sabato 2 febbraio 2019

la pazienza non basta

VINCE DUE RICORSI, MA IL FISCO SI RIFA' SULLA MOGLIE
Viene da Ravenna la segnalazione dell'ennesimo incredibile abuso perpetrato da Equitalia. Segnalazione inoltrata in redazione da Fabrizio, artigiano, lettore de L'Indipendenza, che vive nella città in cui è stato recentemente arrestato un funzionario dell'Agenzia delle Entrate, dopo aver intascato una tangente di quindicimila euro, versata da una commerciante che voleva levarselo di torno.
Fabrizio, fra le sue varie colpe, ha quella di aver lavorato, fino a 6 anni fa, all'estero. In Egitto, precisamente, dove riparava macchinari in uso da aziende italiane. Sia chiaro, Fabrizio era (ed è) un libero professionista. Non aveva e non ha una propria bottega artigiana. Semplicemente forniva prestazioni a chiamata.
Cittadino italiano, con residenza in Italia, Fabrizio dal 2001 ad oggi fa sempre se lue brave dichiarazioni dei redditi. Senza evadere nemmeno un centesimo. Anche volendolo non potrebbe, visto che lavora per aziende di dimensioni medio grandi, che hanno tutto l'interesse a fatturare i costi di manutenzione. Peccato che nel 2003 gli arrivi la prima, di una serie di contestazioni da parte dell'Agenzia delle Entrate. Come mai? Semplice: in base agli studi di settore, Fabrizio non poteva aver preso "solo" quello che dichiarava, pur abitando ancora, quantomeno nei momenti in cui tornava dall'Egitto, a casa con mamma e papa.
Fabrizio non ci sta e fa ricorso. Anzi, ne fa due, perché per due anni di fila, gli viene contestata
un'evasione inesistente. Oltre alle perdite di tempo, agli esporsi per bolli e benzina, Fabrizio è costretto, per dimostrare di avere ragione, a cacciare fino a 2.000 euro. Va bene che vive con mamma a papa, ma quelle tre saldatrici e quel Pick-up vecchio come il cucco, sembrano essere prova certa di evasione.
Passano i mesi e arrivano le prime proposte di conciliazione. Fabrizio, che sa di non essere nel torto, le rifiuta e va avanti con la sua battaglia: "Secondo il redditometro avrei dovuto guadagnare almeno 40.000 euro all'anno" spiega Fabrizio nella sua segnalazione. Peccato che a casa, dall'Egitto, portasse molto meno. "Quando rifiuti la conciliazione - spiega Fabrizio - ti arriva automaticamente una cartella, secondo cui, anticipatamente, al di là di quello che sarà l'esito del ricorso, devi saldare la metà di quello che secondo lo Stato è il dovuto."
Passane gli anni, Fabrizio si sposa, chiude il rapporto di collaborazione con le aziende "egiziane" e torna in Italia. Dove - sorpresa! - scopre di aver vinto entrambi i ricorsi. Ecco perché, carte alla mano, passa a riscuotere quanto aveva ingiustamente dovuto versare: spiacenti, gli esattori di Equitalia, gli spiegano che, oltre a non poter rientrare in nessun modo dei costi dovuti a commercialista e avvocato che lo hanno difeso, il 10% di quanto già devoluto, non gli sarà restituito. Trattasi infatti, di "oneri di riscossione" e altre varie ed eventuali.
Incazzato, ma felice quantomeno di aver risolto, seppur a proprie spese, il problema, Fabrizio rincasa e... udite udite, trova la moglie ad attenderlo con una nuova cartella esattoriale in mano. Indirizzata a lei, questa volta. "Dopo averci provato con me, non so se per caso o per vendetta, Equitalia è andata all'assalto di mia moglie - ci scrive Fabrizio, che non è sposato con una collega, ma con una di dipendente di sesto livello, che prende in busta paga 1200 al mese. "Senza nemmeno potermi spiegare come avrebbe potuto evadere una dipendente, gli esattori di Stato mi hanno contestato una cifra per noi esorbitante. Salvo proporre, in prima istanza, di chiudere il caso con una transazione di 10.000 euro."
Vistosi accerchiato, Fabrizio cede: "piuttosto di rischiare di doverne pagare 40.000 fra due o tre anni, più le spese di avvocati, bolli e chi più ne ha, più ne metta, mia moglie e io abbiamo preferito pagare. Tanto abbiamo capito quello che lo Stato vuole: solo soldi"

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