domenica 9 dicembre 2018

ALTRE STORIE

ALTRE STORIE

LEGGENDARIE VICENDE AGIOGRAFICHE DEL V SECOLO, RIGUARDANTI IL TERRITORIO FAENTINO.
Nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze vi è un manoscritto intitolato Vita de santo Celestino Papa e Confessore, senza data, ma probabilmente del XIII secolo
In detto manoscritto vengono riportate gesta di un viaggio che
San Celestino avrebbe effettuato ancor prima di essere diventato Papa. (Celestino 1 422-432) .
Breve riassunto del viaggio.
Mandato in Emilia ed in Lombardia da Papa Bonifacio, regnante Teodosio II, San Celestino, come prima tappa, soggiorna in una città chiamata Flavia.(Faenza) e critica aspramente il comportamento dei suoi abitanti. In questa città era scoppiata una grande epidemia, che San Celestino , con le preghiere, fa cessare. . Dopo alcuni giorni, parte per Forum Corneli,(Imola), nei pressi di un fiume, (l'attuale Senio), guarisce un paralitico, Fa cambiare il nome che il fiume aveva all'epoca e fa edificare una chiesa che dedicherà a San Procolo ed al Salvatore. Successivamente fa tappa a Imola e anche in tale città parla malissimo dei suoi abitanti, prosegue poi per Mantova e Milano.

In corsivo le vicende riguardanti il fiume Senio e della chiesa di San Procolo, tradotte dal latino.
……giunsero tutti piangenti ed addolorati per la tristezza dell’imminente partenza fino al fiume che si chiamava Acqua Viva perché scorre veloce come una freccia. A lui(Celestino) venne incontro un vecchio che era così curco da non riuscire a guardare il cielo e gli disse “Padre Santo, aiutami, ho questa malattia da dieci anni, ho speso tutto con i medici e non ho ottenuto alcun giovamento”
L’uomo di Dio gli rispose,” Se credi con tutto il cuore nel figlio di Dio, sarai salvo e otterrai la salute”. Lui disse “Credo Signore” e si prostrò ai suoi piedi. Celestino, uomo di Dio gli prese entrambe le mani, lo fece alzare e lavare nel fiume dicendo “Sia lui mondato e dritto nel nome di Gesù Cristo” e subito quello fu sanato, senza che rimanesse traccia della sua infermità. Per questo motivo quel fiume si chiama ora Senio, cambiato il nome perché il vecchio(senex) si lavò lì.
Li vicino fu fabbricata una chiesa in onore del Salvatore e di San Procolo che il vecchio diresse finchè visse in santa religione e pura condotta.
Da alcuni studiosi è considerata una leggenda agiografica,
Sicuramente l’anonimo agiografo del XIII° ha usato anche della fantasia, ma vi sono buone ragioni per credere che avesse fra le mani alcuni documenti storici, infatti non può essersi inventato tutto. Se diamo uno sguardo alla situazione ecclesiastica del tempo, ci rendiamo conto che alcune delle vicende riportate sono credibilissime e conseguentemente tale viaggio può essere stato veramente effettuato.
Sicuramente desta qualche perplessità la notizia che il fiume Senio possa aver ricevuto il nome in occasione di tale avvenimento, cioè nei primi decenni del V secolo,. In verità tale fiume col nome Simnium, si trova già citato in una carta di epoca romana, detta Tabula Peutingeriana, anche se, come è noto, tale carta, specialmente al riguardo della situazione fluviale, non è molto affidabile.
Non si può affatto escludere che si chiamasse pure Acquaviva, nei pressi di Tebano vi erano molte sorgenti. Per un certo periodo tale fiume era detto pure Tiberiaco, cioè piccolo Tevere.
Come si apprende dalla cronaca del faentino Tolosano, per un certo periodo il nome di Faenza era Flavia
Possibilissima la permanenza di San Celestino a Faenza, vari Papi, in tal periodo, si sono dovuti recare più volte a Milano, in quanto molti vescovi ambrosiani, considerata la grande distanza da Roma, si arrogavano, senza averle, prerogative metropolitiche. Faenza, da tempo sede vescovile, era per i Papi, diretti a Milano, una tappa quasi obbligata.
Non deve destare sorpresa anche il fatto che San Celestino abbia parlato male sia degli abitanti di Faenza che di Imola. Come è noto, in tale periodo, i vescovi delle città romagnole, non soggette alla chiesa ambrosiana, avevano abbracciato la fede ariana, non a caso in occasione del famoso concilio ariano del 359, la sede cadde su Rimini.
Diffuso in zona era certamente il culto di San Procolo, un san Procolo bolognese è ricordato da Vittricio di Rouen nel 396 e da Paolino di Nola nel 403, ma potrebbe benissimo trattarsi di un San Procolo umbro, ricordato nella passio Valentini, ambientata sub Claudio, perciò datata verso il 270.
Non si può escludere che successivamente la Plebe santi Proculi, sia stata costruita ove vi era una chiesetta dedicata a tale santo.
Perciò, questo documento, seppur con qualche velatura leggendaria, riveste per il faentino anche una discreta importanza storica.

Bibliografia di riferimento
.San Procolo di Pieve Ponte un enigma agiografico
Il Senio l'antico Tiberiacum?
Giurisdizione civile ed ecclesiastica di Imola e Faenza in epoca romana
GIUSEPPE SGUBBI Solarolo Ravenna



IL LAGO POCO A VALLE DI CASOLA DETTO TIBERIACO
Nel recente articolo pubblicato dalla Voce di Romagna tema Valle Tiberiaca, si dice che poco a valle di Casola vi è un lago detto Tiberiaco,ebbene per colpa mia deve essere inteso che VI ERA , e non che c'è ancora.
Non tutto il male viene per nuocere, Dalla necessità di correggere l'involontario errore,è scaturita la utilità di approfondire le ricerche al riguardo di questo lago e del territorio circostante, ebbene il compito è stato facilitato dal fatto che decenni fa avevo già fatto tale ricerca.
Vi sono buone ragioni per credere in tempi antichissimi, sia il fiume Senio che la strada Casolana non passassero come oggi in localita Rivola, in quanto i gessi formavano una ininterrotta catena. Conseguentemente a monte dei gessi poteva benissimo essersi formato un grandissimo lago alimentato dalle acque della intera vallata,
Tracce sul terreno confermano la possibile presenta di questo lago.
Alcuni decenni fa un anziano di Casola Valsenio mi fece vedere una mappa antica riguardante il territorio Casolano e zone vicine, ebbene, pur essendo un semplice schizzo, appariva , non lontano dalla grotta del Rio Tiberio, un ben disegnato lago con scritto lago Tiberiaco. Tale lago, abbastanza grande, era attraversato dal fiume Senio. Considerato che tale mappa, a parere di questo signore, proveniva da una antica cronaca, incuriosito chiesi di poter conoscere le eventuali notizie storiche che potessero riguardare le zone designate nella mappa, notizie che avendole ricevute brevemente riassumo.
In zona vi sarebbe stato , prima del diluvio, un grandissimo lago, le cui acque arrivavano in mare grazie alle gallerie interne dei gessi. Poi, a causa di un violentissimo terremoto un tratto della catena gessosa sarebbe crollata. In epoca etrusca, a parere dell'anonimo cronista, le acque del fiume Senio, erano divise in due corsi, uno andava a sinistra ed uno andava a destra, poi successivamente il Senio avrebbe preso il corso attuale. Un lago di discrete dimensioni sarebbe rimasto ancora in loco. Vediamo alla luce di queste frammentarie notizie di ipotizzare la situazione preistorica in cui potevano trovarsi le acque del fiume Senio. La divisione in due rami, uno a destra ed uno a sinistra potrebbe significare che una parte di tali acque si sarebbero unite a quelle del Sintria, mentre l'altro ramo sarebbe confluito nel Santerno con l'unico percorso possibile, cioè quello del Rio Sanguinario. Un esame del terreno ove si trova la confluenza di questo Rio nel Santerno confermerebbe tale ipotesi, infatti una parte di tale terreno sarebbe arrivato dalla valle del Senio. Queste constatazioni confermerebbero almeno in parte il contenuto della antica cronaca, perciò vi sono le premesse per considerare veritiere anche le notizie riguardanti le presenza di un lago a valle di Casola.
Come è ovvio successivamente ho fatto certosine ricerche con l'intento di trovare sia la mappa che l'antica cronaca, purtroppo senza successo. Avendone avuto visione, posso confermare l'esistenza della mappa, ma dell'antica cronaca non ho trovato alcuna traccia. Alla luce di queste notizie possiamo immaginare il paesaggio a valle della catena appenninica, naturalmente prima del crollo che ha creato la situazione attuale. Considerato che i gessi sono caratterizzati da molte gotte e e tante gallerie, senza alcun dubbio grazie ad alcune di queste, magari in occasione di periodi particolarmente piovosi, l'acqua della valle del Senio arrivava direttamente a valle. Sarebbe stato un magnifico spettacolo naturale da ogni galleria una cascatella, come fossero fontane.
Questo significa che verso il fondo valle non necessariamente doveva trovarsi un corso d'acqua, cioè un fiume, ma sicuramente un lago oppure una vasta laguna. Esiste il ricordo storico di un lago a valle della via Emilia. Una vasta area detta ancora Laguna conferma la antica presenza di un antico lago, come pure potrebbe confermare l'effettiva presenza in tempi antichissimi dell'immaginato paesaggio sopraccennato.













Sgubbi Giuseppe Solarolo L'ENNESIMA IPOTESI AL RIGUARDO DEL “MISTERIOSO” DODECAEDRO ROMANO

Nonostante il pronunciamento di un nutrito gruppo di studiosi e di professori, il Dodecaedro, un reperto di epoca romana, sta passando alla storia come un “oggetto misterioso” Cotesto oggetto ha 12 facce pentagonali, ognuna delle quali ha un buco circolare o ellitico, di diametri diversi.
Al riguardo sono state fatte varie ipotesi, ma solo quella della professoressa Amelia Carolina Sparavigna, (Politecnico di Torino) è sembrata particolarmente interessante, a suo parere potrebbe trattarsi di uno strumento ottico per misurare le distanze, cioè un telemetro.
Al seguito di un approfondito studio effettuato su un dodecaedro, la Sparavigna ha potuto spiegare molto bene ed in modo molto convincente la sua possibile utilizzazione.
Una sua affermazione mi ha particolarmente colpito; ruotandolo su sé stesso, era possibile ricavare 6 misure diverse. Questa è stata la “molla” che mi ha permesso per effettuare una ulteriore ipotesi: tale oggetto ben si prestava ad essere usato dagli agrimensori romani, per tracciare la centuriazione.
Più volte mi sono chiesto con quali strumenti gli agrimensori romani effettuavano le necessarie e complesse misurazioni riguardante tale pratica, probabilmente ho trovato una possibile risposta.
Approfondiamo un po' l'argomento,
Una delle prime cose che facevano i romani dopo aver conquistato una area era quello di bonificarla e di dividerla in appezzamenti, dette centurie, scopo, consegnarle ai coloni.
Come è noto con un attrezzo detto Groma, tracciavano una strada detta Decumano Massimo(da Est ad Ovest), ed una altra, detta Cardine Massimo(da Sud a Nord). Parallelamente ed equidistante a queste strade, per tutta l'area che intendevano centuriare, ne venivano tracciate delle altre.
Al seguito di queste operazioni il territorio diventava una scacchiera con identici quadrati o rettangoli, detti centurie, che a sua volta erano oggetto di ulteriori suddivisioni interne.
Le centurie più comuni erano di 20 x 20 Actus, cioè aventi un lato di circa 705 metri ed una superficie di circa 50 ettari, ma in considerazione del fatto che per un insieme i motivi, venivano pure tracciate centurie di diverse misure, risulta evidente che vi era la necessita di effettuare moltissime e diverse misurazioni.
Vediamo anzitutto quale era il sistema da loro usato per misurare le distanze lineari. Le loro misure erano basate sul piede (cm 29,57), sul passo, che era un doppio passo, 5 piedi (m. 1,48), sulla pertica, dieci piedi(m.2,95), sull'actus, 120 piedi(m. 35,5 , sul miglio,1000 passi (1480 metri).
Dal Corpus Agrimensorum ( il più importante trattato sulla centuriazione) e da altre fonti, è possibile conoscere alcuni strumenti che gli agrimensori usavano per misurare: il già ricordato Passo, la già ricordate Pertica, il già ricordato Groma, il poco noto Hodometrom ( uno strumento formato da ingranaggi, che adattato alle ruote di un veicolo, permetteva di misurare le distanze effettuate, più o meno come un conta chilometro) e naturalmente delle funi.
Grazie a tutti questi strumenti , specialmente sui terreni ben livellati, era possibile effettuare delle misurazioni quasi perfette, ma che dire quando ci si trovava di fronte a terreni accidentati , in presenza di corsi di acqua, oppure altri ostacoli naturali? Ecco che sarebbe stato utilissimo poter usufruire di uno strumento che permettesse misurazioni “ ad altezza d'uomo”, per esempio un Dodecaedro, purchè provvisto di fori.
Se la ipotesi della Sparavigna risultasse credibile, non si vedrebbe la ragione per cui gli agrimensori romani , seppur molto preparati ed organizzati per superare le varie difficoltà , potendo disporre di un Dodecaedro, non l'avessero usato.
Se questa mia ipotesi trovasse conferma, il Dodecaedro non sarebbe un telemetro, ma piuttosto un telepassus oppure ancor meglio un teleactus.
Alcune importanti considerazioni.
Come è noto molti autori di epoca greca, Platone, Pitagora ecc, ricordando il Dodecaedro, lo descrivono come una figura geometrica con 12 facce, ma senza fori.
Perciò i fori non possono che essere stati aggiunti solo in epoca romana.
Da questi antichi scrittori abbiamo pure appreso l'importanza che rivestiva il numero 12, e che da tale numero è derivata la parola Dodecaedro.
Non si può affatto escludere che grazie a tale derivazione i romani possano aver scelto fra i solidi Platonici ed adattato alle loro esigenze, proprio un Dodecaedro, strumento che, oltre a permettere di disegnare perfetti figure geometriche, angolo, rettangolo, quadrato ecc, cosi importanti per la pratica agrimensoria, contiene come numeri di base sia il 12 che il 5, le misure “auree”della centuriazione e della astronomia.
Contrariamente alla convinzione generale, il Decumano, la più importante strada della centuriazione, non deriva da Decimano (10), ma da Duodecimano (12), in quanto il percorso di questa strada corrisponde al tragitto effettuato dal sole in occasione dell'equinozio di primavera, perciò divisione del giorno in due parti.
Non a caso la larghezza del quintario era di 12 passi,
Pure il 5 era usato nella centuriazione, il passo era formato da 5 piedi, per non parlare dell'Ordines in Quincuncem di Ciceroniana memoria.
Alla luce di queste considerazioni, e di altre che sicuramente scaturiranno da ulteriori approfondimenti, l'ipotesi ne esce rafforzata.
Sgubbi Giuseppe Solarolo Ravenna Joselfsgubbus@libero.it ( archeologo dilettante e studioso della centuriazione romana)

DUE NUOVE IPOTESI
Nel corso di una recente conferenza ho formulato due nuove ipotesi protostoriche.
Prima ipotesi. Da antichissime cronache ho appreso che ad un certo momento un consistente numero di coloni etruschi , partiti dalla Etruria, sarebbero andati in oriente.
Già di per sé questa notizia mi è sembrata interessante, non solo, ma ancor più interessante è che questi avrebbero usato una direttrice adriatica.
Se a questa notizia aggiungiamo testimonianze storiche ben note: Pelasgi arrivati alla foce del Po, che questi Pelasgi erano Etruschi, che gli Etruschi, come dice Erodoto, sarebbero arrivati dalla Lidia, probabilmente per via Adriatica, infatti nessun autore antico dice che questi sarebbero approdati nelle coste tirreniche, pur con le dovute cautele, si può ipotizzare in tre tappe, una ulteriore teoria sulle origini e sullo sviluppo della civiltà Etrusca.

1)Pelasgi con i Villanoviani o con altre popolazioni occupano la Padania Orientale ed il centro Italia, formando una società Etrusca non molto civilizzata
.
2)Un consistente numero di questi Etruschi, per ragioni ignote, vanno in Oriente per via Adriatica e fondano alcune città fra cui Verrucchio

3)Coloni etruschi, con una direttrice adriatica, arrivano dalla Lidia, fondano alcune città padane, successivamente si stanziano in Etruria, poi al seguito di influenze orientali formano la civiltà etrusca che conosciamo.

Se questa non impossibile successione di eventi fossero realmente avvenuti, si spiegherebbero, fra l’altro, alcune “zone di ombra” che costellano le altre teorie: stele bolognesi diverse dalle stele dell’Etruria tirrenica, le iscrizioni di Lemmo e le vicende della città di Verrucchio.

Seconda ipotesi Come è noto il portolano conosciuto come Ps Scilace , in un passo seppur ritenuto “disgraziato”, segnala nei pressi di Spina l’esistenza di una direttrice terrestre che dall’Adriatico arrivava ad una città tirrenica. Da oltre venti anni, propongo la possibilità che l’attuale via Lunga, una strada che parte dai pressi di Spina e arriva nella via Emilia in corrispondenza della valle del Senio, possa corrispondere alla accennata direttrice terrestre.
Mi dispiace constatare che nonostante abbia fatto conoscere questa mia proposta a molti studiosi, solo uno di questi si è al riguardo pronunciato. Questo professore, che naturalmente ringrazio, ha detto che sicuramente si tratta di una “affascinante ipotesi” ma che naturalmente occorre una “dimostrazione scientifica”.
Non posso non concordare sulla mancanza della necessaria “dimostrazione scientifica “, ma dando uno sguardo alle numerose proposte che molti studiosi hanno fatto al riguardo del possibile percorso di detta direttrice, non posso non esprimere qualche perplessità, infatti non vedo in questi una seppur minima traccia di “dimostrazione scientifica”.
Al riguardo è stato detto di tutto ed il contrario di tutto, il fatto stesso che siano state proposte almeno una decina di questi possibili percorsi, la dice lunga sulla “scientificità”delle loro ipotesi. Non intendo qui commentare tali percorsi, anche perché la maggior parte di questi sono incomprensibili , mentre invece ritengo opportuno sottolineare indizi oggettivi, totalmente mancanti nelle ipotesi degli studiosi, che mi hanno spinto a fare “l’affascinante ipotesi”.

Il portolano avrà avuto una buona ragione per segnalare ai naviganti l’esistenza in quel determinato luogo di una direttrice terrestre, sicuramente non solo per far conoscere l’esistenza di una strada che collegava Felsina ed il suo porto Spina. Vi sono buone ragioni per credere che
l’ abbia segnalata in quanto tale direttrice terrestre era l’unica e da tempo usata dai popoli che , sia per via terra che per via adriatica, erano intenzionati ad andare nel centro Italia, perciò una “strada dei due mari” usata dall’Adriatico al Tirreno, come testimoniato da varie fonti antiche.
Ai lati della via Lunga sono disseminati un impressionante numero di abitati preistorici, non mi risulta che altrove esista una situazione simile, tale strada era costeggiata da un fiume, si tratta di un indispensabile corso d’acqua che conferma l’esistenza di tanti abitati.
Vi sono buone ragioni per credere che questo fiume fosse un ramo del Santerno, cioè il Rasena, ricordato da Marziale, sicuramente è il nome del corso d’acqua che attraversava l’abitato preistorico di via Ordiere. Non si può escludere che i Pelasgi ricordati da Ellanico, invece dello Spinete, abbiano risalito il Rasena.

I sassi trovati a Spina non derivano dalle colline bolognesi, una logica provenienza se detta via, come qualcuno ha ipotizzato, avesse direttamente collegato Felsina con Spina
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Detta via si trova sopra ad una striscia di terreno eccezionalmente alta, lo dicono la modesta profondità degli strati archeologici.

Mi pare di poter affermare “scientificamente” e perciò difficilmente smentibile, che la via Lunga è stata sicuramente praticata dalla più remota antichità.

Se chiedo agli studiosi di tener in considerazione la possibilità che la via Lunga possa corrispondere al tragitto terrestre segnalato dallo Ps Scilace, anche in considerazione delle evidentissime debolezze delle proposte alternative, chiedo TROPPO?

Ringrazio gli studiosi del “ramo” che volessero farmi conoscere il loro parere.
Sgubbi Giuseppe Via Borgo Bennoli 30 48027 Solarolo (Ravenna) tel 347 9438906
Solarolo 31.1.2011







NOTIZIE SUL CIOCCO DELLA FRUSTA

TRALASCIAMO LE NOTIZIE AL RIGUARDO DELLA STORIA DELLA FRUSTA
PER FRUSTA INTENDIAMO UNA FRUSTA CHE FA DEI CIOCCHI
GIA USATA IN EPOCA TROIANA PERCIO OLTRE IL 1200 A C
POI DAI GALLI, 400 A C
POI DAI ROMANI ECC
MA VEDIAMO LE RICERCHE AL RIGUARDO DEL CIOCCO
QUELLI CHE HANNO SCRITTO SULLA STORIA DELLA FRUSTA HANNO PRECISATO CHE IL CIOCCO VIENE PRODOTTO IN QUANTO IL PUNTO TERMINALE SUPERA IL MURO DEL SUONO CHE NELL'ARIA E POCO PIU DI 1200 KM ORARI
MA DA CHI E STATO SCIENTIFICAMENTE DIMOSTRATO CHE EFFETTIVAMENTE IL PUNTO TRMINALE SUPERA EFFETTIVAMENTE IL MURO DEL SUONO?

QUELLO CHE DICO EUN PO LA STORIA DI QUESTE RICERCHE

EBBENE NEL 1905 PER LA PRIMA VOLTA UNO SCIENZIATO UN TEDESCO FORMULA L'IPOTESI CHE IL CIOCCO DELLA FRUSTA SUPERI TALE VELOCITA.

MOLTI SUOI COLLEGHI SONO INCREDULI, INFATTI NON CREDONO CHE CON LA FORZA UMANA SIA POSSIBILE FAR SUPERARE UN OGGETTO TALE VELOCITA,

A PARERE DI ALCUNI SCIENZIATI IL CIOCCO POTREBBE VENIRE INVECE DALL'URTO MECCANICO FRA DUE PARTI DELLA CORDICELLA .
MA QUALCUNO CI CREDE, INFATTI GIA IN ALCUNE ENCICLOPEDIE VIENE RIPORTATA TALE POSSIBILITA, MA MANCA LA DIMOSTRAZIONE SCIENTIFICA

NEL 1927 UN FRANCESE CREA UNA FUSTA MECCANICA E DIMOSTRA CON DELLE FOTO CHE EFFETTIVAMENTE VI E IL SUPERAMENTO DEL MURO DEL SUONO, E NON UN URTO MECCANICO FRA CORDICELLA

MA E UNA FRUSTA MECCANICA , OCCORE DIMOSTRARLO CON UNA FRUSTA COME LA NOSTRA,

1958 TRE SCIENZIATI AMERICANI VOGLIONO VEDERCI CHIARO, VI ERA IN AMERICA UN GRUPPO DI GIOCOLIERI CHE FRA L'ALTRO FACEVANO DEI CIOCCHI CON LE FRUSTE,
EBBENE QUESTI USANO UNA TELECAMERA CHE FA 40 IMMAGINI AL SECONDO, ED ARRIVANO AD OTTIMI RISULTATI,
CON LA RUSTA E POSSIBILE ARRIVARE ADDIRITTURA A 1800 KM ALL'ORA, PERCIO IL CIOCCO AVVIENE PER QUESTA RAGIONE

NEL 1998 PERCIO POCHI ANNI FA SCIENZIATI TEDESCHI USANDO UNA VIDEOCAMERA CHE PUO REGISTRARE 9000 IMMAGINI AL SECONDO RAGGIUNGONO SORPRENDENTI RISULTATI,

TALE ALTISSIMA VELOCITA LA FRUSTA LA RAGGIUNGE PER UN PERIODO CORTISSIMO SOLO PER DUE MILLESIMI DI SECONDO, POCHI CENTIMETRI DOPO CHE E ARRIVATO IL CIOCCO, IL CIOCCHETTO E GIA ABBONDANTEMENTE SOTTO LA VELOCITA DEL SUONO.









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QUINTARIO LORO FUNZIONE E COME RINTRACCIARLI
Non molo tempo fa, con tre articoletti, Quintario una importantissima strada della centuriazione romana, Leggendo il catasto Faventino, e I confini in epoca romana, ho sollevato il problema QUINTARIO. Non ho fatto altro che far conoscere agli studiosi ciò che avevo appreso sul quintario, al seguito di trentennali ricerche effettuate sulla centuriazione ove io abito, Solarolo provincia Ravenna.
Naturalmente ho precisato che per poter fare delle affermazioni di un certo spessore, occorreva estendere l’indagine anche verso altre zone del mondo romano. Essendo stato invitato a tenere conferenze in zone extra romagnole, ed avendo potuto effettuare utilissimi confronti con altre zone centuriate, ho la possibilità di fare alcune utili precisazioni e di aggiungere qualcosa a quello già detto nei sopra citati articoli. Pertanto, ciò che riporterò in questo articolo, sono i risultati delle mie ricerche, fino ad ora conseguiti, perciò risultati ancora provvisori , in quanto, a mio modesto parere, il “problema quintario” , è ancora ben lontano dall’ essere definitivamente risolto.
Anticipo i risultarti conseguiti, che naturalmente nel corso dell’articolo cercherò di spiegare nei minimi particolari, al riguardo della sistemazione dei quintari, ho affermato, senza tema di essere smentito, che in alcune aree centuriate è stato usato lo “schema Frontino”, un quintario ogni quattro centurie, in altre è stato invece usato lo “schema Igino Gromatico” , un quintario ogni cinque centurie. Naturalmente non posso escludere che in “altre” aree siano stati usati altri “schemi.” Per quanto riguarda la numerazione delle strade, sia le centuriali che i quintari, “barcollo ancora nel buio”, infatti ho aggiunto “ipotesi alle ipotesi”. La prima cosa che intendo sottolineare è la “colpevole latitanza “ degli studiosi, al riguardo di questo importante aspetto della centuriazione. Porto un esempio che ne descrive l’evidente trascuratezza, prendiamo in mano il bellissimo volume Misurare la terra: centuriazione e coloni nel mondo romano. Modena, dicembre 1983- febbraio 1984. Questo libro contiene saggi di qualificatissimi studiosi della centuriazione romana: Settis, Gabba, Capogrossi Colognesi , Tozzi, Favory, Laveque, Chouquer, Carandini, Castagnetti, Vallat, Pagano, ed altri, ma fino a pagina 128 non troveremo la parola quintario, la troveremo in alcune pagine successive, ove ci si limita a far presente che in epoca romana, fra le altre strade, venivano tratteggiati pure i quintari. Decisamente troppo poco. Di questi esempi potrei portarne a decine, infatti, in moltissimi articoli sulla centuriazione, tale parola non compare. Mi rendo perfettamente conto che per rintracciare i quintari si incontrano grande difficoltà: la pratica della centuriazione ha durato almeno 600 anni, nel corso di un cosi lungo periodo tale pratica è stata regolata da diverse disposizioni di leggi , gli agrimensori sono stati costretti ad adattarsi ad innumerevoli e diverse situazioni paesaggistiche, situazioni paesaggistiche che nel corso dei secoli hanno sicuramente subito ulteriori trasformazioni, perciò non è possibile rintracciarli basandosi solamente nei segni che queste strade hanno lasciato sulla terra. Si tenga anche conto che, al riguardo di tale pratica, gli agrimensori ci hanno tramandato ben poco, perciò alla luce di queste considerazioni, non deve sorprendere se non esiste una “regola aurea”che descriva lo schema usato per tracciare i quintari, una regola che avrebbe potuto favorire un facile rintracciamento. Questo però non deve giustificare il disinteresse verso questo importante aspetto della centuriazione, infatti la bibliografia, al riguardo del quintario, è praticamente inesistente. Nel corso delle conferenze che ho effettuato, ho cercato di descrivere nei minimi particolari quelle che a mio parere sono state le funzioni del quintario, che brevemente sintetizzo: strade di grande traffico nell’interno degli ager, perciò usate sia da quelli che potremmo chiamare “pubblica utilità”, ma, nella occorrenza, usati anche per spostamento di truppe. Lungo il loro tragitto sono stati costruiti i vici , i pagi ed eventuali agglomerati umani, funzioni catastali e postali, delimitazione dei saltus, una di queste strade era riservata alla transumanza, cioè i calles, diventati in epoca medioevali i tratturi.
Ma la funzione più importante che aveva il quintario era quello di segnare i confini degli ager, sul come veniva segnalato questo importante confine, si e detto tutto ed il contrario di tutto, fiumi, cippi, diversa orientamento della centuriazione, distanza equidistante, ecc, il fatto stesso che ogni studioso ha fatto al riguardo proposte diverse, la dice lunga sulla comprensione del come veniva effettivamente tracciato.
Uno sguardo alla situazione attuale, conferma che effettivamente i quintari hanno avuto le funzioni che ho appena accennato, infatti su queste antiche strade si trovano le pievi, le parrocchie, i castelli, i santuari, piccoli e grandi agglomerati umani. Molti confini provinciali e comunali sono tuttora contrassegnati dai loro antichi percorsi. Non credo che tutto questo possa essere annoverato fra le “inspiegabili coincidenze”. Alla luce di queste considerazioni, mi pare che il problema quintario, meriti di essere approfondito in quanto permette di aprire una importante “finestra “ sul nostro passato, infatti offre concrete possibilità di rintracciare gli antichi agglomerati scomparsi, sia di epoca romana che di epoca altomedioevali.
Come rintracciare i quintari Iniziano questo non facile compito analizzando quel poco che ci hanno tramandato i gromatici, per vedere se è possibile trarne qualche utile indicazione: Igino Gromatico ci fa sapere che dalla sistemazione dei quintari doveva scaturire un saltus quadrato di 25 centurie, cinque centurie per ogni lato. Da Frontino apprendiamo che per una insieme di ragioni, forse per errore, sono scaturiti anche dei saltus di 16 centurie, perciò un quintario ogni quattro centurie. Esistono anche altre proposte ed altri esempi, ma da quello che ho potuto constatare, nella stragrande maggioranza delle centuriazioni sono stati usati le indicazioni di Igino, oppure gli “errori” segnalati da Frontino. Sono fermamente convinto che il saltus corretto sia quello consigliato da Igino, non solo perché il significato della parola quintario significa uno ogni 5 centurie, ma anche perché solo con tale saltus è possibile effettuare una corretta variazione della centuriazione. Nel corso delle conferenze che ho effettuato, mi sono lungamente soffermato sul significato e sulle molteplici funzioni dei saltus, un aspetto che tralascio, in quanto per rintracciare i quintari, scopo primario di questo articolo, occorre approfondire ben altri aspetti. Cerchiamo ora di dare una risposta ad una importante domanda: considerato che l’apparato stradale romano aveva come punto di partenza e di riferimento il decumano massimo ed il cardine massimo, il conteggio delle strade per poi tracciare il quintario, da dove iniziava? A parere degli agrimensori e dei pochissimi studiosi che si sono interessati di questo problema, il conteggio doveva iniziare con l’inclusione del cardine o decumano massimo, cioè contare anche quello. In apparenza, doveva essere una operazione facile, ma evidentemente non lo era, più spesso di quello che si crede e per ragioni che non conosciamo, come i fatti dimostrano, l’operazione deve avere incontrato delle enormi difficoltà. Difficoltà giustamente evidenziate da Igino Gromatico, questi, sicuramente uno dei più preparati agrimensori di epoca romana, si chiede e chiede, se la prima linea alla destra del cardine o decumano massimo debba essere chiamata prima, oppure seconda. Considerato che anche Igino consiglia l’inclusione, la domanda appare superflua e troppo ovvia la a risposta, se il conteggio doveva iniziare dalla prima strada, la linea successiva doveva essere considerata la seconda. Invece, come già detto, forse per regole poco chiare, spesso venivano commessi errori. Prima di iniziare il conteggio delle strade, scopo rintracciare i quintari, occorre rispondere ad una altra precisa domanda: in epoca romana le strade come erano classificate e contrassegnate? La nomenclatura attuale delle strade la conosciamo bene, ogni strada è contrassegnata da iniziali. Una A ed un numero, per le autostrade. SS con un numero, per le statali. SP con un numero e con un nome, per le provinciali. SC senza alcun numero( in verità occorreva), ma con un nome, per le comunali. In tale maniera si riesce facilmente a distinguere le strade dalla più grande alla più piccola. Ma la situazione in epoca romana non è altrettanto chiara. Pur senza aver fatto particolari approfondimenti, mi risulta che le consolari erano contrassegnate con un nome, Emilia, Flaminia ecc. I decumani ed i cardini massimi , venivano individuati con le semplici iniziali, DM (decumano massimo), e KM ( cardine massimo). Le strade centuriali , cioè quelle che delimitavano le centurie, venivano contrassegnate con la iniziale K, se cardine, e con la iniziale D, se decumani, seguite da un numero, e con la dicitura destra oppure sinistra a seconda della loro posizione rispetto ai cardini e decumani massimi. A parere di qualche studioso, queste ultime strade non venivano numerate, in quanto non avevano alcuna funzione. Effettivamente, le centurie venivano contrassegnate con un numero, senza aver bisogno di nominare le strade che le delimitavano, ma , considerato che se Igino ha sentito il bisogno di chiedere come deve essere chiamata una di quelle strade, significa che , per ragioni che non conosciamo, vi era la necessità di distinguere le une dalle altre. L’incertezza rimane, una incertezza che riguarda particolarmente i quintari, considerato che queste erano strade di grande traffico, aventi pure funzioni postali e catastali, vi sono buone ragioni per credere che oltre al nome quintario, nome dato a questo tipo di strada, venisse pure numerato, sia per essere distinto dagli altri quintari, sia che per essere facilmente localizzato.
Più avanti, nel corso delle “indagini preliminari” dovrò volutamente omettere di sottolineare anche la necessita di consultare anche ciò che altri hanno scritto al riguardo della locale centuriazione, eppure la grande utilità è fin troppo evidente, ma attenzione, al riguardo della sistemazione dei quintari, alcuni scritti potrebbero essere fuorvianti. Porto un esempio illuminante: ho sotto agli occhi il contributo del padovano Legnazzi, riguardante la centuriazione fra Imola e Faenza. Questi , fermamente convinto che tale centuriazione fosse stata tracciata come nel padovano, cioè con lo schema Igino, (tracciamento padovano comunque meritevole di essere verificato), fece in modo che dalla sistemazione dei quintari, scaturissero dei saltus di 25 centurie.
Questi, non essendosi reso conto che in detta zona la centuriazione era stata invece tracciata con l’erroneo schema Frontino, commise, seppur involontariamente, una lunga fila di errori. Mi sorprende una cosa, nonostante che da anni faccio presente agli studiosi che la carta Legnazzi è inaffidabile, una inaffidabilità ampiamente documentata, la totalità degli studiosi della attuale centuriazione continua a riportare tale carta, come esempio di “centuriazione romagnola”. Questo per dire che occorre evitare di partire ” col piede sbagliato”.
Pur tenendo conto che ogni area è “una storia a sé”, le indicazioni che seguiranno, se seguite con attenzione, permettono, come più volte è accaduto, di rintracciare i quintari, con una certa facilità.
Per prima cosa, dovremo fare alcune indagini preliminari, valide per ogni area centuriata. Avendo trovato alcune tracce di centuriazione, ricostruiamola tutta, per una area abbastanza grande, più o meno come doveva o poteva essere, sia per il verso dei cardini (Sud- Nord), che per il verso dei decumani ( Est-Ovest).


Fig.1
Area centuriata con cardine e decumano massimo
Al seguito di questa indispensabile operazione, disponiamo di una mappa a forma di scacchiera della zona che vogliamo indagare, che, fra l’altro, ci da la possibilità di fare una importante verifica, rendersi conto con quale tipo di centurie è stata tracciata tale centuriazione. La più comune era quella di centurie da 20x 20 actus, cioè di circa 705 metri di lato, ma a volte sono state usate centurie diverse, in tal caso occorre controllare che la lunghezza dei lati abbiano una corrispondenza con gli actus, se così non fosse, la centuriazione potrebbe anche non essere romana. Ad ogni modo, per procedere occorre verificare con esattezza quale tipo di centuria è stata usata. Due utili controlli: dopo aver controllato se alcune strade tuttora praticabili, corrispondono alle maglie della centuriazione, si controlli pure se in alcune di queste si trovano allineati edifici religiosi, (pievi, parrocchie, santuari), oppure edifici civili, ( castelli, agglomerati piccoli e grandi), in quanto in tal caso potremmo aver già individuato un quintario, ma per sincerarsene occorre, oltre naturalmente al conteggio che sarà spiegato, fare uno scavo in detta strada, se la larghezza è attorno ai 4 metri, potremmo dire che siamo stati “baciati dalla fortuna” in quanto faciliterebbe il proseguo della ricerca. Dovremo pure darci da fare, per rintracciare il cardine ed il decumano massimo, impresa non facile, il più delle volte queste due strade si incrociavano al centro del forum romano, ma non sempre, in alcuni casi, per svariate ragioni, si incrociavano fuori dal centro urbano, ma occorre rintracciali. Il rintracciarli è una operazione praticamente indispensabile. Sperando in un esito positivo.
Come individuare correntemente i quintari se la centuriazione è stata tracciata con lo schema Iginio Gromatico.

Fig.2
Saltus di Igino Gromatico


Iniziamo dal cardine o decumano massimo. Punto di riferimento di queste strade è quello di effettuare la sistemazione dei quintari e di iniziare l’eventuale numerazione delle strade, come a suo tempo fu il punto di riferimento per iniziare la centuriazione.
L’individuazione dei quintari è abbastanza facile, dopo 5 centurie troveremo il primo quintario, dopo altre 5 il secondo, e cosi via. Così facendo vengono a formarsi dei saltus di 25 centurie.
Più problematico il conteggio e la numerazione sia delle strade centuriali che dei quintari. A mio parere, contrariamente alle indicazioni dei gromatici, e della totalità degli studiosi, il conteggio NON deve iniziare dal Cardine o decumano massimo, se proprio vogliamo dare un numero a questa strada, metteremo uno zero. Conseguentemente la prima strada centuriale avrà il numero uno ed altrettanto il primo quintario.
Qualcuno potrebbe giustamente chiedere la ragione per cui il conteggio non deve iniziare dal Cardine e decumano massimo. Domanda pertinente, una ragione c’è, se fosse quello l’inizio, ci troveremmo nella paradossale situazione, che ad una unica linea corrisponderebbe ben tre strade: il cardine o decumano massimo, un quintario ed una strada centuriate. Essendo tutte e tre incorporate in una unica linea, come potranno essere citate in una mappa? Nell’impossibilità ci citarle tutte e tre, sicuramente sarà citata solo la più importante , cioè il cardine o il decumano massimo, e delle altre due che ne facciamo? Le lasciamo lì, facendo confusione? Oppure le cancelliamo? Sono fermamente convinto che alcuni agrimensori romani si saranno resi conto che seguendo alla lettera le indicazioni di Igino, cioè iniziare il conteggio sia dei quintari che delle strade centuriali, includendo il cardine o decumano massimo, avrebbero creato una confusione interpretativa, confusione che col metodo sopra indicato, veniva eliminata.
Il metodo è praticamente perfetto, le strade centuriali ci sono tutte, e tutte progressivamente numerate, altrettanto i quintari.
Di fronte a questo tipo di centuriazione, Igino troverebbe la risposta al suo interrogativo, anzi non l’avrebbe neanche formulata.
Vi sono molte tracce di questo tipo di centuriazione, cioè col saltus da 25 centurie, ma sono convinto che al seguito di una attenta indagine, constateremo che invece, più spesso di quello che crediamo, sia stato usato l’erroneo schema Frontino, cioè saltus di 16 centurie.
Come individuare correntemente i quintari se la centuriazione è stata tracciata con l’erroneo schema Frontino.


Fig.3

Saltus Frontino

Anche in questo caso, l’individuazione è facile, ogni 4 centurie un quintario, percio saltus di 16 centurie. Che questa è la sistemazione dei quintari, non vi sono dubbi, l’ho potuto constatare nel corso delle mie ricerche, per quanto riguarda il conteggio e la numerazione delle strade, la situazione si fa complicata.
Abbiamo già visto la confusione che si può creare iniziando il conteggio dal cardine e decumano massimo, considerato che in questo caso è stata usata tale pratica, non è facile ipotizzarne le conseguenze. Tentiamo una possibile ipotesi, considerato che il primo quintario e la prima strada centuriale, essendo incorporate ai cardini o decumani massimi, non possono essere visibilmente numerate, dovremo per forza numerare solo le successive, conseguentemente la prima strada centuriale che troveremo, dovrà essere contrassegnata col numero 2 , come pure con un 2 dovrà essere contrassegnato il primo quintario. Ipoteticamente questo sarebbe il modo per “limitare” i danni, ma rimangono molti interrogativi, che solo con il ritrovamento di un catasto, avente questo tipo di centuriazione, si potrà dare adeguate risposte.
La centuriazione di Imola e Faenza è stata tracciata con questo schema, errori e confusione compresi. Tracce di tale centuriazione, sono state riscontrate anche altrove, Minturno, Terracina ed in alcune zone della Francia, ma a mio parere è più diffusa di quello che pensiamo.
Pur senza spiegarne le ragioni, Frontino dice che questa è una centuriazione “sbagliata”, aveva ragione, la confusione è ed era evidente, due strade, pur essendo esistenti, non risultano nelle mappe, non solo, con tale schema venivano formati dei saltus di 16 centurie, un saltus che mal si prestava a creare un diverso orientamento centuriale.




Fig.4

Centuriazione con diverso orientamento


Se per una insieme di ragioni poteva esserci la necessita di cambiare l’orientamento della centuriazione, per esempio, a causa della non perfetta pendenza del terreno, oppure per creare un ben visibile confine di ager, si ricorreva alla pratica qui presentata. In questa maniera venivano risolti molti “problemi” fra cui il rovinare il minor numero di centurie, e fare in modo che le strade dei due ager continuassero a combaciare.
Per far questo era indispensabile tracciare il confine con un quintario, (ecco un esempio dimostrante che i confini di ager venivano tracciati con dei quintari), e la centuriazione doveva essere stata tracciata con lo schema delle 25 centurie. Come ben dimostrato dal disegno, dopo 5 centurie di “apertura”, troveremo lo spazio esatto di una centuria, dopo dieci centurie lo spazio esatto di due centurie, dopo 15 centurie lo spazio esatto di tre centurie ecc. Con un saltus formato da 16 centurie questo non era possibile, infatti occorreva tagliare moltissime centurie.
Una curiosità da tenere presente, da Varrone si apprende che esistevano pure dei saltus formati da quattro centurie, un quintario ogni due centurie, ebbene se queste quattro centurie venissero divise per 4, le centurie diventerebbero 16 , come il saltus di Frontino, ma in tal caso le centurie sarebbero più piccole.
Come è noto, quando si dice che i quintari , hanno pure il compito di delimitare i saltus, di 25, oppure 16 centurie, non sempre viene specificato la superficie di tali centurie, come pure non viene specificato se queste devono essere quadrate, oppure rettangolari, considerato che vi sono tracce di almeno una ventina di diverse centurie, i saltus delimitati dai quintari, potrebbero essere diversi nella forma e nella superficie.
Come si può notare rintracciare i quintari non è una “impresa” facile, ma neanche impossibile. Il cercare di rintracciarli, indipendentemente dal risultato, è pur sempre un approfondimento che sicuramente migliora la conoscenza della propria centuriazione, perciò, una azione utile.
Ultimissima curiosità, potrebbe anche accadere di trovare due quintari appaiati, cioè alla distanza di una sola centuria, ebbene in tal caso il problema si complica. Nel mio territorio ho trovato una situazione di questo tipo, ma penso di aver dato una esauriente spiegazione: esistenza in loco di una antichissima via, che per un certo periodo ha avuto anche funzioni transumanti, area interessata da antichissimi confini e da due percorsi di fiumi. Naturalmente, non è detto che in altri luoghi le ragioni siano identiche, occorre studiarle.
Un appello agli studiosi. Sono fermamente interessato a conoscere le varie realtà locali, come pure sono interessato a conoscere i vostri commenti. Gli antichi dicevano una cosa giusta: I complimenti fanno piacere, ma non servono a niente, le critiche non piacciono, ma sono utilissime. Prego perciò sintonizzarsi sull’utile,
Buona ricerca.

Sgubbi Giuseppe Solarolo Ravenna Ulteriore mio recapito Joselfsgubbus@libero.it






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TIBERIACA : UN ANTICO NOME DELLA VALLE DEL SENIO
Il più antico ricordo storico del fiume Senio, detto Sinnius, si trova nella famosa Tabula Peutingeriana, una carta del mondo romano, a parere del Frizzi, con tale nome sarebbe pure ricordato anche dal geografo greco Strabone.
In un documento agiografico del V secolo è chiamato con due nomi, Acquaviva e Senio.
Nella cronaca del bolognese Ghirardacci si legge che al tempo di Teodosio (430 d.C), un non ben precisato confine era segnato dal Sannubio, che a suo parere corrisponderebbe al fiume Senio, con questo ultimo nome è sicuramente citato in una pergamena datata 988.
Tralasciamo le antichissime vicende di questo fiume e parliamo un po’ della sua valle.
In detta valle compaiono toponimi molto interessanti: Bagnacavallo era detta “Castrum Tiberiacum”, in un documento del 932 la pieve di Monte Mauro era detta “in Tiberiaci”, nei pressi di detta chiesa vi era il castello di “ Tiberiacum”.
Nei pressi di Bagnacavallo vi era pure un fondo detto “Tiberiolo”, poco oltre Borgo Rivola vi è la grotta detta del “Re Tiberi”, poco a valle di Casola vi era un lago chiamato “ Tiberiaco”, e una parrocchia sul Senio si chiama Tebano.
Cotesti toponimi; Tiberiaco, Tiberiacum, Tiberiolo, Tiberi, Tebano, non possono, senza una precisa ragione, trovarsi tutti e solo lungo detta valle.
Molti studiosi, antichi e moderni, hanno cercato di spiegarne la ragione; per il Cavina, il Coronelli, il Magnani , il Tonducci ed il Rossi, tali nomi sarebbero derivati dal fatto che in epoca romana Bagnacavallo si chiamava Tiberiacum. Per il notaio faentino Saletti, tali toponimi sarebbero derivati da Tiberino , re etrusco che avrebbe dato tale nome al fiume. Per il Padovani e per il Vasina tali toponimi sarebbero derivati dall’imperatore bizantino Tiberio II (578-582) in quanto questi avrebbe costruito in tale valle una linea difensiva. Per il Lucchesi, il Senio prima del mille si chiamava Tiberiacum, come il Tevere, ma non porta alcun documento che lo dimostri.
A mio modesto parere, tali toponimi potrebbero invece essere stati portati da popolazioni provenienti dall’Umbria, in particolare da quelli che abitavano la valle Tiberina, nome della valle derivato dal fiume Tevere, in antico detto Tibris. Che la valle Tiberina in antico sia stata una importantissima via di accesso dall’Umbria verso la Romagna , è un dato incontestabile, si pensi solo al grande numero di Santi romagnoli arrivati da tale regione; San Savino, San Procolo, San Valentino, San Lorenzo, Sant’Eustacchio, Sant’Orso, San Cassiano ecc, frutto della primitiva irradiazione del cristianesimo, per non parlare delle numerosissime persone fuggite dal centro Italia al seguito della guerra gotica (493-553). Ebbene, non deve sorprendere se queste popolazioni, provenienti da tale valle e stanziatesi nella valle del Senio, abbiano dato a questa valle e solo alla valle tale nome. Questo spiegherebbe la ragione per cui compaiono solo i toponimi e non il nome del fiume.
Sgubbi Giuseppe Solarolo

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