AL DI QUA E AL DI Là
DEL SILLARO
Note sui confini occidentali della Romagna dalla preistoria al Medioevo
AI MIEI FIGLI FAUSTO E FABRIZIO
Se i fatti dimostrano che un avvenimento
è
accaduto, il constatarlo è storia
Come
è noto, i confini storici della Romagna non coincidono con gli
attuali confini amministrativi che la riducono alle tre province di
Ravenna, Forlì e Rimini (1).
Purtroppo,
nonostante vari tentativi (2), questi confini non risultano ancora
geograficamente fissati, cioè ci sono ma non vengono ufficialmente
riconosciuti. Per il fatto stesso che la regione Emilia- Romagna è
designata da due nomi, corrispondenti a due aree distinte con una
loro delimitazione legislativa, dovrebbe essere indicato ed
evidenziato almeno il confine fra le stesse.
E,
di fatto, da tempi immemorabili il confine fra queste due aree
esiste, ed è segnato dal fiume Sillaro (dalla sua sorgente alla
confluenza nel Reno e dal Reno al mare) (3); e la consapevolezza di
questo confine, ben radicata nella popolazione, stabilisce un senso
di “appartenenza”: non a caso al di qua di questo fiume gli
abitanti si dicono Romagnoli, al di là si dicono Emiliani; tutto
quello che è al di qua si dice che è in Romagna, tutto quello che
è al di là si dice che è in Emilia.
Appare
quindi piuttosto improbabile che, come qualcuno vorrebbe far credere
(4), si tratti di un confine inventato o immaginato.
Scopo
di questo scritto è dimostrare che il corso di questo fiume, anche
se non ha sempre segnato esattamente il confine fra Romagna ed
Emilia, ha costantemente rappresentato un preciso discrimine tra i
popoli che si sono succeduti in questa zona da almeno 2500 anni (dai
Villanoviani agli Etruschi ai Romagnoli) e ha segnato confini
territoriali (regionali, provinciali, comunali, di diocesi, di
contado, di ducati, di legazioni, ecc.). Dati i limiti imposti al
presente lavoro, si prenderà in esame solo un tratto del confine
romagnolo; l’intenzione è di offrire comunque un contributo
alla tanto dibattuta questione se Bologna ha o non ha mai fatto
parte della Romagna.(5).
Sono
note le difficoltà che incontra chi si propone di descrivere
qualunque tipo di confine, non solo perché la documentazione è
spesso insufficiente e contradditoria, ma anche perché i cronisti
antichi erano interessati a far conoscere gli avvenimenti e non i
confini. Inoltre i confini hanno subito costanti cambiamenti, sia
perché spesso erano segnati da instabili corsi d’acqua, sia perché
venivano ridisegnati dal susseguirsi delle vicende belliche, in
quanto i vincitori ingrandivano il proprio territorio; e, considerato
che si era continuamente in guerra, si può immaginare quanto sia
arduo seguire cronologicamente le variazioni.
Nonostante
tali difficoltà, i dati fin qui raccolti mi hanno portato alla
convinzione che non esiste dalle nostre parti un confine più
importante di quello segnato dal Sillaro.
Iniziamo
l’indagine con un significativo confine antropologico. Nel 1879, il
colonnello medico Ridolfi Livi (6) riceve dal ministro della guerra
dell’epoca l’incarico di effettuare una indagine antropologica
su tutto il regno e dopo averla effettuata “fotografa” i
risultati raggiunti tratteggiando le varie aree geografiche italiane
in base alla consistenza cefalica: ebbene, dando uno sguardo alle
varie cartine, si noterà un ben diverso tratteggio in
corrispondenza del corso del Sillaro. Si tenga presente che, a
parere di molti antropologi, l’indice cefalico, cioè il rapporto
geometrico fra lunghezza e larghezza del cranio, è il più
importante degli indizi della diversità delle razze; perciò non si
può non essere sorpresi nel constatare un tratto distintivo di tale
portata in corrispondenza di un così piccolo corso di acqua. Anche
il più scettico degli studiosi dovrà ammettere che tale diversità
etnica non può essere frutto di recenti stanziamenti di popolazioni,
ma di lunghissime e antiche migrazioni.
A
parere di molti studiosi il Sillaro segna un ben visibile confine
naturale. Il Lucchi (7) inizia una sua conferenza con queste
parole:”la diversità dei romagnoli rispetto
ai bolognesi è confermata dalla geologia; la valle del Sillaro, come
riporta Zangheri, è la linea di separazione etnica,
geografica,(no-tare la diversità del paesaggio tra Sillaro e
Santerno) e geologica: cambia
l’accento, cambia il dialetto, cambia il vino e cambiano le rocce”.
Giustamente il Lucchi ha ricordato lo Zangheri (8): questi infatti
ha messo in evidenza la diversità non solo geologica ma anche della
fauna e della flora; grazie a lui apprendiamo che in Romagna vi sono
almeno un centinaio di piante e di animali introvabili al di là
del Sillaro (9).
Già
in epoca preistorica (VIII-IV) a. C questo fiume divideva
popolazioni con culture diverse; dice il Mansuelli (10) che il
Villanoviano Romagnolo è diverso da quello bolognese; la sua
opinione è condivisa dalla Bermond Montanari (11), che fa notare
come in Romagna i più importanti aspetti della cultura materiale
(armi, ceramica, oggetti ornamentali e funerari) si contrappongono
omogeneamente a quelli felsinei.
A
parere di Calvetti e di Servadei (12) esiste una contrapposizione
“etnopolitica” tra emiliani, eredi dei Galli Boi, e romagnoli
eredi dei Galli Senoni. L’esistenza di popolazioni tenute divise
dal Sillaro conferma l’indagine antropologica del colonnello Livi
(13).
Di
tale diversità non tennero conto i Romani. Infatti in età Augustea
l’Italia venne divisa in “regioni” e quella designata dal
numero VIII prese il nome di Aemilia
dal nome della strada che da Rimini arriva a Piacenza. Questa
Aemilia corrisponde
solo in parte alla attuale Emilia-Romagna; infatti comprendeva dei
territori che ora non ha più (Oltrepò Pavese e Mantovano), ed era
mancante di territori ora facenti parte della nostra regione
(ferrarese e sarsinate). Del fatto che tale regione riuniva
popolazioni diverse si accorse invece un altro imperatore romano,
Diocleziano, che pensò bene di dividerla in due parti: una detta
Aemilia ed una detta
Flaminia. Non è
chiaro quale fosse il confine esatto fra queste due regioni:
l’opinione più diffusa è che a quei tempi fosse segnato dal
Panaro.
Il
confine Panaro non sembra molto convincente. Anzitutto dovremmo
chiederci la ragione per cui la regione Flaminia
aveva tale nome. Non appare plausibile riferirlo alla via
Flaminia, che partiva da Roma e arrivava a
Rimini, perché non attraversava la regione; vi era invece una
anonima strada detta Flaminia II, che, partendo da una non ben
precisata località ubicata fra Imola e Bologna, arrivava ad Arezzo
(14).
Ebbene
secondo il Susini (15) tale strada aveva pure un tragitto “padano”,
cioè andava verso la “bassa“ seguendo più o meno il corso
dell’attuale Reno, perciò lungo il confine della Romagna. Non
dovremmo sorprenderci se un giorno constateremo che questa strada
attraversava tutta la Romagna e si congiungeva alla via
Flaminia proveniente da Roma. Per vari
secoli, fino all’inizio del periodo Longobardo, non esistono
ricordi di confine fra Flaminia ed Emilia; gli unici riferimenti
si possono ricavare da alcune testimonianze indirette. Da una lettera
scritta da S. Ambrogio nel 387 (16) si apprende il miserevole stato
in cui si trovavano ai tempi suoi le città allineate sulla via
Emilia. Egli inizia il suo elenco da Claterna (città romana che si
trovava fra Imola e Bologna), cioè la prima città della sua
giurisdizione. Come è noto la “provincia ecclesiastica”
Flaminia dipendeva invece da Roma. Altre testimonianze indirette:
scrive Zosimo (17) che Alarico nel 408, essendo diretto a Rimini,
oltrepassata Bologna avrebbe attraversato “tutta
l’Emilia”; nella prima metà del secolo
V, è testimoniata in Italia la presenza di Sarmati (18), alcuni dei
quali si trovavano a Bologna ”città della
Emilia”.
Questo significa che all’epoca di questi
documenti il confine fra Emilia e Flamina si trovava ad Est di
Bologna. In questo periodo scarseggiano le linee confinarie; l’unica
ricordata da varie fonti è una non ben precisata “Provincia
delle Alpi Appennine”, citata per la prima volta nel cosiddetto
“Catalogo Madrileno”; non si trattava in realtà di una provincia
ma di una linea difensiva tracciata dai Bizantini a metà del
versante Appenninico, dalla Liguria alle Marche, con lo scopo di
difendersi dal lato toscano sia dai Goti che dai Longobardi. Nel
catalogo vengono indicate le più importanti località di questa
linea difensiva, Ferronianum, Montebellum,
Bobbio, Urbinium e un non meglio identificato
oppidum Verona.
Uno di questi toponimi interessa da
vicino la presente ricerca: Montebellum, che da tutti gli
studiosi moderni viene collegato per motivi fonetici a Monteveglio
di Bologna. Unico significativo dissenso è quello del Mommsen (19):
a parere dell’autorevole studioso era più giusto collegarlo al
Monteveglio di Cesena. Del resto Monteveglio di Bologna non è forse
il collegamento ideale: infatti questa cittadina si trova nell’alta
pianura, a 114 metri sul livello del mare, una altezza che mal si
addice ad uno fortezza che doveva trovarsi a “mezza costa”,
perciò molto più in alto. Si può peraltro avanzare una terza
ipotesi, confortata da motivi di ordine semantico, cioè che
Montebellum si possa piuttosto identificare con Monte
Battaglia (dato che lat. bellum significa “guerra”), una
località esistente nel crinale fra le valli del Senio e del
Santerno. E non è improbabile che lo stesso Monte Battaglia
corrisponda al K
[Càstron Baraktelìa] riportato da Giorgio Ciprio (20) nell’elenco
dei castra Bizantini: la consonanza fra i due termini può
giustificare un’etimologia popolare.
Arriviamo così al periodo longobardo e
vediamo la situazione dei confini, premettendo che, come dice il
Diehl (21) vi è al riguardo molta indeterminatezza. Diamo la parola
alle fonti: il primo ricordo di un confine fra le terre occupate dai
Longobardi (Longobardia)
e dai Bizantini (Esarcato),
è riportato nel Liber Pontificalis (22),
dove si legge che la linea Luni-Monselice formava un designatum
confinium; la data è incerta ma si presume
che risalga agli anni 600-602. Verso il 640, i Longobardi cercano di
conquistare l’Esarcato ma vengono fermati al fiume Panaro, che
scorre tra Modena e Bologna delimitandone i territori. Per secoli
questo confine tra le due città, benché si trovi più volte ubicato
altrove, sarà dai cronisti e commentatori antichi considerato il
confine “ufficiale” fra Longobardia ed Esarcato, poi
Romandiola,
poi Romagna.
Difficile
spiegare le ragioni di una persuasione così radicata. Una potrebbe
essere che i cronisti medioevali si documentavano per lo più sulle
cronache Altomedioevali (Paolo Diacono, Procopio, l’Agnello
Ravennate, ecc.), oppure, rischiando errori ancor più gravi, davano
credito alle numerose donazioni, a privilegi, conferme,
riconoscimenti, ecc., molti dei quali sono poi risultati falsi. Lo
stesso Dante (Purg. XIV), intendendo definire il confine della
Romagna, lo colloca fra ”il Po e il monte e,
la marina e il Reno”. Fatto sta che fino
al XV secolo vi furono geografi e storici che esprimevano ancora
tali convincimenti.
Ritornando
ai Longobardi, verso il 727 Liutprando cerca ancora una volta di
conquistare l’Esarcato e Paolo Diacono (23), descrivendo l’impresa,
afferma che egli riuscì a conquistare molte città esarcali, fra
cui Bologna ed il “ducato di Persiceto”;
non ricorda invece Imola. Ancora Paolo Diacono (24) attesta che
Ildebrando, nipote di Liutprando, nel 733 arrivò a conquistare
Ravenna ma venne respinto e per poco non perse Bologna; anzi
l’avrebbe sicuramente persa se in tale occasione non fosse stato
aiutato da tre personaggi. Walcari,
Peredeo e Roctari,
a cui il cronista attribuisce la qualifica di Duchi. Da queste due
testimonianze si evincono alcune notizie importanti: che per
l’appunto il confine era assestato ad Est di Bologna e a Ovest di
Imola, che a tale confine arrivava il ducato di Persiceto,
cioè terre di proprietà di duchi: ed è appena il caso di ricordare
che a Ovest del Sillaro, e cioè in Emilia, c’erano i Ducati,
mentre a Est del Sillaro, cioè in Romagna, c’erano le Signorie,
cioè, in altri termini, il Sillaro segna anche il confine fra i
Ducati emiliani e le Signorie romagnole. Ed è proprio
dall’ubicazione di detto ducato che abbiamo la possibilità di
determinare dove era esattamente il confine in tale periodo. Abbiamo
già visto che questo ducato fu conquistato nel corso dell’avanzata
del 727; ebbene, un documento, di data incerta ma non successivo al
744 (25), conferma che il confine longobardo era segnato dal “limes
Persiceti” e da una donazione di Giovanni
Duca al monastero di Nonantola (26) dell’anno 776, si apprende
che in detto ducato vi era la “silva
maior”, (che si trovava a cavallo della
via Emilia fra Imola e Bologna), un “Petricolo”,
(San Martino in Pedriolo), e un“Lignano”
(Liano frazione di Castel San Pietro Terme). Degli stessi possessi,
ricordati nel 1072 (27), faceva pure parte “Monte
Sceleri”, (Monte Cerere, località
esistente nell’alta valle del Sillaro). Alla luce di questi
documenti si può ipotizzare che il confine orientale del ducato di
Persiceto fosse
segnato dal fiume Sillaro, anche se, di fatto, i confini in questa
zona appaiono talora aleatori; infatti da alcune testimonianze
indirette si apprende che per un certo periodo il confine fra
Longobardi e Bizantini è stato segnato pure dal corso dei fiumi
Senio –Santerno. Nell’anno 743, epoca di Papa Zaccaria, dice il
cronista della sua vita (28) che in un viaggio da Ravenna alla volta
di Pavia, la prima città che egli incontrò appena
entrato in territorio Longobardo
fu Imola. Altra testimonianza: nell’anno 755 Stefano II
proveniente dalla Francia per la via Emilia, oltrepassata Imola
entra nelle terre Esarcali
(29).
Nel
periodo a cui si riferiscono queste testimonianze il confine doveva
trovarsi ad Est di Imola; e si può cercare di localizzarlo con
maggiore esattezza.
Data
l’esistenza, nel crinale fra le vallate del Senio e Santerno, della
fortezza di Monte Battaglia, di cui è stata sottolineata
l’importanza storica (30), si può ipotizzare questo tracciato:
crinale dalla parte montana fino alla via Emilia (difeso dai castelli
di Monte Battaglia, di Limisano e Limadiccio), poi proseguimento in
pianura lungo un tratto della via Longa (31) (difeso dal castello di
Limitealto) ed il corso antico del Santerno-Senio che, come è noto,
passava vicinissimo a Bagnacavallo.
Una conferma che questo tracciato poteva corrispondere al limes è costituita dal fatto che esiste in loco il noto forestum magnum (32), una vasta area delimitata dal corso antico del Senio-Santerno, che nel 744 Liutprando donò alla chiesa Faentina: come è evidente, se questo territorio non fosse stato lon-gobardo non avrebbe potuto essere donato da Liutprando.
Questo confine non può
aver durato a lungo, molto più a lungo deve essere stato invece
segnato dal Sillaro, in caso contrario sarebbe difficile spiegare le
differenze culturali fra i territori delimitati da questo fiume,
differenze che non si riscontrano nel Senio –Santerno e tanto meno
in corrispondenza di altri corsi d’acqua. Si pensi anche solo
alla misurazione delle terre: al di là del Sillaro veniva fatta con
la pertica longobarda di 12 piedi, mentre al di qua si usava la
pertica romana di 10 piedi (33).
Di
questo importante confine che in base ai dati di fatto si può
considerare sicuramente esistente in epoca longobarda, sono state
trovate alcune tracce archeologiche (34).
Ben
presto infatti, Bologna, diversamente da Imola, verrà, in molti
documenti, ricordata come città “Longobarda”
(cioè facente parte della “Longobardia”
e non dell’Esarcato): stando al Privilegio di Berengario del 905
(35) Bologna fa parte del Regno Longobardo; nell’anno 962 Leone
VIII dona ad Ottone I le terre Esarcali (36), e fra le varie città
vi è Imola ma non Bologna; nel Concilio del 967 il vescovo di
Bologna Adelberto si trova insieme ai vescovi emiliani (37); nel 980,
sotto lo stesso vescovo, la stragrande maggioranza della popolazione
di Bologna è longobarda (38); nel 999 i presuli ravennati detengono
il dominio sopra un territorio che si estendeva dall’alto imolese
al mare (39), dominio già a suo tempo riconosciuto a loro da Ottone
III; nel concilio di Guastalla del 1106 (Mansi XX 1209), Bologna si
trova con le diocesi emiliane; nel 1114 viene eletto Papa Lucio II
che, essendo nato a Bologna è detto “longobardo” (40); e
“longobarda” è detta la società d’armi che si trovava a
Bologna già nel 1174 (41); come pure era chiamata “longobarda”
la città di Bologna nella bolla papale del 1262 (42).
Che
il Sillaro è il “naturale” confine della Romagna lo si può
bene apprendere passando in rassegna i secolari confini fra Imola e
Bologna (43), e i rispettivi confini Romani, Diocesiani e di contado
(44).
Se
vi sono dei dubbi in merito alla dipendenza dall’Esarcato o dalla
Longobardia di Imola e Bologna nei primi secoli del secondo
millennio, grazie alla documentazione fornita dai vari censimenti
questi dubbi scompaiono: si tratta del Liber
Fumantorum Comitatus
Imolae (“Estimo del contado di Imola”)
(1265) e della Descriptio Romandiole
(“Descrizione della Romagna”) del
Cardinale Anglico (1371), che, se la si confronta con la Descriptio
civitatis Bononiensis eiusque comitatus
(“Descrizione della cittadinanza bolognese e del suo contado”)
dello stesso autore, consente di rilevare i confini fra questi due
territori; e si potrà ancora una volta constatare che li divideva
il Sillaro.
Abbiamo
detto che Dante aveva definito i confini della Romagna riferendosi al
periodo esarcale; ma sempre Dante ha ritenuto opportuno descrivere
anche quelli vigenti ai tempi suoi: nel canto XXVII del Purgatorio
cita infatti le sette città romagnole Imola, Faenza, Ravenna,
Cervia, Forlì, Cesena e Rimini, cioè la Romagna attuale.
Innumerevoli sono in questo periodo i documenti attestanti che il
Sillaro è diventato un confine consolidato sia fra le Legazioni
romagnola e bolognese, che fra Imola e Bologna; fra gli altri si può
menzionare l’affermazione di Papa Sisto IV il quale nel 1475
dichiarò che” tale
confine doveva seguire il corso del Sillaro”.
(45).
Siamo
arrivati così alla fine del periodo preso in esame; per la
situazione nei secoli successivi non resta che dare uno sguardo alla
cartografia iniziando dalla Romagna olim
Flaminia (“Romagna un tempo Flaminia”)
del Magini (anno 1589) e via via tutte le altre per rendersi conto
che il confine è sempre e solo il Sillaro. Un vistoso cambiamento di
confine viene deciso nel 1859: il circondario di Imola, dalla
provincia di Ravenna, viene assegnato alla provincia di Bologna. Ma
nonostante ciò il Sillaro rimane l’unico ed il vero confine
della Romagna.
Nel
corso di questa ricerca abbiamo ricordato varie tipologie di
confini: naturale, storico, geografico, politico, antropologico,
etnico, culturale; è doveroso menzionare almeno quello linguistico,
e, almeno di passata, segnalare quello costituito dalla densità
degli insediamenti umani, un confine poco noto ma non per questo meno
importante perché sicuro retaggio di antiche vicende che hanno
lasciato un segno lungo il corso del Sillaro (46).
Concludendo:
sarebbe interessante conoscere le ragioni per cui un così piccolo
corso d’acqua, quasi un fosso, ha per quasi 3000 anni segnato il
confine di queste due aree. Questo interessante argomento è oggetto
di ulteriori approfondimenti nel libro che sto scrivendo dal titolo
La Romagna e i Romagnoli.
NOTE
(1)
Cfr. L. Gambi, Confini geografici e
misurazione reale della regione romagnola, in
“Studi Romagnoli”, 1950, pp.191-196; E. Rosetti, La
Romagna, 1894; P. Fabbri,
Profilo storico dei confini della Romagna, in
“La piê”, 1999,
pp.33-40; G. Sgubbi, La Romagna: gente e
confini, in Studi
Solarolesi ed altri scritti di varia antichità,
2002, pp.5-7.
(2)
Progetto di legge: Romagna, identificazione della sua storica
delimitazione, 2002.
(3)
In questa ricerca si prenderà in esame solamente il tratto di
confine segnato dal corso del Sillaro, facendo presente che in antico
questo fiume confluiva nel Reno più a Sud; infatti Sesto Imolese si
trovava in Romagna.
(4)
R. Balzani, La Romagna,
2001. L’autore ha cercato di dimostrare, con scarso successo,
l’inconsistenza della Romagna come regione.
5)
G.B. Comelli, Sui confini naturali e politici
della Romagna in A.D.S.P. Romagna 1907; A.
Vesi, Ragionamento intorno ai veri confini
della Romagna, 1845.
(6)
G.B. Comelli, op. cit.,
p. 6.
7)
R.G. Lucchi, Le origini geologiche della
Romagna, 1987 p. 1.
(8)
P. Zangheri Il posto della Romagna nel quadro
della biogeografia in “Studi Romagnoli”
1950 p. 347.
(9)
Per la conoscenza di questo confine naturale si veda pure A.
Ruggeri, Gli ultimi capitoli della storia
geologica della Romagna in “Studi
Romagnoli”, 1950, pp 303-312.
(10)
G.E. Mansuelli, Formazione delle civiltà
storiche nella pianura padana orientale. Aspetti e problemi
in “Studi Etruschi”, 1965, pp. 27-28.
(11)
G. Bermond Montanari, Gli studi sulla
protostoria dell’Appennino romagnolo da L.B. Ugolini ad oggi
in L’archeologo scopre la storia,
“Quaderni bertinoresi”, 1996, p. 27.
(14)
N. Alfieri, Alla ricerca della via Flaminia
“minor” in “Rend. Accad..Sc. Ist.
Bologna” 1975-76, pp. 51-67.
(15)
G. Susini, Sulla via Flaminia II
in A.A.V.V. Studi in memoria di Fulvio
Grosso, 1981, p. 603.
(16)
M. Bollini, Semirutarum Urbium Cadavera in
“Rivista Storica dell’Antichità”, 1971, p. 163. Esiste una
testimonianza riguardante la possibilità che sia Faenza che Imola
facessero parte della giurisdizione milanese, ma non è da tutti
accettata.
(17)
Zozimo, Historia Romana
V 36.
(18)
Notitia Dignitatum Occidentis
XLII 61..
(19)
A. Benati, La provincia delle Alpi Appennine,
un faticoso problema storiografico, in
A.D.S.P. Romagna, 1978-1979, p.119.
(20)
P.M. Conti, L’Italia Bizantina nella
“descriptio Orbis Romani” di Giorgio Ciprio
in “Mem. Accad. Lunigianesi di Scienze G. Cappellini”, 1970, pp
1-17. (La consulenza per i testi latini e greci è della prof. Edi
Minguzzi, n.d.A).
(21)
C. Diehl, Etudes sur l’administration
Bizantine dans l’ésarcat de Ravenne,
1886, p. 54.
- Liber Pontificalis ed. Duchesne, I p. 498.
- Paolo Diacono, Hist. Lang. VI 49, ed. Waitz.
- Paolo Diacono, Hist Lang. VI 54.
- Agnello, Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis ediz. Holder–Hegger; Vita dell’arcivescovo Sergio, p. 380.
- A. Gaudenzi, Il monastero di Nonantola, il ducato di Persiceto e la chiesa di Bologna in “Bullettino dell’istituto storico italiano”, 1901, p. 19.
(27)
A. Benati, I confini altomedioevali fra Imola
e Bologna in “Studi Romagnoli”, 1975,
p. 52.
(28)
A. Simonini, Autocefalia ed Esarcato in
Italia, 1969, p. 144.
(29)
O. Bertolini, Sergio arcivescovo di Ravenna
ed i Papi del suo tempo in “Studi
Romagnoli”, 1950, p. 54.
(30)
G. Fasoli, Alla ricerca di un toponimo
in A.A.V.V. Monte Battaglia,
Giornata di studi 21 luglio 1973, p.1 ss.; G. Sgubbi, Alla
ricerca del toponimo Quinto dove nel 536 fu ucciso il re dei Goti
Teodato in “Bollettino Camera di Commercio
Ravenna”, luglio-settembre 2002. Circa l’epoca in cui si sarebbe
svolta la battaglia a cui allude il toponimo, la Fasoli propone il
combattimento del 542, che ebbe come protagonista il goto Totila. Da
parte mia invece avevo ipotizzato una battaglia avvenuta nel 536 nel
corso della quale sarebbe stato decimato l’esercito di Teodato; a
questo punto mi pare che si possa aggiungere anche una possibile
battaglia fra Longobardi e Bizantini.
(31)
Vi sono buone ragioni per ritenere che il percorso via Longa–crinale
Senio–Santerno corrisponda al tragitto terrestre ricordato nel
Periplo dello Pseudo Scilace. Cfr. G. .Sgubbi,
Solarolo dalla più remota antichità all’anno mille,
1992, pp. 21 ss.; G. Sgubbi, Alla ricerca
del tesoro di Spina nel santuario greco di Delfi,
2001, pp. 11-13; G. Sgubbi, Studi Solarolesi
ed altri scritti di varia antichità, 2002,
pp. 3-5.
(32)
G. Pasquali, Dal “magnum forestum” di
Liutprando ai pievati del duecento.
Ricerche e studi,
1993.
(33)
V. Fumagalli, I luoghi della agricoltura
in A.A.V.V. Le sedi della cultura in Emilia
Romagna, “Altomedioevo” 1983, p. 106.
(34)
A Palmieri, Un probabile confine
dell’esarcato di Ravenna nell’appennino Bolognese
in A.D.S.P. Romagna 1913 p. 38-59.
(35)
A. Vicinelli, L’inizio del dominio
pontificio in Bologna in A.D.S.P. Romagna,
1920-1921, p. 23.
(36)
ibid., p. 348
(37)
ibid., p. 65.
(38)
ibid., p. 224.
(39)
N. Graziani, La Romagna regione storica
d’Italia, 2002, p. 8.
- G.B. Comelli, op. cit., p. 11
- ibid., p. 12.
- ibid., p. 14.
- A. Benati, I confini altomedioevali fra Imola e Bologna “Studi Romagnoli”, 1975, pp. 35-63.
- G.F. Cortini, La diocesi d’Imola in ” Forum Corneli “, 1931, pp. 2-9.
- G. .Magnani, Sesto Imolese tra cronaca e storia, 1994, p. 7.
- P. Fabbri, Profilo storico dei confini della Romagna in “La Piè”, 1999, pp. 33-40.
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