporterò anche “le ragioni che portano gli avversari della Autonomia Romagnola”.
Prima le elenco poi le discuto.
1)Che stiamo andando in Europa e perciò è assurdo fare la Regione Romagna.
2)Con la globalizzazione stanno cadendo le frontiere perciò è assurdo creare nuovi confini.
3)La Romagna da sola sarà una piccola regione, perciò meno competitiva, più tasse, più povera.
4)Romagna regione, un nuovo ente, un nuovo carrozzone, altri impiegati, altra burocrazia, altre spese.
5)Emilia Romagna, una regione ricca, forte, competitiva, romperla significa danni per tutti, in particolare per i Romagnoli.
6)Facendo la regione Romagna si corre il rischio di rompere l’unità d’Italia.
7)A causa del noto “campanilismo romagnolo”, conflitti fra i romagnoli per designare la nuova capitale.
Ho riportato queste ragioni in quanto non ne conosco delle altre, ma se ci sono volentieri sarei felici di farne conoscenza. Approfitto per fare una doverosa precisazione: sono per la Romagna Autonoma in quanto fermamente convinto che i Romagnoli dal distacco abbiano tutto da guadagnarci, ma se venissi a conoscenza dell’inverso, anche io, come tutti quelli del M.A.R, non avrei problema a rivedere tutto, questo per dire che io, come tutti quelli del M.A.R, non sono animato da nessun “altro” interesse.
Commentiamo ora i punti “contrari” prima elencati.
1)Che
stiamo andando in Europa perciò…
Sarà l’Europa delle regioni e
non l’Europa delle nazioni, , il consiglio europeo consiglia di
fare ovunque delle regioni anche senza tener conto dei confini
nazionali. Considerato che come ho già detto, che gli affari
mondiali si fanno a Bruxelles, una delle ragioni per fare la Romagna
autonoma è proprio perché siamo andati in Europa.
2) Al
seguito della globalizzazione sono cadute le frontiere, perciò…
Purtroppo sta
accadendo qualcosa di imprevisto; l’uomo è di fatto diventato
“cittadino del mondo”, ma si sente solo, sente l’impellente
necessità di ritrovarsi con i suoi simili, con le persone della
stesa etnia e cultura. Tutto il mondo si trova investito dal “vento”,
impropriamente detto delle “piccole patrie”, ma non si tratta di
egoistiche chiusure, infatti tutti questi popoli hanno capito che per
quanto ricca sia la loro nazione, non possono vivere con le sole
loro risorse. Quello che invece non si vuole capire è che questi
popoli non vogliono essere inquilini
in casa loro, vogliono decidere loro il loro destino. Perciò senza
timori si lascino tracciare nuovi confini, in quanto, come nel
caso Romagna, si tratta solamente di confini amministrativi. Questo
è l’unico modo per evitare conflitti.
3)La
Romagna da sola più piccola, più povera, più tasse…
Non è affatto detto
che la povertà o la ricchezza di una regione si misura dai Km
quadrati del suo territorio, oppure dal numero dei suoi abitanti; se
così fosse le regioni grandi sarebbero tutte ricche e le piccole
tutte povere. Altre sono le ragioni che creano la ricchezza o la
povertà di una determinata area: fertilità del terreno, risorse
minerarie, voglia di lavorare dei suoi abitanti, ma in particolare è
quello che si è in grado di offrire al mercato. Chi vuol venire in
Italia a passare le vacanze, oppure chi vuole acquistare la nostra
frutta, non chiederà mai quanti abitanti ha la Romagna, ma
piuttosto se siamo ricettivi e come produciamo tale frutta. La
popolazione romagnola ha una grande capacità creativa, “liberiamo”
tale creatività, leviamoci i lacci e
laccioli “bolognesi”, e si vedrà
se siamo o non siamo competitivi, altro che regione povera, vi sono
le premesse per diventare la più ricca. Completamente sbagliata è
la “profezia” che diventando una piccola regione saremo
costretti a pagare più tasse, i dati Istat dicono il contrario:
nella classifica italiane delle regioni col più elevato prelievo
fiscale, le piccole regioni si trovano quasi tutte agli ultimi posti,
al primo posto si trova l’Emilia-Romagna.
4)Romagna
regione, nuovo ente, nuovo carrozzone, nuove spese..
Chi dice questo sa
che non è vero: come è stato fatto in occasione della istituzione
della provincia riminese, gli impiegati sono stati “scorporati”,
sicuramente ogni cosa ha un costo, ma
si deve anche tener conto dei sopra citati vantaggi. Per i romagnoli
fare la regione autonoma è un investimento. Sorprende non poco che
chi si preoccupa delle spese che andremo incontro, non si sia
minimamente preoccupato delle spese a suo tempo fatte per altre
consimili operazioni: Molise, provincia di Rimini, possibile che
solo per la Romagna siano soldi buttati
via?
5)Emilia-
Romagna, regione forte, ai primi posti come tenore di vita, romperla
significa impoverire entrambi, ma in particolare impoveriranno i
romagnoli.
Questa preoccupazione non è da
sottovalutare, dividerla significa regione meno forte e forse meno
ricca, purtroppo, la attuale ricchezza è mal distribuita; le
provincie emiliane, eccetto Ferrara, si trovano ai primi posti delle
provincie più ricche, le provincie romagnole, molto più indietro.
Di chi la colpa? difficile dirlo,
io mi limito a portare un dato significativo; nel 1970, cioè
all’entrata in funzione della istituzione regionale, il reddito
dei romagnoli era l’88 % di quello bolognese, ebbene nel 2001, lo
steso reddito è sceso al 72%.
C’è solo un modo per vedere di
chi è la colpa, lasciare i romagnoli al “loro destino”.
Anche io formulo al
riguardo una facile “profezia”: se si divide l’Emilia dalla
Romagna una di questa potrebbe impoverire, ma
non sarà la Romagna!
6)Facendo
la regione Romagna si corre il rischio di rompere l’unità
d’Italia…
Nella mia vita ho sentito tante sciocchezze, ma
questa le supera tutte! Non si è rotto l’unità d’Italia nel
1947, quando si fecero tutte le regioni, nemmeno nel 1963 , quando
fu fatto il Molise, ma perché dovrebbe rompersi facendo la Romagna?
Forse chi dice questo non sa che facendo la Romagna autonoma, non si
fa altro che effettuare una divisione amministrativa, col risultato
che invece di 20 avremo 21 regioni.
Sorprende, che
nonostante sia una grande sciocchezza, qualcuno ci crede, forse è
per questa ragione che viene detta. Racconto un aneddoto
significativo: in un imprecisato giorno della estate scorsa,
rientrando in treno da Bologna, iniziai, con un mio occasionale
compagno di viaggio a parlare della autonomia romagnola, ebbene ad un
certo punto, una persona anziana, che poi ho appreso era di Bologna,
interviene facendo presente che lei era contraria alla regione
Romagna. Incuriosito chiedo di spiegarne le ragioni, questa mi fa
presente che aveva a Imola una figlia sposata , e che ogni tanto,
senza avere grandi problemi, voleva andarla a trovare, e, a conferma
delle difficoltà che poteva andare incontro facendo la Romagna
autonoma, mi fa vedere un articolo di un giornale, ove era scritto
che era bene “attraversare “ ora
la Romagna, “prima che si facessero
le frontiere”. Tranquilizzo la
signora facendogli presente che in caso di Romagna Autonoma, potrà
tranquillamente visitare la figlia senza dover passare, frontiere e
dogane, cioè potrà venire ad Imola come ora può andare in
Toscana ed altrove. Si può capire la buona fede della signora, più
difficile “capire”
quel giornalista, e quelli che mettono in giro tali sciocchezze.
7)In
caso di regione Romagna , problemi per trovare quale sarà la nuova
capitale…
Tanto per iniziare ,
questo sarà un problema dei romagnoli e sicuramente lo risolveranno
senza bisogno di chiedere consigli agli attuali “tutori”
.
Come è noto, grazie
alla telematica , i nuovi assessori regionali potranno essere
disseminati nei luoghi di loro “competenza”,
(turismo a Rimini, agricoltura a
Cesena, cultura a Ravenna ecc), perciò la capitale potrà essere
anche un piccolo centro. Si pensi ai vantaggi al seguito di tale
“distribuzione”, non
occorrerà più recarsi per ogni pratica in grandi centri, con tutti
i problemi di traffico, parcheggi, targhe alterne ecc. Altro che
“carrozzone!!”sarà una regione “modello”, un esempio come
risolvere alcuni problemi strutturali delle altre regioni. Tempo fa
si pensava che ogni regione avesse assolutamente bisogno di un grande
centro ”aggregante”, finalmente
ci si è accorti del contrario.
I problemi
riguardanti la autonomia della Romagna sono infiniti, perciò non si
ha la pretesa di sollevarli tutti, ma ve ne sono ancora alcuni che
meritano di essere discussi.
Dopo aver letto il
fin qui detto, qualcuno potrebbe giustamente farmi osservare che
l’Emilia – Romagna ha i propri rappresentanti sia a Bruxelles
che a Roma e che la Romagna ha i suoi consiglieri in regione;
conseguentemente la Romagna, anche senza dover fare la regione
autonoma, si troverebbe già adeguatamente rappresentata.
Effettivamente i consiglieri romagnoli si trovano in buon numero
nella giunta regionale, “ma messi
come sono , non contano quasi niente! Questa
non è una “battuta”, ma la cruda realtà. Vediamo di
approfondirla in quanto per la nostra causa è determinante.
Purtroppo la realtà economica Emiliano –Romagnola non è omogenea,
nelle provincie emiliane predomina l’industria ed il commercio, in
quelle romagnole invece il turismo e la frutticoltura, loro guardano
a Nord Est, noi verso il “lago Adriatico”, interessi perciò
divergenti! Considerato che nella giunta regionale i consiglieri
romagnoli sono 13 su 50, quando vengono prese delle importanti
decisioni, per esempio i finanziamenti, essendo questi in minoranza,
le decisioni le prendono gli altri, cioè i consiglieri delle
provincie emiliane, che avendo interessi diversi
da quelli romagnoli, ma convergenti
fra loro, decidono di conseguenza. Una scelta fatta per una
provincia emiliana andrà sicuramente bene anche per le altre
provincie emiliane, ma difficilmente
andrà bene per le provincie romagnole.
Giustamente agli emiliani non interessano i problemi del nostro
turismo, come a noi non interessano i problemi del parmigiano
reggiano! Il problema è di fondo! Le decisioni al riguardo di ciò
che abbiamo bisogno, leggi, finanziamenti ecc, dobbiamo prenderle
noi, direttamente, senza intermediari!
Termino “toccando”
un tema che mi sta particolarmente a cuore, o meglio, a quanto pare,
sta a cuore anche agli oppositori della autonomia romagnola. Questi
sollevano una motivazione che effettivamente “colpisce”; si
ergono a paladini di una unità e
perciò condannano ogni scelta che può portare a qualche divisione.
Occorre onestamente riconoscere che
si tratta di un ottimo “principio”, purtroppo in questo caso “a
senso unico”! Ma perché non si sono preoccupati quando fu fatto
il Molise e le nuove provincie? Anche quelle sono state
“divisioni”.
Non solo; perché non
si preoccupano del fatto che i romagnoli sono già divisi, in
parte nelle provincie di Ravenna, Forli, Rimini, e in parte nelle
provincie di Bologna, Firenze, Arezzo e Pesaro? Anche queste sono
“divisioni” che
dovrebbero essere intollerabili per chi è veramente contro tutte le
divisioni e favorevoli all’unione dei popoli! Concordo in pieno che
le divisioni sono sempre dolorose, divisioni delle famiglie,
divisioni di popoli, ma il “matrimonio” fra Romagna ed Emilia, fu
un matrimonio innaturale, voluto dal governo Sabaudo in quanto noi
romagnoli eravamo considerati “teste calde” e “pericolosi
sovversivi” e perciò fummo consegnati alla “tutela” dei
“moderati” emiliani. Fu un matrimonio forzato, non richiesto,
non consenziente, che perciò merita di essere annullato per
“incompatibilità culturali ed
economiche”. Il senso civico dei
romagnoli, giustamente messo in evidenza dal Putnam, non è secondo a
nessuna altra popolazione italiana, perciò non abbiamo più bisogno
di un “tutore”. Tutti, compreso gli “oppositori”, sanno
benissimo che Autonomia della Romagna non è altro che il primo
passo per “unire” tutti
i romagnoli in una unica regione, cioè per porre fine ad un
vergognoso e secolare “smembramento”, infatti , fra non molto, i
romagnoli delle provincie di Ravenna, Forli Rimini e del
circondario imolese, saranno chiamati , grazie all’apposito
referendum, a pronunciarsi al riguardo della Romagna Autonoma, e dopo
averla fatta, anche gli altri romagnoli , potranno, entrare in
Romagna.
Ultimissima
osservazione: Chi ha avuto la pazienza di leggere questo scritto,
avrà osservato, pur essendo la Autonomia Romagnola un problema anche
politico, che non ho citato nessuna forza politica. Ebbene mi si
perdoni l‘eccezione; conoscendo il comportamento che i partiti
hanno tenuto al riguardo di questo tema , dalla costituente alle
altre successive occasioni, e confrontandoli sul come si comportano
attualmente i loro “eredi”, capisco la ragione per cui, sia
il democristiano
Zaccagnini che il repubblicano
Spallicci, si stiano rivoltando nella tomba, come pure comprendo la
profonda amarezza del socialista
Servadei.
APPENDICE
L’attuazione di eventuali regioni è regolato dall’articolo costituzionale n.132. Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse.
Non è chiaro cosa si
debba intendere “ popolazioni
interessate”.
Per qualcuno, in riferimento al
tema Romagna, dovrebbe intendersi che a decidere siano solo i
romagnoli, per altri invece, che dovrebbero pronunciarsi anche gli
emiliani. Sicuramente i costituenti non furono al riguardo molto
chiari. Senza alcun dubbio “interessati” lo sono tutti, anche
l’Inghilterra, il Belgio e l’Olanda, erano” interessati” al
distacco delle loro colonie, significa questo che anche loro
dovevano pronunciarsi al riguardo!
Logica vorrebbe che
dovrebbero pronunciarsi solo quelli che chiedono il distacco, cioè i
Romagnoli. Diverso e comprensibile sarebbe se la Romagna si
trovasse “fuori” e volesse “entrare” in Emilia, cioè
chiedere una fusione, in
tal caso, ma solo in tal caso, tutti dovrebbero essere
“consenzienti”, e conseguentemente tutti dovrebbero pronunciarsi.
Come appare evidente,
occorre una revisione costituzionale del art 132, alle parole “
delle popolazioni interessate”
occorre aggiungere “ che chiedono di
formare una nuova regione.” In caso
contrario addio alla sacrosanta “autodeterminazione
dei popoli”.
PER SAPERNE DI PIU
G.Sgubbi , Il Sillaro confine della Romagna. 2003
S.Servadei, Romagna
regione perché. 1991
Caffè Romagna,
Mensile per la gente di Romagna Diretto da Paolo Soglia
La Romagna
, settimanale diretto da Paolo Gambi
Comunicati del
M.A.R. curati da Stefano Servadei.
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