domenica 3 febbraio 2019

regione romagna

PER LA REGIONE AUTONOMA ROMAGNOLA


Alla memoria di A. Spallicci e di tutti quelli che si
sono battuti per l’Autonomia della Romagna.


Grazie alle battaglie autonomistiche che il MAR (movimento per l’autonomia della Romagna) porta avanti da anni, il tema Romagna autonoma è diventato per i romagnoli un tema di grande attualità e lo diventerà ancor di più nel corso delle imminenti elezioni amministrative.
Senza alcun dubbio il grande merito di questa attualità deve essere attribuita ad alcuni autorevoli personaggi romagnoli guidati dall’Onorevole Stefano Servadei, ma vana sarebbe stata la loro lodevole fatica se il problema non fosse profondamente sentito anche da larghissimi strati della popolazione romagnola, ne fa fede le quasi 90 mila firme raccolte e i comitati del movimento disseminati per tutta la Romagna.
Le sacrosante ispirazioni autonomiste dei romagnoli sono recentemente approdate nel parlamento nazionale, infatti è in atto una revisione costituzionale di alcuni articoli il cui fine è quello di permettere ai romagnoli un democratico pronunciamento referendario.
Creare una nuova regione comporta una serie di modificazioni istituzionali fra cui la delimitazione amministrativa di una area, ebbene lo scopo primario di questo scritto è proprio quello di dare un contributo all’indispensabile designazione di un confine. Data la premessa il problema qui più trattato riguarderà in particolare il confine segnato dal fiume Sillaro, ma saranno pure sollevati e discussi alcuni aspetti riguardanti l’autonomia romagnola, con particolare riguardo ai vantaggi e agli svantaggi a cui i romagnoli saranno soggetti al seguito di detta autonomia, questo per dare la possibilità ai romagnoli di arrivare al referendum con un minimo di informazione per far si che possano esprimere il loro parere “in coscienza”.

L’IMPORTANZA DEI CONFINI
Quello dell’importanza dei confini è a mio parere un problema trascurato dai legislatori, infatti spesso vengono, con incredibile leggerezza, messi o levati, senza che ci si renda conto dei risultati, quasi sempre spiacevoli a cui si va incontro. Mettere un confine dove non c’è mai stato, col risultato di dividere aree omogenee , o levarne uno secolare, col risultato di unire popolazioni diverse, significa creare delle incomprensioni o a volte anche dei conflitti.
Prima di fare una legge i legislatori dovrebbero studiare a fondo la storia delle varie popolazioni, in tal caso capirebbero la ragione per cui una legge è capita e “rispettata” in alcune zone e meno in altre, la ragione è che ogni popolo è “frutto” della sua storia e che perciò è indispensabile conoscerne il loro passato. Al riguardo delle leggi vi è un detto che i legislatori non possono non tenerne conto: le leggi devono essere come i vestiti, cioè devono aderire perfettamente alle persone a cui sono destinate.
Da qui la necessita di evidenziare con confini ben precisi le varie aree. Se questa analisi è giusta, occorre rivedere la concezione legislativa, occorre varare sempre meno leggi a carattere nazionale, e vararne sempre di più a carattere regionale, e per far questo è indispensabile evidenziare sempre di più i confini regionali, anzi, occorrerebbe in qualche caso rivedere tali confini, e questo si può fare solo studiando le diversità etniche delle varie popolazioni.
Al riguardo di questo punto di vista, occorre prendere atto che l’Europa è previdente e preveggente , infatti, essendosi accorta che i confini nazionali sono per la stragrande maggioranza frutto di guerre o di accordi internazionali, cioè “fasulli”, si è autodefinita l’Europa delle regioni e conseguentemente consiglia di evidenziare i confini regionali senza preoccuparsi degli esistenti confini nazionali. Quando in campo europeo si consigliano le macro regioni, non si intende l’unione di regioni per farle più grandi, ma si intende che, quando le etnie combaciano, si possono e si devono unire anche regioni di diverse nazionalità.
Il problema confini è un problema vecchio come l’uomo, una delle prime cose che fece l’uomo primitivo , dopo aver provveduto a procurarsi il cibo ed un luogo per ripararsi, è sicuramente stato quello di delimitare una “sua area”. D’altronde questo avviene anche fra gli animali, infatti anche loro delimitano i loro territori.
La stragrande maggioranza delle guerre antiche e moderne sono dovute a problemi di confine, questo per dire che con i confini non si deve scherzare, in caso contrario si creano immancabilmente dei conflitti.
L’istituzione di un consorzio fra alcuni comuni, indetto dalla giunta regionale Emiliano- Romagnola, è il classico esempio di come i problemi di confini siano presi con leggerezza; si cerca di unire insieme, senza tener conto che da tempi immemorabili vi è in loco il confine SILLARO, i comuni del circondario imolese, cioè romagnoli, con alcuni comuni bolognesi cioè emiliani, si tratta di una “unione” innaturale ed antistorica, che non può non creare incomprensioni, infatti , pur essendo quest’ultima solo una proposta, ha già generato vivaci proteste.
Se i legislatori si ostinano, in quanto in altre faccende affaccendati, a non approfondire personalmente ed adeguatamente il “problema” confini, dovrebbero almeno tenere conto dei numerosi contributi degli studiosi del “ramo” cioè degli storici. Pur prendendo atto che gli storici , a causa della complessità del problema, incontrano anche loro non poche difficoltà a stilare contributi esaurienti, non pare giustificata la quasi totale indifferenza dei legislatori verso i contributi storiografici.
Al riguardo delle difficoltà che si incontrano studiando i confini: già al primo approccio ci si rende conto quanto il compito sia arduo, infatti ci si trova immediatamente di fronte ad una matassa inestricabile creata da una moltitudine di confini sia civili che ecclesiastici: nazionali, regionali provinciali comprensoriali, comunali, diocesani, parrocchiali, ecc. Pur storicamente spiegabili, alcuni di questi confini sono talmente assurdi che non è più accettabile la loro esistenza, si rende perciò necessario effettuare una salutare e non più rimandabile revisione, ma attenzione, i confini antichissimi non devono essere assolutamente toccati! Ma come si fa a distinguere i confini antichissimi da quelli relativamente antichi? Due sono i modi che garantiscono una scelta sicura, primo; che la loro funzione di confine, abbia avuto una quasi ininterrotta continuità storica, secondo: che poi è una conseguenza del primo, che abbia mantenuto e tenuto diviso la lingua, le usanze , il folklore ecc.
Mettendo a confronto il Senio ed il Sillaro, cioè due corsi di acqua che in epoca romana erano di identica importanza e seguendone la secolare evoluzione, abbiamo la dimostrazione che il sopra citato metodo offre buone garanzie di attendibilità. In epoca romana il corso del fiume Senio fungeva da confine fra il territorio di Faenza ed di Imola, quello del Sillaro fra Imola e Claterna, questa ultima una città che si trovava nella via Emilia in prossimità del torrente Quaterna, il cui territorio sarà successivamente incorporato a quello di Bologna.
Molto probabilmente questi due fiumi hanno avuto tale funzione anche nei primissimi tempi del cristianesimo, ma ben presto il Senio non ha più segnato o ha segnato solo parzialmente il susseguente confine diocesano, da parte sua invece il Sillaro ha sempre segnato e segna tutt’ora detto confine. Altrettanto dicasi per il confine di comitato, cioè il confine medioevale fra le varie città; il corso del Senio, diversamente da quello ininterrottamente segnato dal Sillaro, lo ha segnato solo per brevi periodi. Per non parlare dei confini provinciali e comprensoriali, segnati dal corso del Sillaro e mai dal corso del Senio. Come mai queste vistose differenze? Presto detto; il confine segnato dal Sillaro, diversamente dal confine segnato dal Senio, è un confine, che essendo antichissimo, è ben radicato nella popolazione, e conseguentemente non è mai venuto meno alla sua funzionalità. Per spiegarmi meglio: quando in un posto vi è da tempi remoti un confine naturale, in questo caso segnato da un corso d’acqua, per ogni qualsiasi altra necessità di segnare un confine , si ricorrerà a tale percorso. in quanto ,essendo già radicato nella popolazione, meglio si presta a tale uso.
Forte di questa convinzione, cioè che il Sillaro, anche quando i documenti tacciono, abbia segnato il confine fra l’area imolese e l’area bolognese, che poi corrisponde anche al confine fra l’Emilia e la Romagna, mi sono messo alla ricerca di tracce o di notizie indirette che confermino la giustezza di questa “teoria”, ed è grazie ai risultati conseguiti, che questo mio lavoro può essere, al riguardo, considerato una novità.

STUDI SUL SILLARO CONFINE DELLA ROMAGNA.
Che il Sillaro è il confine fra l’Emilia e la Romagna, non è solo il parere della stragrande maggioranza degli studiosi, ma lo si trova scritto anche in molti autorevoli dizionari, purtroppo in nessuna carta geografica moderna tale confine risulta segnato.
Tre sono le ragioni per cui necessiterebbe delimitare e segnare una volta per sempre un confine fra Emilia e Romagna. Prima: Come è noto la nostra regione si chiama Emilia, trattino, Romagna, già la presenza del trattino lascia intendere che si tratta di due entità diverse, ma all’epoca della costituente , cioè quando si decise di fissare le regioni, era detta Emilia e Romagna. La presenza di questa (e) significa inequivocabilmente che si tratta di due regioni distinte e ben diverse. Purtroppo accadde un “ pasticcio”; in una seduta parlamentare, con scarsa presenza di legislatori, passò un emendamento ove si chiedeva la soppressione della voce Romagna. Successivamente, al seguito delle vivace proteste di moltissimi parlamentari, la voce Romagna fu rimessa, ma, senza che nessuno se ne accorgesse, nel posto della (e) fu messo l’attuale trattino. Se si prende in mano l’elenco delle regioni discusse nel corso della costituente, cioè quelle presentate nel 1863 dal Maestri, che più o meno corrispondevano a quelle presentate un decennio prima dal Correnti, ci si renderà conto che l’Emilia e la Romagna erano considerate due regioni diverse, ma che per ragioni di “ordine pubblico”, romagnoli considerati “esseri socialmente pericolosi”, si ritenne opportuno tenerle unite. Oggi quella “pericolosità” non esiste più, perciò è giunto il momento di evidenziare nei fatti tale diversità. Ebbene, logica geografica vuole che le aree diverse debbano essere chiaramente delimitate e questo può essere fatto solo designando un chiaro confine.

Seconda : in Romagna, vi sono dei prodotti tipici romagnoli, cioè prodotti legati alla nostra storia , alla nostra gente , alla nostra tradizione culturale, cioè prodotti DOC, ebbene una delle prime norme necessarie alla tutela di questi prodotti è quella di delimitarne chiaramente i confini territoriali, in caso contrario non è possibile esaltarne la necessarie diversità ed unicità. Questo vale per i prodotti romagnoli ma anche per i prodotti tipici delle altre regioni, Emilia compresa.

Terza: L’indizione di un possibile referendum che dia la possibilità ai romagnoli di esprimersi al riguardo di una eventuale Romagna Autonoma, mette in evidenza la necessità di segnare un confine. Non si vede in caso contrario come sia possibile effettuare una regolare raccolta di firme, come sia possibile sapere quali siano i cittadini chiamati al voto, e in caso di risultato referendario affermativo, come sia possibile sapere quale sarà il confine della nuova regione. Segnare un confine non è quindi solo un atto necessario, ma anche urgente.
Ma per quale ragione questo indispensabile confine non è ancora stato segnato? Non certamente per la mancanza di richieste, di queste ve ne sono state parecchie e in qualche caso pure accompagnate da migliaia di firme, purtroppo il consiglio regionale emiliano –romagnolo, cioè l’ente incaricato alla segnatura, si è sempre opposto. Le ragioni del persistente rifiuto non sono mai state chiaramente motivate, ma vi sono buone ragioni per credere che la ragione principale sia quella di impedire che venga indetto il sopra citato referendum. Il non volere segnare un confine significa pure non tenere in considerazione i secolari pareri degli storici e degli antichi legislatori, infatti già 500 anni fa, hanno iniziato a venire alla luce scritti che mettevano in evidenza la necessità di segnare un confine fra l’Emilia e la Romagna e che questo doveva essere segnato dal corso del fiume Sillaro. Un avvenimento significativo: anno 1475, per mettere fine alle continue discussioni al riguardo del vero confine della Romagna, a conferma che anche in tale periodo il tema era di grande attualità, papa Pio IV, fu costretto ad intervenire con un suo Breve per specificare chiaramente che il confine doveva essere segnato “dal Sillaro e dalla strada di Dozza.” Evitando di elencare le numerose carte geografiche in cui il Sillaro delimita chiaramente la Romagna , una elencazione che sarà comunque fatta più avanti, passiamo ora in rassegna alcune opere il cui fine è stato quello di esaltarne la romagnolità. Nel 1818, il Placucci da alle stampe gli Usi e pregiudizi dei contadini della Romagna, nel 1840, vede la luce il vocabolario romagnolo-italiano del Morri, per non dire La Romagna opera fondamentale che il Rosetti scrisse nel 1894 . Troppo lungo sarebbe elencare tutti i contributi dati alle stampe, esiste infatti al riguardo una sterminata bibliografia. Non tutti questi scritti hanno comunque come tema il Sillaro, in alcuni, come per esempio quello del Vesi, Ragionamento intorno ai veri confini della Romagna, scritto nel 1841, il tema era se Bologna era da considerarsi emiliana o romagnola, si è trattato comunque sempre di contributi al riguardo del confine fra l’Emilia e la Romagna. Come già detto per la stragrande maggioranza degli autori, il Sillaro è il vero confine della Romagna, ma non sono mancati anche studiosi fermamente convinti che per moltissimi anni il confine della Romagna sia stato invece segnato dal corso del Panaro, cioè da un fiume che si trova fra Modena e Bologna.
Prima di passare in rassegna le vicende storiche del confine fra l’Emilia e la Romagna, mi preme segnalare, per il loro singolare contenuto, due scritti di autori moderni, uno è del Balzani , l’altro è del Cavazza.
Il “Balzani pensiero” merita di essere particolarmente commentato in quanto gli oppositori della autonomia Romagnola lo considerano il loro “Vangelo”.
Dai suoi scritti e dalle fonti che riporta traspare chiaramente che il Balzani è uno storico ben documentato, perciò al riguardo delle testimonianze che lui riporta mi pare che non ci sia niente da obiettare, non tutte accettabili sono invece le conclusioni che questi ha ricavato da tali testimonianze. Si può concordare con lui che il “sentirsi romagnolo” è un sentimento non antichissimo, ma non si può non riconoscere che è un “sentimento” ben radicato in Romagna e perciò non “giovanissimo”. Forse è più antico il “sentirsi emiliano”? Se i Romagnoli, pur essendo espressamente ricordati da almeno 7 secoli, Dante li ricorda più volte, sono per il Balzani un popolo “immaginato”, se la Romagna , pur essendo ricordata da ben 13 secoli, è da considerarsi una regione “immaginata”; se il confine segnato dal Sillaro, un confine che, come la presente ricerca dimostrerà , da almeno 18 secoli, salvo brevi periodi, ha sempre tenuto distinto due differenti aree geografiche, è da considerarsi un confine “immaginato”, che dire delle altre popolazioni, delle altre regioni e degli altri confini? Coerenza vorrebbe che, forte delle sue convinzioni , il Balzani mettesse in discussioni il ”diritto di essere regione” di quasi tutte le regioni italiane e che fra le pochissime degne di essere tali, lasciasse la Romagna. L’impressione che ho rimasto del Balzani è che questi ha visto, ma eccessivamente ingigantito, il “pelo” nell’occhio della Romagna e non abbia volutamente vedere l’evangelico “palo” che si trova negli occhi della stragrande maggioranza delle altre regioni. Mi sembra perciò assurdo voler usare le convinzioni del Balzani per dimostrare l’inconsistenza della regione Romagna.
Lo scritto del Cavazza, se non contenesse una proposta davvero singolare, non meriterebbe nessuna segnalazione. Questi, in un suo recente scritto pubblicato nel Pensiero Mazziniano, propone di levare la parola Romagna dalla dicitura “Emilia- Romagna”, in modo che l’intera regioni sia denominata solo Emilia. Chi ha letto qualche libro di storia, si rende immediatamente conto dell’assurdità di tale proposta, levare un nome storicamente ricordato da ben 13 secoli per lasciare solo un nome, che dopo una presenza in epoca romana, è rimasto in ombra per ben 13 secoli , può solo significare “ violentare la storia.”. La proposta del Cavazza si commenta da sola.

VICENDE STORICHE DEL CONFINE SEGNATO DAL SILLARO.
Anzitutto una avvertenza: già ho in parte trattato questo tema ( Il Sillaro confine della Romagna, ma essendo questo un tema vastissimo, vi ritornerò prossimamente con un altro articolo dal titolo Giurisdizione civile ed ecclesiastica di Imola e Faenza in epoca romana.
Oltre alle vicende storiche del confine della Romagna segnato nel corso dei secoli dal corso del fiume Sillaro, sarà preso in considerazione anche la secolare “posizione” geografica di Bologna, cioè se questa ha fatto parte anche della Romagna, oppure solo dell’Emilia. Si è trattato di una necessaria indagine, che, come si vedrà, ha illuminato molti oscuri aspetti.
Il Sillaro nasce in località Tre Poggioli , poi, dopo un percorso di 73 km , sfocia nel Reno
La presente ricerca riguarda solo la parte più dibattuta del suo percorso, cioè il tratto a “cavallo” della via Emilia.
Confine naturale.
Questo fiume segna anzitutto un ben accentuato confine geologico, infatti i gessi sono ben presenti solo nella riva orientale, questo spiega la differenza di fauna e di flora che si riscontra lungo il suo percorso.
Confine antropologico.
Nel 1879, il colonnello medico Ridolfi Livi riceve dal ministro della guerra dell’epoca, l’incarico di effettuare una indagine antropologica su tutto il regno e dopo averla effettuata ”fotografa” i risultati raggiunti tratteggiando le varie aree geografiche italiane in base alla consistenza cefalica: ebbene, dando uno sguardo alle varie cartine si noterà un ben diverso tratteggio in corrispondenza del corso del fiume Sillaro. Si tenga presente che, a parere di molti antropologi, l’indice cefalico, cioè il rapporto geometrico fra lunghezza e larghezza del cranio, è il più importante degli indizi della diversità delle razze; perciò non si può non essere sorpresi nel constatare un tratto distintivo di tale portata in corrispondenza di un così piccolo corso di acqua. Anche il più scettico degli studiosi dovrà ammettere che tale diversità etnica non può essere frutto di recenti stanziamenti di popolazioni, ma di antiche popolazioni.

Confine di epoca Villanoviana

Nel periodo che va dal IX al V secolo a.C, questo fiume ha diviso popolazioni con culture diverse.
Dice il Mansuelli e lo confermano sia la Bermond Montanari che il Colonna, che il Villanoviano Romagnolo è diverso da quello bolognese; cotesti studiosi fanno infatti notare che in Romagna i più importanti aspetti della cultura materiale, (armi, ceramica, oggetti ornamentali e funerari) si contrappongono omogeneamente a quelli felsinei.
Confine in epoca gallica.
A parere di Calvetti e di Servadei, esiste una contrapposizione ”etnopolitica” fra emiliani, eredi dei Galli Boi, e i romagnoli eredi dei Galli Senoni, ma dalle testimonianze storiche questo non risulta chiaramente. Dice Livio che i Senoni dopo essere calati nella area Cisalpina, si stanziarono fra i fiumi Esino ed un fiume romagnolo che, a parere di molti studiosi sarebbe il Montone, cioè il fiume che passa fra Forli e Faenza. Questo significa che almeno nei primi tempi non tutta la Romagna era sotto i Galli Senoni, una buona fetta si sarebbe trovata sotto i Galli Boi. La prospettata derivazione del Senio dai Senoni, farebbe ritenere fondata l’ipotesi che ad un certo momento i Senoni siano risaliti verso il territorio dei Boi, in tal caso il Calvetti ed il Servadei avrebbero pienamente ragione.
Confine in epoca romana.
Nei primissimi tempi del dominio romano, le nostre zone facevano parte di una non ben definita Gallia Cispadana, solo all’epoca di Augusto il territorio romano viene diviso in regioni. A quel tempo le regioni non avevano un nome, erano identificate solo grazie a dei numeri, le nostre zone furono inglobate nella VIII° regione. A parere di molti studiosi la VIII° regione corrispondeva alla attuale regione Emilia- Romagna, questo è vero solo in parte, infatti comprendeva dei territori che ora non ha più ( Oltrepò Pavese e Mantovano), ed era mancante di territori ora facenti parte della nostra regione ( Ferrarese e Sarsinate). Contrariamente a quello che qualcuno scrive, al tempo di Augusto (31 a.C. - 14 d.C.) non esisteva alcuna regio Emilia: infatti Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella sua descrizione della regio VIII° non usa mai il nome Emilia.
Solo al seguito di una divisione amministrativa avvenuta verso la fine del II secolo d.C, le regioni iniziarono ad essere identificate con un loro nome, ebbene il nostro territorio regionale venne incluso nelle regioni Aemilia e Flaminia . Non è chiaro quale fosse esattamente il territorio di queste due regioni. Stando ad un elenco fatto alcuni decenni dopo, l’Aemilia era unita alla Liguria e la Flaminia era unita al Piceno..
Considerato che questi temi sono molto contestati, ritengo opportuno farne un doveroso approfondimento. Iniziamo col cercare di conoscere a quale data risale il primo ricordo di una regione chiamata Aemilia. A parere di molti, il primo ricordo si troverebbe negli Epigrammi del poeta romano Marziale, cioè verso la fine del I° secolo d.C. Non è chiaro ciò che avrebbe effettivamente detto Marziale, questi, trovandosi a Foro di Cornelio (Imola) e avendo spedito il suo III Libro, dice che si trova nella regione attraversata dalla via Emilia. Nel Libro VI, avendo spedito un altro libro, dice dalla Emilia, ma non ricorda espressamente la regione Emilia. Perciò è difficile dedurre da Marziale, che al suo tempo esistesse una regione così chiamata: molto probabilmente la sua seconda espressione è solo un modo sintetico e colloquiale per indicare, appunto la regione attraversata dalla via Emilia e non il nome ufficiale della regione. Non si può escludere, ma sarebbe molto strano, che fra il libro III ed il libro VI, vi sia stato il “trapasso” da “via a “regio”, al riguardo le fonti tacciono.
Il primo ricordo ufficiale cioè amministrativo di una regione chiamata Emilia, risale all’epoca di Commodo (180-192), ma a tale epoca si trova già ricordata pure la regione Flaminia. Perciò a mio parere non è mai esistita in epoca romana una” regio Aemilia” che corrispondesse territorialmente all’attuale regione Emilia Romagna, quando comparve la prima volta tale dicitura, si intendeva la attuale Emilia e altre zone fra cui la Liguria Altrettanto dicasi per Flaminia, almeno per i primi tempi , si intendeva il territorio della attuale Romagna ed altri territori marchigiani.
Vediamo ora se è possibile individuare , nel corso di tutto il periodo romano, quale era l’esatto confine fra l’Emilia e la Flaminia, precisando che, a parere di molti, tale confine era segnato dal fiume Panaro, per alcuni il Santerno, per pochissimi, il Sillaro.
Iniziamo l’indagine chiedendoci la ragione per cui la regione Flaminia aveva tale nome; c’è chi dice che ha preso tale nome perché attraversata da una anonima strada, ebbene una strada che dalla via Emilia , tenendo il crinale fra il Sillaro e l’Idice , andava verso la Toscana, è stata da tempo rintracciata, si tratta della cosi detta Flaminia “minor”. Ebbene , secondo il Susini, tale strada aveva pure un tragitto “padano”, cioè andava verso la “bassa”, seguendo più o meno il corso dell’attuale Reno, perciò lungo il confine della Romagna. Effettivamente una strada chiamata Flaminia che dalle colline imolesi arriva al mare, si trova chiaramente evidenziata nella carta geografica che il Coronelli disegnò nel 1707. Non dovremo sorprenderci se un giorno constateremo che questa strada attraversava tutta la Romagna e si congiungeva alla via Flaminia proveniente da Roma. D'altronde all’epoca dei Carolingi, il tratto romagnolo della via Emilia era detto Flaminia.
Vi sono perciò buone ragioni per ritenere che in epoca romana il confine fra la Flaminia e l’Emilia fosse segnato dal Fiume Sillaro.
Nel IV secolo vengono istituite varie “provincie ecclesiastiche”, ebbene la Emilia faceva parte della giurisdizione milanese, la Flaminia invece dipendeva dalla romana.
(Da una lettera scritta da S. Ambrogio, a quel tempo vescovo di Milano, molti studiosi hanno dedotto che sicuramente Imola facesse parte della giurisdizione milanese. La stessa lettera farebbe pensare che anche Faenza avesse la stessa dipendenza, ma come già annunciato ritornerò prossimamente su questo specifico tema.)
Confine nel periodo barbarico.
Le nostre zone, essendo continuamente attraversate da orde barbariche, erano di fatto “terre” di tutti o di nessuno , sarebbe perciò assurdo cercare di individuare l’esistenza di qualche confine. Due notizie indirette meritano comunque di essere riportate, non tanto per problemi di confine ma in quanto segnalano la situazione geografica di Bologna: scrive Zosimo che Alarico, re dei Visigoti, nel 408, essendo diretto a Rimini, oltrepassata Bologna , avrebbe attraversato “tutta l’ Emilia”; nella prima metà del V° secolo, è testimoniata in Italia la presenza di Sarmati, popolo di provenienza iranica, ebbene, alcuni di questi si trovavano a Bologna”città della Emilia”. Quindi, Bologna in tale periodo, non era in Romagna, ma in Emilia.
Confine Esarcale-Longobardo-Franco.
Questo è sicuramente il più confuso e perciò più contestato confine.
Nonostante che il Diehl, cioè il maggior studioso di questo periodo, abbia evidenziato per tale periodo, l’indeterminatezza dei confini, “difficile se non impossibile determinare i confini Esarcali”, molti studiosi asseriscono quasi inappellabilmente che il confine dell’Esarcato, sia nel periodo Bizantino che nel periodo Longobardo, che nel periodo dei Carolingi, ed anche oltre sia stato , salvo brevi periodi, segnato continuamente dal corso del fiume Panaro, perciò, a loro parere, un confine “secolare”, cioè “il vero confine della Romagna” Le note che seguiranno non intendono smentire l’esistenza di un confine Panaro, un confine storicamente ben documentato, ma far presente che detto confine è stato, nel corso delle conquiste Longobarde, spesso male interpretato , e successivamente è stato confuso, in quanto gli storici antichi, a cui poi hanno attinto molti storici moderni, avevano tenuto in troppa considerazione le varie “donazioni “ dei Franchi a favore dei Papi, molte delle quali sono poi risultate dei falsi colossali. Perciò il Panaro, più che un confine di un vero territorio, spesso era solamente il confine di terre che i Papi pretendevano. Da una attenta analisi di alcuni documenti, risulta, contrariamente al parere di molti storici, che il Sillaro a più riprese ha segnato il confine fra Esarcato, cioè il territorio bizantino e la Langobardia, cioè il territorio occupato dai Longobardi.
Procediamo con ordine : finita la bufera barbarica, arrivano nelle nostre zone i Bizantini, i confini che loro creano hanno lo scopo di proteggere da tutte le parti la città di Ravenna. Una loro linea confinaria da più fonti ricordata (Catalogo Madrileno, Paolo Diacono ecc), fu tracciata a metà del versante appenninico, ed era detta Provincia delle Alpi Appennine.
Con l’arrivo in Italia dei Longobardi, la situazione dei confini cambia radicalmente, ogni tappa della inesorabile avanzata longobarda verso Ravenna, significava un nuovo confine. Verso il 600, il confine viene a trovarsi nella linea Luni-Monselice, verso il 640 diventa il corso del Panaro. Stando alle cronache dell’epoca, sembra che per un lungo periodo, i Longobardi non abbiano mai oltrepassato tale confine.
Nel 727 il re longobardo Liutprando, parte per l’ennesima volta alla conquista di Ravenna, l’impresa , stando al racconto di Paolo Diacono, gli riesce solo in parte, infatti conquista alcune città Esarcali fra cui Bologna e un non ben specificato Ducato di Persiceto. Imola, in questa occasione, non viene ricordata.
Questo Ducato di Persiceto, successivamente ricordato nel 733 in occasione di un altro tentativo di conquista, segnò per un certo periodo il confine fra Bizantini e Longobardi.
Molto si è discusso e si continua a discutere sull’esatta posizione e sui confini di questo ducato, l’opinione più diffusa è che si trovava fra Bologna e Modena, il cui centro poteva essere la città di San Giovanni in Persiceto.
Vediamo di approfondire cotesto problema storiografico, in quanto interessa particolarmente il tema che stiamo trattando. Nel 748 il vescovo Felice di Ravenna dice che le terre di sua competenza “vanno dal “Limes Persiceti” al mare,” e successivamente, precisando meglio dice “ tali terre che vanno da Imola al mare, corrispondono al confine Esarcale del 582, sotto l’imperatore Maurizio.
In vari documenti che successivamente riguardano il Ducato di Persiceto vengono ricordate alcune località che si trovavano nel limite orientale di questo ducato; Pedriolo, Lignano, e Monte Cellere, ebbene dette località si trovano nelle immediate vicinanze del Sillaro.
Da tutte queste testimonianze si ricavano notizie importanti: che un tratto del Limes Persiceti , cioè il confine formatesi al seguito della avanzata longobarda del 727, si trovava fra Imola e Bologna, e non fra Bologna e Modena, e, molto interessante, in quanto non riportata da altre fonti, il confine Esarcale, almeno attorno nel 582, si trovava sulle stessa linea, cioè sul Sillaro!
Ritorniamo alle avanzate longobarde per vedere se vengono ricordati altri confini. Da due testimonianze, indirette ma sicure, risulta che nel 743 il nuovo confine era segnato dal fiume Santerno, tentiamo di localizzarlo esattamente: crinale dalla parte montana fino alla via Emilia, difeso dai castelli di Monte Battaglia, di Limisano e Limadiccio, poi proseguimento in pianura lungo un tratto della via Longa, difeso dal castello di Limitealto, ed il corso antico del Senio –Santerno che, come è noto passava vicinissimo a Bagnacavallo. Una conferma che questo tracciato poteva corrispondere ad un limes è costituito dal fatto che è ricordata in loco una forestum magnum, una vasta area delimitata dal corso antico del Senio-Santerno, che nel 744 Liutprando donò alla chiesa faentina. Non è chiaro quanto abbia durato questo nuovo confine, ma sicuramente non molto, infatti, come abbiamo visto, nel 748, cioè all’epoca dell’arcivescovo ravennate Felice, il confine fra longobardi e bizantini si trovava al limes Persiceti, oltre Imola, cioè sul Sillaro.
Non si può non prendere atto che all’epoca detto confine era molto “ballerino”, ma occorre tenere conto, che seppur non sempre documentato , deve per forza essere stato segnato dal corso del Sillaro, in caso contrario sarebbe difficile spiegare le differenze culturali fra i territori delimitati da questo fiume, differenze che non si riscontrano nel Senio-Santerno e tanto meno in corrispondenza di altri corsi di acqua. Si pensi anche solo alle alla misurazioni delle terre: al di là del Sillaro veniva fatta con la pertica longobarda di 12 piedi, mentre al di qua si usava la pertica romana di 10 piedi. A dimostrazione dell’esistenza e della lunga durata di questo importante confine, sono state trovate, lungo il Sillaro, resti di fortificazioni.
Fino al 774, cioè al termine della dominazione longobarda, non risulta che detto confine abbia subito delle variazioni, mentre invece, secondo alcune fonti, col dominio dei Franchi, il confine sarebbe diventato di nuovo il Panaro.
A questo punto, considerati i ” buoni rapporti” che subito si instaurarono fra Papi e Franchi, mi pare opportuno ripetere la doverosa precisazione già fatta: il Panaro, più che un confine di un vero territorio, spesso era solamente il confine di terre che i Papi pretendevano.
Nonostante i buoni rapporti, donazioni, privilegi ecc, non mancarono lotte per il potere fra imperatori e Papi, fra Papi e Vescovi, fra conti e marchesi, perciò periodo confuso con continue variazioni territoriali. Difficile distinguere i confini ecclesiastici dai confini civili, al riguardo è stata fatta molta confusione, un esempio per tutti: considerato che grazie ad alcune donazioni, la giurisdizione ecclesiastica ravennate, a volte detta anche Esarcato di Ravenna , arrivava quasi alle porte di Milano, quando si diceva “ Bologna in Romagna,” non si doveva intendere che Bologna faceva parte della Romagna, ma che faceva parte della giurisdizione ecclesiastica ravennate. Perciò, al seguito di questa importante constatazione, quando si cerca la posizione territoriale che la città di Bologna ha avuto nel tempo, occorre sempre distinguere se si tratta di documenti civili, oppure ecclesiastici. Molti studiosi, non avendo fatta questa distinzione, sono stati portati spesso “fuori strada”. Devo riconoscere che nel corso del mio precedente articolo, spesso sono anche io caduto in tale errore. Tale confusione finirà solo nel 1582 quando anche la chiesa bolognese diventerà metropolitana.
Durante il periodo franco compare per la prima volta la dicitura Romagna. Molto si è discusso sulla esatta derivazione di questa parola; per qualcuno deriverebbe da Roma Magna, cioè grande Roma, da altri invece da Roma Magno, cioè dal Re dei Franchi Carlo Magno, ma l’opinione più diffusa e probabilmente esatta è che deriverebbe da Romania, cioè da terra degli ultimi romani.
Confine fra Longobardia e Romagna
Nonostante la fine della dominazione dei Longobardi, le terre da loro conquistate continuarono per secoli ad essere chiamate Longobardia , e quelle Bizantine Romagna.
Abbiamo già sottolineato la difficoltà di distinguere i confini ecclesiastici da quelli civili, perciò per continuare la ricerca del confine fra la città di Imola e quella di Bologna, che corrisponde anche al confine antico fra la Romagna e la Longobardia e al moderno fra Emilia e Romagna, non resta che riportare documenti riguardanti in particolare la posizione territoriale di Bologna, Moltissimi sono i documenti al riguardo, per brevità si riportano solo i più significativi.
Anno 905; privilegio di Berengario, Bologna “Longobarda”.
962; Ottone I° riceve da Leone VIII° terre esarcali, non vi è Bologna.
980; sotto il vescovo bolognese Adelberto, la popolazione bolognese è detta “Longobarda”.
999; i vescovi Ravennati detengono il dominio sopra un territorio che si estendeva dall’alto imolese al mare, un dominio a suo tempo, riconosciuto a loro anche da Ottone III°.
1114; viene eletto papa Lucio II° che essendo nato a Bologna viene detto “Longobardo”.
1262; in una bolla papale Bologna è detta “Longobarda”.
1306;dagli atti riguardanti una discussione sui confini della Romagna, risulta che al riguardo vi erano molte incertezze. Incertezze che vengono messe in risalto anche da Dante, questi, riferendosi al periodo esarcale , descrive una Romagna molto più grande di quella odierna, ma quando descrive i confini vigenti ai suoi tempi cita solamente le sette città romagnole, cioè le sette sorelle.
Chiarissimo invece il documento del 1475; papa Sisto IV° è costretto ad intervenire con un suo Breve per porre termine alle continue discussioni sui confini della Romagna e specifica, in modo definitivo, che i confini della Romagna devono seguire “il corso del Sillaro e la strada di Dozza”.
Confine dal Rinascimento ad oggi.
Iniziamo con le testimonianze riportate dai due geografi più illustri, il Biondo e l’Alberti. Il Biondo, basandosi esclusivamente sulle fonti classiche, dice che il Panaro ha segnato il confine della Romagna. L’Alberti , pur ricordando il Panaro fa presente che al suo tempo vi era anche chi diceva che tale confine era stato segnato pure dal Santerno.
Chiaramente il confine Sillaro si trova ben evidenziato nelle carte geografiche iniziando da quella che il Magini da alle stampe nel 1589. Con questa sua carta il Magini fa una ottima precisazione: si tratta della” Romagna of Flaminia”, cioè Romagna un tempo Flaminia.
Segue ora un lungo elenco, ma potrebbe essere ancor più lungo, di carte geografiche ove si trova chiaramente tratteggiato il confine Sillaro. 1640 Blaeu. 1649 Briet. 1661 Bonoli. 1694 Titi. 1707 Coronelli. 1755 Boscovich. 1784 Zatta. 1792 carta napoleonica. 1805 Cassini.
Non mancano anche antiche “cronache di viaggi”, come per esempio quelle del fiammingo Schott e del Lassel, ove si ha la possibilità di veder chiaro la posizione e la funzione sia del Panaro che del Sillaro.
Seguono ora alcune date che meritano di essere ricordate: 1816, Imola ed il suo circondario si trovano in provincia di Ravenna. 1859, Farini “cancella” provvisoriamente la Romagna. 1859, Imola viene mesa in provincia di Bologna.
Riassumendo e concludendo: a parere di molti studiosi, salvo brevi periodi, il Sillaro non avrebbe mai segnato il confine della Romagna, i dati che io ho portato dimostrano invece che, salvo brevi periodi, il Sillaro ha sempre segnato il confine della Romagna, non mi pare perciò, come vorrebbe il Balzani, che questo sia un confine immaginato.
Una lunga e continua permanenza di un confine naturale fra due aree, non poteva non lasciare un “segno” nel territorio e nella popolazione. Lungo sarebbe l’elenco delle differenze fra l’aldiquà e l’aldilà, non solo come abbiamo già detto, flora e fauna, ma anche tutta una serie di diversità facilmente riscontrabili: culinarie, linguistiche, folkloristiche, pratiche agricole, ecc. Il Sillaro ha fatto da confine fra benedettini filopapali e filoimperiali, come pure segna attualmente un confine costituito dalla densità degli insediamenti umani, un confine poco noto, ma non per questo meno importante, perché sicuro retaggio di antiche vicende.
Ultimissima considerazione: il Tibiletti, validissimo storico, sorpreso nel constatare che il confine che in epoca romana aveva la regione Flaminia, cioè il Sillaro, corrisponda ancora, nonostante i grandi sconvolgimenti storici, al confine attuale della Romagna, si chiede, se per caso tutto ciò, non sia “mera causalità”. Per quanto mi riguarda, forte della mia “teoria dei confini”, sarei sorpreso del contrario!!

PRO E CONTRO L’AUTONOMIA DELLA ROMAGNA

Premessa

Avendo terminato il mio compito di “storico”, e non essendo n’è un politico , neanche un economista e tanto meno un legislatore, ma semplicemente un “uomo della strada”, entro nel merito di questo dibattuto tema con lo scopo, se possibile, di fare e di chiedere che venga fatto al riguardo, un po’ di chiarezza. Chi ha seguito un po’ del dibattito in corso, si sarà facilmente reso conto che spesso, specialmente da parte di alcuni politici, vengono fatte delle affermazioni, I romagnoli andranno peggio, i romagnoli andranno meglio, senza che siano portati gli indispensabili concreti esempi.
Per non essere frainteso, tengo a precisare che sono favorevole alla Regione Autonoma romagnola, come a suo tempo, fui favorevole alla creazione della Regione autonoma Molisana, come sarò favorevole ad altre richieste di autonomia qual’ora abbiano le caratteristiche richieste dalle leggi vigenti.
Inizio questo approfondimento mettendo in risalto le due ragioni fondamentali che mi hanno spinto ad essere favorevole a detta autonomia: prima, sono state fatte le altre regioni e considerato che la Romagna, avendone le caratteristiche richieste, merita di esserla non meno delle altre, non vedo il perché, se richiesto dalla maggioranza dei romagnoli, non debba esserle dato la stessa opportunità. Seconda, i romagnoli, come gli abitanti delle altre regioni italiane, hanno diritto di decidere loro il loro destino. Solo dimostrandomi che , contrariamente agli abitanti di tutte le altre regioni, solamente i romagnoli non sono in grado di “camminare con le loro gambe”, rivedrei questa ultima ragione.
Possibile che solo i Romagnoli non siano all’altezza dei compiti eventualmente assegnateli? Aveva forse ragione l’antropologo Guglielmo Ferrero che considerò i romagnoli “popolo allo stato primitivo”, cioè poco meno che dei “beduini”? Nel 1946 il territorio romagnolo fu quello che diede il maggior numero di voti alla repubblica, nel 1979 espresse la più alta percentuale di voti per l’elezione dei parlamentari europei. Si veda, nonostante che l’Italia abbia migliaia di Km di spiagge marine, come i Romagnoli abbiano, prima che altrove, creato un complesso turistico superato nel mondo solo da quello della Florida, non è poco per dei “beduini”!
Qualcuno potrebbe giustamente obiettare che quelle riportate, per quanto importanti, sono solamente ragioni di “principio”, e che per chiedere la autonomia della Romagna, occorrono delle ragioni “sostanziali” cioè che contengano vantaggi reali. Si tratta di una giusta e comprensibile obiezione, specialmente se si tiene conto che gli oppositori della Autonomia Romagnola, “bombardano” continuamente l’opinione pubblica facendo presente, naturalmente senza alcune spiegazione, che con la autonomia i romagnoli hanno solo da rimetterci.
Una domanda a questo punto è d’obbligo: i romagnoli ci guadagneranno o ci rimetteranno? Altrettanto d’obbligo è una risposta. Prendo atto che non è facile rispondere ad una domanda riguardante una situazione non ancora realizzata, ma dando uno sguardo alle altrui esperienze, è possibile ricavare importanti elementi.
Solo diventando regione Autonoma”, si ha diritto a delle “competenze”, per esempio potere fare delle leggi regionali che ci riguardano. Sanità, trasporti, turismo, urbanistica, agricoltura ecc. Considerato che tutte le altre regioni italiane approfittando di queste “competenze”, hanno tratto grandi vantaggi, perché solo la Romagna dovrebbe rimetterci?
Solo diventando regione autonoma”, si ha diritto del Tribunale amministrativo, della sede regionale Rai, delle varie soprintendenze, di un ospedale con delle super specialità regionali, degli investimenti riguardante la università. Considerato che tutte le altre regioni italiane ne hanno approfittato con grandi vantaggi, perché solo la Romagna dovrebbe rimetterci?
Solo diventando regione Autonoma,” abbiamo diritto di mettere un nostro rappresentante a Roma nel senato delle regioni(assemblea permanente stato-regioni), ove fra l’altro , si possono far proposte di leggi nazionali. Considerato che tutte le altre regioni hanno messo un loro rappresentante e ne traggono molto profitto,perché solo la Romagna dovrebbe rimetterci?
Solo diventando regione Autonoma, abbiamo diritto di mettere un rappresentante nel comitato delle regioni in Europa. Si tratta di un organismo a livello mondiale della massima importanza, infatti è possibile contattare gli operatori e fare affari senza dover “sottostare”alle strutture nazionali. Considerato che tutte le regioni italiane ed estere hanno approfittato di questa opportunità traendone grande profitto, perché solo la Romagna dovrebbe rimetterci?
Si tenga presente , che le regioni stanno acquisendo sempre più “competenze”, perciò non approfittarne significa perdere delle grosse occasioni. Mi pare che l’evidenza di questi “vantaggi”, ma non sono gli unici, non possano essere messi in discussione, chi dice che con l’autonomia della Romagna “i romagnoli hanno tutto da rimetterci”, dovrebbero dare qualche ulteriore spiegazione.
Dicevo prima che per permettere un “voto cosciente”, nel caso che venga indetto un referendum sulla autonomia della Romagna, occorre una corretta informazione, ebbene per far fronte a questa necessità , riporterò anche “le ragioni che portano gli avversari della Autonomia Romagnola”.
Prima le elenco poi le discuto.
1)Che stiamo andando in Europa e perciò è assurdo fare la Regione Romagna.
2)Con la globalizzazione stanno cadendo le frontiere perciò è assurdo creare nuovi confini.
3)La Romagna da sola sarà una piccola regione, perciò meno competitiva, più tasse, più povera.
4)Romagna regione, un nuovo ente, un nuovo carrozzone, altri impiegati, altra burocrazia, altre spese.
5)Emilia Romagna, una regione ricca, forte, competitiva, romperla significa danni per tutti, in particolare per i Romagnoli.
6)Facendo la regione Romagna si corre il rischio di rompere l’unità d’Italia.
7)A causa del noto “campanilismo romagnolo”, conflitti fra i romagnoli per designare la nuova capitale.
Ho riportato queste ragioni in quanto non ne conosco delle altre, ma se ci sono volentieri sarei felici di farne conoscenza. Approfitto per fare una doverosa precisazione: sono per la Romagna Autonoma in quanto fermamente convinto che i Romagnoli dal distacco abbiano tutto da guadagnarci, ma se venissi a conoscenza dell’inverso, anche io, come tutti quelli del M.A.R, non avrei problema a rivedere tutto, questo per dire che io, come tutti quelli del M.A.R, non sono animato da nessun “altro” interesse.
Commentiamo ora i punti “contrari” prima elencati.
1)Che stiamo andando in Europa perciò…
Sarà l’Europa delle regioni e non l’Europa delle nazioni, , il consiglio europeo consiglia di fare ovunque delle regioni anche senza tener conto dei confini nazionali. Considerato che come ho già detto, che gli affari mondiali si fanno a Bruxelles, una delle ragioni per fare la Romagna autonoma è proprio perché siamo andati in Europa.
2) Al seguito della globalizzazione sono cadute le frontiere, perciò…
Purtroppo sta accadendo qualcosa di imprevisto; l’uomo è di fatto diventato “cittadino del mondo”, ma si sente solo, sente l’impellente necessità di ritrovarsi con i suoi simili, con le persone della stesa etnia e cultura. Tutto il mondo si trova investito dal “vento”, impropriamente detto delle “piccole patrie”, ma non si tratta di egoistiche chiusure, infatti tutti questi popoli hanno capito che per quanto ricca sia la loro nazione, non possono vivere con le sole loro risorse. Quello che invece non si vuole capire è che questi popoli non vogliono essere inquilini in casa loro, vogliono decidere loro il loro destino. Perciò senza timori si lascino tracciare nuovi confini, in quanto, come nel caso Romagna, si tratta solamente di confini amministrativi. Questo è l’unico modo per evitare conflitti.
3)La Romagna da sola più piccola, più povera, più tasse…
Non è affatto detto che la povertà o la ricchezza di una regione si misura dai Km quadrati del suo territorio, oppure dal numero dei suoi abitanti; se così fosse le regioni grandi sarebbero tutte ricche e le piccole tutte povere. Altre sono le ragioni che creano la ricchezza o la povertà di una determinata area: fertilità del terreno, risorse minerarie, voglia di lavorare dei suoi abitanti, ma in particolare è quello che si è in grado di offrire al mercato. Chi vuol venire in Italia a passare le vacanze, oppure chi vuole acquistare la nostra frutta, non chiederà mai quanti abitanti ha la Romagna, ma piuttosto se siamo ricettivi e come produciamo tale frutta. La popolazione romagnola ha una grande capacità creativa, “liberiamo” tale creatività, leviamoci i lacci e laccioli “bolognesi”, e si vedrà se siamo o non siamo competitivi, altro che regione povera, vi sono le premesse per diventare la più ricca. Completamente sbagliata è la “profezia” che diventando una piccola regione saremo costretti a pagare più tasse, i dati Istat dicono il contrario: nella classifica italiane delle regioni col più elevato prelievo fiscale, le piccole regioni si trovano quasi tutte agli ultimi posti, al primo posto si trova l’Emilia-Romagna.
4)Romagna regione, nuovo ente, nuovo carrozzone, nuove spese..
Chi dice questo sa che non è vero: come è stato fatto in occasione della istituzione della provincia riminese, gli impiegati sono stati “scorporati”, sicuramente ogni cosa ha un costo, ma si deve anche tener conto dei sopra citati vantaggi. Per i romagnoli fare la regione autonoma è un investimento. Sorprende non poco che chi si preoccupa delle spese che andremo incontro, non si sia minimamente preoccupato delle spese a suo tempo fatte per altre consimili operazioni: Molise, provincia di Rimini, possibile che solo per la Romagna siano soldi buttati via?
5)Emilia- Romagna, regione forte, ai primi posti come tenore di vita, romperla significa impoverire entrambi, ma in particolare impoveriranno i romagnoli.
Questa preoccupazione non è da sottovalutare, dividerla significa regione meno forte e forse meno ricca, purtroppo, la attuale ricchezza è mal distribuita; le provincie emiliane, eccetto Ferrara, si trovano ai primi posti delle provincie più ricche, le provincie romagnole, molto più indietro.
Di chi la colpa? difficile dirlo, io mi limito a portare un dato significativo; nel 1970, cioè all’entrata in funzione della istituzione regionale, il reddito dei romagnoli era l’88 % di quello bolognese, ebbene nel 2001, lo steso reddito è sceso al 72%.
C’è solo un modo per vedere di chi è la colpa, lasciare i romagnoli al “loro destino”.
Anche io formulo al riguardo una facile “profezia”: se si divide l’Emilia dalla Romagna una di questa potrebbe impoverire, ma non sarà la Romagna!
6)Facendo la regione Romagna si corre il rischio di rompere l’unità d’Italia…
Nella mia vita ho sentito tante sciocchezze, ma questa le supera tutte! Non si è rotto l’unità d’Italia nel 1947, quando si fecero tutte le regioni, nemmeno nel 1963 , quando fu fatto il Molise, ma perché dovrebbe rompersi facendo la Romagna? Forse chi dice questo non sa che facendo la Romagna autonoma, non si fa altro che effettuare una divisione amministrativa, col risultato che invece di 20 avremo 21 regioni.
Sorprende, che nonostante sia una grande sciocchezza, qualcuno ci crede, forse è per questa ragione che viene detta. Racconto un aneddoto significativo: in un imprecisato giorno della estate scorsa, rientrando in treno da Bologna, iniziai, con un mio occasionale compagno di viaggio a parlare della autonomia romagnola, ebbene ad un certo punto, una persona anziana, che poi ho appreso era di Bologna, interviene facendo presente che lei era contraria alla regione Romagna. Incuriosito chiedo di spiegarne le ragioni, questa mi fa presente che aveva a Imola una figlia sposata , e che ogni tanto, senza avere grandi problemi, voleva andarla a trovare, e, a conferma delle difficoltà che poteva andare incontro facendo la Romagna autonoma, mi fa vedere un articolo di un giornale, ove era scritto che era bene “attraversare “ ora la Romagna, “prima che si facessero le frontiere”. Tranquilizzo la signora facendogli presente che in caso di Romagna Autonoma, potrà tranquillamente visitare la figlia senza dover passare, frontiere e dogane, cioè potrà venire ad Imola come ora può andare in Toscana ed altrove. Si può capire la buona fede della signora, più difficile “capire” quel giornalista, e quelli che mettono in giro tali sciocchezze.
7)In caso di regione Romagna , problemi per trovare quale sarà la nuova capitale…
Tanto per iniziare , questo sarà un problema dei romagnoli e sicuramente lo risolveranno senza bisogno di chiedere consigli agli attuali “tutori” .
Come è noto, grazie alla telematica , i nuovi assessori regionali potranno essere disseminati nei luoghi di loro “competenza”, (turismo a Rimini, agricoltura a Cesena, cultura a Ravenna ecc), perciò la capitale potrà essere anche un piccolo centro. Si pensi ai vantaggi al seguito di tale “distribuzione”, non occorrerà più recarsi per ogni pratica in grandi centri, con tutti i problemi di traffico, parcheggi, targhe alterne ecc. Altro che “carrozzone!!”sarà una regione “modello”, un esempio come risolvere alcuni problemi strutturali delle altre regioni. Tempo fa si pensava che ogni regione avesse assolutamente bisogno di un grande centro ”aggregante”, finalmente ci si è accorti del contrario.
I problemi riguardanti la autonomia della Romagna sono infiniti, perciò non si ha la pretesa di sollevarli tutti, ma ve ne sono ancora alcuni che meritano di essere discussi.
Dopo aver letto il fin qui detto, qualcuno potrebbe giustamente farmi osservare che l’Emilia – Romagna ha i propri rappresentanti sia a Bruxelles che a Roma e che la Romagna ha i suoi consiglieri in regione; conseguentemente la Romagna, anche senza dover fare la regione autonoma, si troverebbe già adeguatamente rappresentata. Effettivamente i consiglieri romagnoli si trovano in buon numero nella giunta regionale, “ma messi come sono , non contano quasi niente! Questa non è una “battuta”, ma la cruda realtà. Vediamo di approfondirla in quanto per la nostra causa è determinante. Purtroppo la realtà economica Emiliano –Romagnola non è omogenea, nelle provincie emiliane predomina l’industria ed il commercio, in quelle romagnole invece il turismo e la frutticoltura, loro guardano a Nord Est, noi verso il “lago Adriatico”, interessi perciò divergenti! Considerato che nella giunta regionale i consiglieri romagnoli sono 13 su 50, quando vengono prese delle importanti decisioni, per esempio i finanziamenti, essendo questi in minoranza, le decisioni le prendono gli altri, cioè i consiglieri delle provincie emiliane, che avendo interessi diversi da quelli romagnoli, ma convergenti fra loro, decidono di conseguenza. Una scelta fatta per una provincia emiliana andrà sicuramente bene anche per le altre provincie emiliane, ma difficilmente andrà bene per le provincie romagnole. Giustamente agli emiliani non interessano i problemi del nostro turismo, come a noi non interessano i problemi del parmigiano reggiano! Il problema è di fondo! Le decisioni al riguardo di ciò che abbiamo bisogno, leggi, finanziamenti ecc, dobbiamo prenderle noi, direttamente, senza intermediari!
Termino “toccando” un tema che mi sta particolarmente a cuore, o meglio, a quanto pare, sta a cuore anche agli oppositori della autonomia romagnola. Questi sollevano una motivazione che effettivamente “colpisce”; si ergono a paladini di una unità e perciò condannano ogni scelta che può portare a qualche divisione. Occorre onestamente riconoscere che si tratta di un ottimo “principio”, purtroppo in questo caso “a senso unico”! Ma perché non si sono preoccupati quando fu fatto il Molise e le nuove provincie? Anche quelle sono state “divisioni”.
Non solo; perché non si preoccupano del fatto che i romagnoli sono già divisi, in parte nelle provincie di Ravenna, Forli, Rimini, e in parte nelle provincie di Bologna, Firenze, Arezzo e Pesaro? Anche queste sono “divisioni” che dovrebbero essere intollerabili per chi è veramente contro tutte le divisioni e favorevoli all’unione dei popoli! Concordo in pieno che le divisioni sono sempre dolorose, divisioni delle famiglie, divisioni di popoli, ma il “matrimonio” fra Romagna ed Emilia, fu un matrimonio innaturale, voluto dal governo Sabaudo in quanto noi romagnoli eravamo considerati “teste calde” e “pericolosi sovversivi” e perciò fummo consegnati alla “tutela” dei “moderati” emiliani. Fu un matrimonio forzato, non richiesto, non consenziente, che perciò merita di essere annullato per “incompatibilità culturali ed economiche”. Il senso civico dei romagnoli, giustamente messo in evidenza dal Putnam, non è secondo a nessuna altra popolazione italiana, perciò non abbiamo più bisogno di un “tutore”. Tutti, compreso gli “oppositori”, sanno benissimo che Autonomia della Romagna non è altro che il primo passo per “unire” tutti i romagnoli in una unica regione, cioè per porre fine ad un vergognoso e secolare “smembramento”, infatti , fra non molto, i romagnoli delle provincie di Ravenna, Forli Rimini e del circondario imolese, saranno chiamati , grazie all’apposito referendum, a pronunciarsi al riguardo della Romagna Autonoma, e dopo averla fatta, anche gli altri romagnoli , potranno, entrare in Romagna.
Ultimissima osservazione: Chi ha avuto la pazienza di leggere questo scritto, avrà osservato, pur essendo la Autonomia Romagnola un problema anche politico, che non ho citato nessuna forza politica. Ebbene mi si perdoni l‘eccezione; conoscendo il comportamento che i partiti hanno tenuto al riguardo di questo tema , dalla costituente alle altre successive occasioni, e confrontandoli sul come si comportano attualmente i loro “eredi”, capisco la ragione per cui, sia il democristiano Zaccagnini che il repubblicano Spallicci, si stiano rivoltando nella tomba, come pure comprendo la profonda amarezza del socialista Servadei.

APPENDICE

L’attuazione di eventuali regioni è regolato dall’articolo costituzionale n.132. Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse.
Non è chiaro cosa si debba intendere “ popolazioni interessate”.
Per qualcuno, in riferimento al tema Romagna, dovrebbe intendersi che a decidere siano solo i romagnoli, per altri invece, che dovrebbero pronunciarsi anche gli emiliani. Sicuramente i costituenti non furono al riguardo molto chiari. Senza alcun dubbio “interessati” lo sono tutti, anche l’Inghilterra, il Belgio e l’Olanda, erano” interessati” al distacco delle loro colonie, significa questo che anche loro dovevano pronunciarsi al riguardo!
Logica vorrebbe che dovrebbero pronunciarsi solo quelli che chiedono il distacco, cioè i Romagnoli. Diverso e comprensibile sarebbe se la Romagna si trovasse “fuori” e volesse “entrare” in Emilia, cioè chiedere una fusione, in tal caso, ma solo in tal caso, tutti dovrebbero essere “consenzienti”, e conseguentemente tutti dovrebbero pronunciarsi.
Come appare evidente, occorre una revisione costituzionale del art 132, alle parole “ delle popolazioni interessate” occorre aggiungere “ che chiedono di formare una nuova regione.” In caso contrario addio alla sacrosanta “autodeterminazione dei popoli”.
PER SAPERNE DI PIU
G.Sgubbi , Il Sillaro confine della Romagna. 2003
S.Servadei, Romagna regione perché. 1991
Caffè Romagna, Mensile per la gente di Romagna Diretto da Paolo Soglia
La Romagna , settimanale diretto da Paolo Gambi
Comunicati del M.A.R. curati da Stefano Servadei.

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