ALTRE STORIE
LEGGENDARIE
VICENDE AGIOGRAFICHE DEL V SECOLO, RIGUARDANTI IL TERRITORIO
FAENTINO.
Nella
Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze vi è un manoscritto
intitolato Vita de
santo Celestino Papa e Confessore,
senza data, ma probabilmente del XIII secolo
In
detto manoscritto vengono riportate gesta di un viaggio che
San
Celestino avrebbe effettuato ancor prima di essere diventato Papa.
(Celestino 1 422-432) .
Breve
riassunto del viaggio.
Mandato
in Emilia ed in Lombardia da Papa Bonifacio, regnante Teodosio II,
San Celestino, come prima tappa, soggiorna in una città chiamata
Flavia.(Faenza) e critica aspramente il comportamento dei suoi
abitanti. In questa città era scoppiata una grande epidemia, che
San Celestino , con le preghiere, fa cessare. . Dopo alcuni
giorni, parte per Forum Corneli,(Imola), nei pressi di un fiume,
(l'attuale Senio), guarisce un paralitico, Fa cambiare il nome
che il fiume aveva all'epoca e fa edificare una chiesa che dedicherà
a San Procolo ed al Salvatore. Successivamente fa tappa a Imola e
anche in tale città parla malissimo dei suoi abitanti, prosegue poi
per Mantova e Milano.
In
corsivo le vicende riguardanti il fiume Senio e della chiesa di
San Procolo, tradotte dal latino.
……giunsero
tutti piangenti ed addolorati per la tristezza dell’imminente
partenza fino al fiume che si chiamava Acqua Viva perché scorre
veloce come una freccia. A lui(Celestino) venne incontro un vecchio
che era così curco da non riuscire a guardare il cielo e gli disse
“Padre Santo, aiutami, ho questa malattia da dieci anni, ho speso
tutto con i medici e non ho ottenuto alcun giovamento”
L’uomo
di Dio gli rispose,” Se credi con tutto il cuore nel figlio di
Dio, sarai salvo e otterrai la salute”. Lui disse “Credo
Signore” e si prostrò ai suoi piedi. Celestino, uomo di Dio gli
prese entrambe le mani, lo fece alzare e lavare nel fiume dicendo
“Sia lui mondato e dritto nel nome di Gesù Cristo” e subito
quello fu sanato, senza che rimanesse traccia della sua infermità.
Per questo motivo quel fiume si chiama ora Senio, cambiato il nome
perché il vecchio(senex) si lavò lì.
Li
vicino fu fabbricata una chiesa in onore del Salvatore e di San
Procolo che il vecchio diresse finchè visse in santa religione e
pura condotta.
Da
alcuni studiosi è considerata una leggenda agiografica,
Sicuramente
l’anonimo agiografo del XIII° ha usato anche della fantasia, ma
vi sono buone ragioni per credere che avesse fra le mani alcuni
documenti storici, infatti non può essersi inventato tutto. Se diamo
uno sguardo alla situazione ecclesiastica del tempo, ci rendiamo
conto che alcune delle vicende riportate sono credibilissime e
conseguentemente tale viaggio può essere stato veramente
effettuato.
Sicuramente
desta qualche perplessità la notizia che il fiume Senio possa aver
ricevuto il nome in occasione di tale avvenimento, cioè nei primi
decenni del V secolo,. In verità tale fiume col nome Simnium, si
trova già citato in una carta di epoca romana, detta Tabula
Peutingeriana, anche se, come è noto, tale carta, specialmente al
riguardo della situazione fluviale, non è molto affidabile.
Non
si può affatto escludere che si chiamasse pure Acquaviva, nei
pressi di Tebano vi erano molte sorgenti. Per un certo periodo tale
fiume era detto pure Tiberiaco, cioè piccolo Tevere.
Come
si apprende dalla cronaca del faentino Tolosano, per un certo
periodo il nome di Faenza era Flavia
Possibilissima
la permanenza di San Celestino a Faenza, vari Papi, in tal periodo,
si sono dovuti recare più volte a Milano, in quanto molti vescovi
ambrosiani, considerata la grande distanza da Roma, si arrogavano,
senza averle, prerogative metropolitiche. Faenza, da tempo
sede vescovile, era per i Papi, diretti a Milano, una tappa quasi
obbligata.
Non
deve destare sorpresa anche il fatto che San Celestino abbia
parlato male sia degli abitanti di Faenza che di Imola. Come è noto,
in tale periodo, i vescovi delle città romagnole, non soggette
alla chiesa ambrosiana, avevano abbracciato la fede ariana, non a
caso in occasione del famoso concilio ariano del 359, la sede
cadde su Rimini.
Diffuso
in zona era certamente il culto di San Procolo, un san Procolo
bolognese è ricordato da Vittricio di Rouen nel 396 e da Paolino di
Nola nel 403, ma potrebbe benissimo trattarsi di un San Procolo
umbro, ricordato nella passio
Valentini,
ambientata sub
Claudio, perciò
datata verso il 270.
Non
si può escludere che successivamente la Plebe
santi Proculi, sia
stata costruita ove vi era una chiesetta dedicata a tale santo.
Perciò,
questo documento, seppur con qualche velatura leggendaria, riveste
per il faentino anche una discreta importanza storica.
Bibliografia
di riferimento
.San
Procolo di Pieve Ponte un enigma agiografico
Il
Senio l'antico Tiberiacum?
Giurisdizione
civile ed ecclesiastica di Imola e Faenza in epoca romana
GIUSEPPE
SGUBBI Solarolo Ravenna
IL
LAGO POCO A VALLE DI CASOLA DETTO TIBERIACO
Nel
recente articolo pubblicato dalla Voce di Romagna tema Valle
Tiberiaca, si dice che poco a valle di Casola vi è un lago detto
Tiberiaco,ebbene per colpa mia deve essere inteso che VI ERA , e
non che c'è ancora.
Non
tutto il male viene per nuocere, Dalla necessità di correggere
l'involontario errore,è scaturita la utilità di approfondire le
ricerche al riguardo di questo lago e del territorio circostante,
ebbene il compito è stato facilitato dal fatto che decenni fa avevo
già fatto tale ricerca.
Vi
sono buone ragioni per credere in tempi antichissimi, sia il fiume
Senio che la strada Casolana non passassero come oggi in localita
Rivola, in quanto i gessi formavano una ininterrotta catena.
Conseguentemente a monte dei gessi poteva benissimo essersi formato
un grandissimo lago alimentato dalle acque della intera vallata,
Tracce
sul terreno confermano la possibile presenta di questo lago.
Alcuni
decenni fa un anziano di Casola Valsenio mi fece vedere una mappa
antica riguardante il territorio Casolano e zone vicine, ebbene, pur
essendo un semplice schizzo, appariva , non lontano dalla grotta del
Rio Tiberio, un ben disegnato lago con scritto lago Tiberiaco.
Tale lago, abbastanza grande, era attraversato dal fiume Senio.
Considerato che tale mappa, a parere di questo signore, proveniva
da una antica cronaca, incuriosito chiesi di poter conoscere le
eventuali notizie storiche che potessero riguardare le zone
designate nella mappa, notizie che avendole ricevute brevemente
riassumo.
In
zona vi sarebbe stato , prima del diluvio, un grandissimo lago, le
cui acque arrivavano in mare grazie alle gallerie interne dei
gessi. Poi, a causa di un violentissimo terremoto un tratto della
catena gessosa sarebbe crollata. In epoca etrusca, a parere
dell'anonimo cronista, le acque del fiume Senio, erano divise in due
corsi, uno andava a sinistra ed uno andava a destra, poi
successivamente il Senio avrebbe preso il corso attuale. Un lago di
discrete dimensioni sarebbe rimasto ancora in loco. Vediamo alla
luce di queste frammentarie notizie di ipotizzare la situazione
preistorica in cui potevano trovarsi le acque del fiume Senio. La
divisione in due rami, uno a destra ed uno a sinistra potrebbe
significare che una parte di tali acque si sarebbero unite a
quelle del Sintria, mentre l'altro ramo sarebbe confluito nel
Santerno con l'unico percorso possibile, cioè quello del Rio
Sanguinario. Un esame del terreno ove si trova la confluenza di
questo Rio nel Santerno confermerebbe tale ipotesi, infatti una
parte di tale terreno sarebbe arrivato dalla valle del Senio. Queste
constatazioni confermerebbero almeno in parte il contenuto della
antica cronaca, perciò vi sono le premesse per considerare veritiere
anche le notizie riguardanti le presenza di un lago a valle di
Casola.
Come
è ovvio successivamente ho fatto certosine ricerche con l'intento di
trovare sia la mappa che l'antica cronaca, purtroppo senza successo.
Avendone avuto visione, posso confermare l'esistenza della mappa,
ma dell'antica cronaca non ho trovato alcuna traccia. Alla luce di
queste notizie possiamo immaginare il paesaggio a valle della catena
appenninica, naturalmente prima del crollo che ha creato la
situazione attuale. Considerato che i gessi sono caratterizzati da
molte gotte e e tante gallerie, senza alcun dubbio grazie ad alcune
di queste, magari in occasione di periodi particolarmente piovosi,
l'acqua della valle del Senio arrivava direttamente a valle. Sarebbe
stato un magnifico spettacolo naturale da ogni galleria una
cascatella, come fossero fontane.
Questo
significa che verso il fondo valle non necessariamente doveva
trovarsi un corso d'acqua, cioè un fiume, ma sicuramente un lago
oppure una vasta laguna. Esiste il ricordo storico di un lago a
valle della via Emilia. Una vasta area detta ancora Laguna
conferma la antica presenza di un antico lago, come pure potrebbe
confermare l'effettiva presenza in tempi antichissimi
dell'immaginato paesaggio sopraccennato.
Sgubbi
Giuseppe Solarolo L'ENNESIMA
IPOTESI AL RIGUARDO DEL “MISTERIOSO” DODECAEDRO ROMANO
Nonostante il
pronunciamento di un nutrito gruppo di studiosi e di professori, il
Dodecaedro, un reperto di epoca romana, sta passando alla storia
come un “oggetto misterioso” Cotesto oggetto ha 12 facce
pentagonali, ognuna delle quali ha un buco circolare o ellitico,
di diametri diversi.
Al riguardo sono state
fatte varie ipotesi, ma solo quella della professoressa Amelia
Carolina Sparavigna, (Politecnico di Torino) è sembrata
particolarmente interessante, a suo parere potrebbe trattarsi di
uno strumento ottico per misurare le distanze, cioè un telemetro.
Al seguito di un
approfondito studio effettuato su un dodecaedro, la Sparavigna ha
potuto spiegare molto bene ed in modo molto convincente la sua
possibile utilizzazione.
Una sua affermazione
mi ha particolarmente colpito; ruotandolo su sé stesso, era
possibile ricavare 6 misure diverse. Questa è stata la “molla”
che mi ha permesso per effettuare una ulteriore ipotesi: tale
oggetto ben si prestava ad essere usato dagli agrimensori
romani, per tracciare la centuriazione.
Più volte mi sono
chiesto con quali strumenti gli agrimensori romani effettuavano le
necessarie e complesse misurazioni riguardante tale pratica,
probabilmente ho trovato una possibile risposta.
Approfondiamo un po'
l'argomento,
Una delle prime cose
che facevano i romani dopo aver conquistato una area era quello di
bonificarla e di dividerla in appezzamenti, dette centurie, scopo,
consegnarle ai coloni.
Come è noto con un
attrezzo detto Groma, tracciavano una strada detta Decumano
Massimo(da Est ad Ovest), ed una altra, detta Cardine Massimo(da
Sud a Nord). Parallelamente ed equidistante a queste strade, per
tutta l'area che intendevano centuriare, ne venivano tracciate delle
altre.
Al seguito di queste
operazioni il territorio diventava una scacchiera con identici
quadrati o rettangoli, detti centurie, che a sua volta erano oggetto
di ulteriori suddivisioni interne.
Le centurie più
comuni erano di 20 x 20 Actus, cioè aventi un lato di circa
705 metri ed una superficie di circa 50 ettari, ma in
considerazione del fatto che per un insieme i motivi, venivano pure
tracciate centurie di diverse misure, risulta evidente che vi era la
necessita di effettuare moltissime e diverse misurazioni.
Vediamo anzitutto quale
era il sistema da loro usato per misurare le distanze lineari. Le
loro misure erano basate sul piede (cm 29,57), sul
passo, che era un doppio passo, 5 piedi (m. 1,48), sulla
pertica, dieci piedi(m.2,95), sull'actus, 120
piedi(m. 35,5 , sul miglio,1000 passi (1480 metri).
Dal Corpus Agrimensorum
( il più importante trattato sulla centuriazione) e da altre fonti,
è possibile conoscere alcuni strumenti che gli agrimensori
usavano per misurare: il già ricordato Passo, la già
ricordate Pertica, il già ricordato Groma, il poco
noto Hodometrom ( uno strumento formato da ingranaggi, che
adattato alle ruote di un veicolo, permetteva di misurare le distanze
effettuate, più o meno come un conta chilometro) e naturalmente
delle funi.
Grazie a tutti questi
strumenti , specialmente sui terreni ben livellati, era possibile
effettuare delle misurazioni quasi perfette, ma che dire quando ci si
trovava di fronte a terreni accidentati , in presenza di corsi di
acqua, oppure altri ostacoli naturali? Ecco che sarebbe stato
utilissimo poter usufruire di uno strumento che permettesse
misurazioni “ ad altezza d'uomo”, per esempio un Dodecaedro,
purchè provvisto di fori.
Se la ipotesi della
Sparavigna risultasse credibile, non si vedrebbe la ragione per cui
gli agrimensori romani , seppur molto preparati ed organizzati per
superare le varie difficoltà , potendo disporre di un Dodecaedro,
non l'avessero usato.
Se questa mia ipotesi
trovasse conferma, il Dodecaedro non sarebbe un telemetro, ma
piuttosto un telepassus oppure ancor
meglio un teleactus.
Alcune
importanti considerazioni.
Come
è noto molti autori di epoca greca, Platone, Pitagora ecc,
ricordando il Dodecaedro, lo descrivono come una figura
geometrica con 12 facce, ma senza fori.
Perciò
i fori non possono che essere stati aggiunti solo in epoca romana.
Da
questi antichi scrittori abbiamo pure appreso l'importanza che
rivestiva il numero 12, e che da tale numero è derivata la parola
Dodecaedro.
Non
si può affatto escludere che grazie a tale derivazione i romani
possano aver scelto fra i solidi Platonici ed adattato alle loro
esigenze, proprio un Dodecaedro, strumento che, oltre a permettere
di disegnare perfetti figure geometriche, angolo, rettangolo,
quadrato ecc, cosi importanti per la pratica agrimensoria, contiene
come numeri di base sia il 12 che il 5, le misure “auree”della
centuriazione e della astronomia.
Contrariamente alla convinzione generale, il
Decumano, la più importante strada della centuriazione, non deriva
da Decimano (10), ma da Duodecimano (12), in quanto il percorso di
questa strada corrisponde al tragitto effettuato dal sole in
occasione dell'equinozio di primavera, perciò divisione del giorno
in due parti.
Non
a caso la larghezza del quintario era di 12 passi,
Pure
il 5 era usato nella centuriazione, il passo era formato da 5
piedi, per non parlare dell'Ordines in Quincuncem di
Ciceroniana memoria.
Alla
luce di queste considerazioni, e di altre che sicuramente
scaturiranno da ulteriori approfondimenti, l'ipotesi ne esce
rafforzata.
Sgubbi
Giuseppe Solarolo Ravenna Joselfsgubbus@libero.it
( archeologo dilettante e studioso della centuriazione romana)
DUE NUOVE IPOTESI
Nel corso di una recente conferenza ho
formulato due nuove ipotesi protostoriche.
Prima ipotesi. Da antichissime
cronache ho appreso che ad un certo momento un consistente numero di
coloni etruschi , partiti dalla Etruria, sarebbero andati in
oriente.
Già di per sé questa notizia mi è
sembrata interessante, non solo, ma ancor più interessante è che
questi avrebbero usato una direttrice adriatica.
Se a questa notizia aggiungiamo
testimonianze storiche ben note: Pelasgi arrivati alla foce del
Po, che questi Pelasgi erano Etruschi, che gli Etruschi, come dice
Erodoto, sarebbero arrivati dalla Lidia, probabilmente per via
Adriatica, infatti nessun autore antico dice che questi sarebbero
approdati nelle coste tirreniche, pur con le dovute cautele, si può
ipotizzare in tre tappe, una ulteriore teoria sulle origini e sullo
sviluppo della civiltà Etrusca.
1)Pelasgi con i Villanoviani o con
altre popolazioni occupano la Padania Orientale ed il centro Italia,
formando una società Etrusca non molto civilizzata
.
2)Un consistente numero di questi
Etruschi, per ragioni ignote, vanno in Oriente per via Adriatica e
fondano alcune città fra cui Verrucchio
3)Coloni etruschi, con una direttrice
adriatica, arrivano dalla Lidia, fondano alcune città padane,
successivamente si stanziano in Etruria, poi al seguito di
influenze orientali formano la civiltà etrusca che conosciamo.
Se questa non impossibile successione
di eventi fossero realmente avvenuti, si spiegherebbero, fra l’altro,
alcune “zone di ombra” che costellano le altre teorie: stele
bolognesi diverse dalle stele dell’Etruria tirrenica, le
iscrizioni di Lemmo e le vicende della città di Verrucchio.
Seconda ipotesi Come è noto il
portolano conosciuto come Ps Scilace , in un passo seppur ritenuto
“disgraziato”, segnala nei pressi di Spina l’esistenza di una
direttrice terrestre che dall’Adriatico arrivava ad una città
tirrenica. Da oltre venti anni, propongo la possibilità che
l’attuale via Lunga, una strada che parte dai pressi di Spina e
arriva nella via Emilia in corrispondenza della valle del Senio,
possa corrispondere alla accennata direttrice terrestre.
Mi dispiace constatare che nonostante
abbia fatto conoscere questa mia proposta a molti studiosi, solo uno
di questi si è al riguardo pronunciato. Questo professore, che
naturalmente ringrazio, ha detto che sicuramente si tratta di una
“affascinante ipotesi” ma che naturalmente occorre una
“dimostrazione scientifica”.
Non posso non concordare sulla
mancanza della necessaria “dimostrazione scientifica “, ma dando
uno sguardo alle numerose proposte che molti studiosi hanno fatto al
riguardo del possibile percorso di detta direttrice, non posso non
esprimere qualche perplessità, infatti non vedo in questi una
seppur minima traccia di “dimostrazione scientifica”.
Al riguardo è stato detto di tutto ed
il contrario di tutto, il fatto stesso che siano state proposte
almeno una decina di questi possibili percorsi, la dice lunga sulla
“scientificità”delle loro ipotesi. Non intendo qui commentare
tali percorsi, anche perché la maggior parte di questi sono
incomprensibili , mentre invece ritengo opportuno sottolineare
indizi oggettivi, totalmente mancanti nelle ipotesi degli studiosi,
che mi hanno spinto a fare “l’affascinante ipotesi”.
Il portolano avrà avuto una buona
ragione per segnalare ai naviganti l’esistenza in quel
determinato luogo di una direttrice terrestre, sicuramente non solo
per far conoscere l’esistenza di una strada che collegava Felsina
ed il suo porto Spina. Vi sono buone ragioni per credere che
l’ abbia segnalata in quanto tale
direttrice terrestre era l’unica e da tempo usata dai popoli che ,
sia per via terra che per via adriatica, erano intenzionati ad
andare nel centro Italia, perciò una “strada dei due mari” usata
dall’Adriatico al Tirreno, come testimoniato da varie fonti
antiche.
Ai lati della via Lunga sono
disseminati un impressionante numero di abitati preistorici, non mi
risulta che altrove esista una situazione simile, tale strada era
costeggiata da un fiume, si tratta di un indispensabile corso
d’acqua che conferma l’esistenza di tanti abitati.
Vi sono buone ragioni per credere che
questo fiume fosse un ramo del Santerno, cioè il Rasena, ricordato
da Marziale, sicuramente è il nome del corso d’acqua che
attraversava l’abitato preistorico di via Ordiere. Non si può
escludere che i Pelasgi ricordati da Ellanico, invece dello Spinete,
abbiano risalito il Rasena.
I sassi trovati a Spina non derivano
dalle colline bolognesi, una logica provenienza se detta via, come
qualcuno ha ipotizzato, avesse direttamente collegato Felsina con
Spina
.
Detta via si trova sopra ad una
striscia di terreno eccezionalmente alta, lo dicono la modesta
profondità degli strati archeologici.
Mi pare di poter affermare
“scientificamente” e perciò difficilmente smentibile, che la via
Lunga è stata sicuramente praticata dalla più remota antichità.
Se chiedo agli studiosi di tener in
considerazione la possibilità che la via Lunga possa corrispondere
al tragitto terrestre segnalato dallo Ps Scilace, anche in
considerazione delle evidentissime debolezze delle proposte
alternative, chiedo TROPPO?
Ringrazio gli studiosi del “ramo”
che volessero farmi conoscere il loro parere.
Sgubbi Giuseppe Via Borgo Bennoli 30
48027 Solarolo (Ravenna) tel 347 9438906
Solarolo 31.1.2011
NOTIZIE SUL CIOCCO DELLA FRUSTA
TRALASCIAMO LE NOTIZIE AL RIGUARDO
DELLA STORIA DELLA FRUSTA
PER FRUSTA INTENDIAMO UNA FRUSTA CHE
FA DEI CIOCCHI
GIA USATA IN EPOCA TROIANA PERCIO
OLTRE IL 1200 A C
POI DAI GALLI, 400 A C
POI DAI ROMANI ECC
MA VEDIAMO LE RICERCHE AL RIGUARDO
DEL CIOCCO
QUELLI CHE HANNO SCRITTO SULLA
STORIA DELLA FRUSTA HANNO PRECISATO CHE IL CIOCCO VIENE PRODOTTO IN
QUANTO IL PUNTO TERMINALE SUPERA IL MURO DEL SUONO CHE NELL'ARIA
E POCO PIU DI 1200 KM ORARI
MA DA CHI E STATO SCIENTIFICAMENTE
DIMOSTRATO CHE EFFETTIVAMENTE IL PUNTO TRMINALE SUPERA
EFFETTIVAMENTE IL MURO DEL SUONO?
QUELLO CHE DICO EUN PO LA STORIA DI
QUESTE RICERCHE
EBBENE NEL 1905 PER LA PRIMA VOLTA
UNO SCIENZIATO UN TEDESCO FORMULA L'IPOTESI CHE IL CIOCCO DELLA
FRUSTA SUPERI TALE VELOCITA.
MOLTI SUOI COLLEGHI SONO INCREDULI,
INFATTI NON CREDONO CHE CON LA FORZA UMANA SIA POSSIBILE FAR
SUPERARE UN OGGETTO TALE VELOCITA,
A PARERE DI ALCUNI SCIENZIATI IL
CIOCCO POTREBBE VENIRE INVECE DALL'URTO MECCANICO FRA DUE PARTI
DELLA CORDICELLA .
MA QUALCUNO CI CREDE, INFATTI GIA
IN ALCUNE ENCICLOPEDIE VIENE RIPORTATA TALE POSSIBILITA, MA MANCA LA
DIMOSTRAZIONE SCIENTIFICA
NEL 1927 UN FRANCESE CREA UNA
FUSTA MECCANICA E DIMOSTRA CON DELLE FOTO CHE EFFETTIVAMENTE VI E
IL SUPERAMENTO DEL MURO DEL SUONO, E NON UN URTO MECCANICO FRA
CORDICELLA
MA E UNA FRUSTA MECCANICA , OCCORE
DIMOSTRARLO CON UNA FRUSTA COME LA NOSTRA,
1958 TRE SCIENZIATI AMERICANI
VOGLIONO VEDERCI CHIARO, VI ERA IN AMERICA UN GRUPPO DI GIOCOLIERI
CHE FRA L'ALTRO FACEVANO DEI CIOCCHI CON LE FRUSTE,
EBBENE QUESTI USANO UNA TELECAMERA
CHE FA 40 IMMAGINI AL SECONDO, ED ARRIVANO AD OTTIMI RISULTATI,
CON LA RUSTA E POSSIBILE ARRIVARE
ADDIRITTURA A 1800 KM ALL'ORA, PERCIO IL CIOCCO AVVIENE PER QUESTA
RAGIONE
NEL 1998 PERCIO POCHI ANNI FA
SCIENZIATI TEDESCHI USANDO UNA VIDEOCAMERA CHE PUO REGISTRARE 9000
IMMAGINI AL SECONDO RAGGIUNGONO SORPRENDENTI RISULTATI,
TALE ALTISSIMA VELOCITA LA FRUSTA
LA RAGGIUNGE PER UN PERIODO CORTISSIMO SOLO PER DUE MILLESIMI DI
SECONDO, POCHI CENTIMETRI DOPO CHE E ARRIVATO IL CIOCCO, IL
CIOCCHETTO E GIA ABBONDANTEMENTE SOTTO LA VELOCITA DEL SUONO.
.
QUINTARIO LORO
FUNZIONE E COME RINTRACCIARLI
Non
molo tempo fa, con tre articoletti, Quintario una
importantissima strada della centuriazione
romana,
Leggendo
il catasto Faventino, e I confini in epoca romana,
ho sollevato il problema QUINTARIO. Non ho fatto altro che far
conoscere agli studiosi ciò che avevo appreso sul quintario, al
seguito di trentennali ricerche effettuate sulla centuriazione ove
io abito, Solarolo provincia Ravenna.
Naturalmente
ho precisato che per poter fare delle affermazioni di un certo
spessore, occorreva estendere l’indagine anche verso altre zone
del mondo romano. Essendo stato invitato a tenere conferenze
in zone extra romagnole, ed avendo potuto effettuare utilissimi
confronti con altre zone centuriate, ho la possibilità di fare
alcune utili precisazioni e di aggiungere qualcosa a quello già
detto nei sopra citati articoli. Pertanto, ciò che riporterò
in questo articolo, sono i risultati delle mie ricerche, fino
ad ora conseguiti,
perciò risultati ancora provvisori , in quanto, a mio modesto
parere, il “problema quintario” , è ancora ben lontano dall’
essere definitivamente risolto.
Anticipo
i risultarti conseguiti, che naturalmente nel corso
dell’articolo cercherò di spiegare nei minimi particolari, al
riguardo della sistemazione dei quintari, ho affermato, senza tema
di essere smentito, che in alcune aree centuriate è stato usato lo
“schema Frontino”, un quintario ogni quattro centurie, in
altre è stato invece usato lo “schema Igino Gromatico” , un
quintario ogni cinque centurie. Naturalmente non posso escludere che
in “altre” aree siano stati usati altri “schemi.” Per
quanto riguarda la numerazione delle strade, sia le centuriali che i
quintari, “barcollo ancora nel buio”, infatti ho aggiunto
“ipotesi alle ipotesi”. La prima cosa che intendo
sottolineare è la “colpevole latitanza “ degli studiosi, al
riguardo di questo importante aspetto della centuriazione. Porto
un esempio che ne descrive l’evidente trascuratezza, prendiamo
in mano il bellissimo volume Misurare
la terra: centuriazione e coloni nel mondo romano.
Modena, dicembre 1983- febbraio 1984. Questo libro contiene saggi
di qualificatissimi studiosi della centuriazione romana: Settis,
Gabba, Capogrossi Colognesi , Tozzi, Favory, Laveque, Chouquer,
Carandini, Castagnetti, Vallat, Pagano, ed altri, ma fino a
pagina 128 non troveremo la parola quintario,
la troveremo in alcune pagine successive, ove ci si limita a far
presente che in epoca romana, fra le altre strade, venivano
tratteggiati pure i quintari. Decisamente troppo poco. Di questi
esempi potrei portarne a decine, infatti, in moltissimi articoli
sulla centuriazione, tale parola non compare. Mi rendo
perfettamente conto che per rintracciare i quintari si incontrano
grande difficoltà: la pratica della centuriazione ha durato
almeno 600 anni, nel corso di un cosi lungo periodo tale pratica
è stata regolata da diverse disposizioni di leggi , gli
agrimensori sono stati costretti ad adattarsi ad innumerevoli e
diverse situazioni paesaggistiche, situazioni paesaggistiche che
nel corso dei secoli hanno sicuramente subito ulteriori
trasformazioni, perciò non è possibile rintracciarli basandosi
solamente nei segni che queste strade hanno lasciato sulla terra.
Si tenga anche conto che, al riguardo di tale pratica, gli
agrimensori ci hanno tramandato ben poco, perciò alla luce di
queste considerazioni, non deve sorprendere se non esiste una
“regola aurea”che descriva lo schema usato per tracciare i
quintari, una regola che avrebbe potuto favorire un facile
rintracciamento. Questo però non deve giustificare il
disinteresse verso questo importante aspetto della centuriazione,
infatti la bibliografia, al riguardo del quintario, è
praticamente inesistente. Nel corso delle conferenze che ho
effettuato, ho cercato di descrivere nei minimi particolari quelle
che a mio parere sono state le funzioni del quintario, che
brevemente sintetizzo: strade di grande traffico nell’interno degli
ager, perciò usate sia da quelli che potremmo chiamare “pubblica
utilità”, ma, nella occorrenza, usati anche per spostamento di
truppe. Lungo il loro tragitto sono stati costruiti i vici , i pagi
ed eventuali agglomerati umani, funzioni catastali e postali,
delimitazione dei saltus, una di queste strade era riservata alla
transumanza, cioè i calles, diventati in epoca medioevali i
tratturi.
Ma
la funzione più importante che aveva il quintario era quello di
segnare i confini degli ager, sul come veniva segnalato questo
importante confine, si e detto tutto ed il contrario di tutto,
fiumi, cippi, diversa orientamento della centuriazione, distanza
equidistante, ecc, il fatto stesso che ogni studioso ha fatto al
riguardo proposte diverse, la dice lunga sulla comprensione del
come veniva effettivamente tracciato.
Uno
sguardo alla situazione attuale, conferma che effettivamente i
quintari hanno avuto le funzioni che ho appena accennato, infatti
su queste antiche strade si trovano le pievi, le parrocchie, i
castelli, i santuari, piccoli e grandi agglomerati umani. Molti
confini provinciali e comunali sono tuttora contrassegnati dai
loro antichi percorsi. Non credo che tutto questo possa essere
annoverato fra le “inspiegabili coincidenze”. Alla luce
di queste considerazioni, mi pare che il problema quintario,
meriti di essere approfondito in quanto permette di aprire una
importante “finestra “ sul nostro passato, infatti offre
concrete possibilità di rintracciare gli antichi agglomerati
scomparsi, sia di epoca romana che di epoca altomedioevali.
Come
rintracciare i quintari Iniziano
questo non facile compito analizzando quel poco che ci hanno
tramandato i gromatici, per vedere se è possibile trarne qualche
utile indicazione: Igino Gromatico ci fa sapere che dalla
sistemazione dei quintari doveva scaturire un saltus quadrato di
25 centurie, cinque centurie per ogni lato. Da Frontino
apprendiamo che per una insieme di ragioni, forse per errore, sono
scaturiti anche dei saltus di 16 centurie, perciò un quintario
ogni quattro centurie. Esistono anche altre proposte ed altri
esempi, ma da quello che ho potuto constatare, nella stragrande
maggioranza delle centuriazioni sono stati usati le indicazioni
di Igino, oppure gli “errori” segnalati da Frontino.
Sono
fermamente convinto che il saltus corretto sia quello consigliato da
Igino, non solo perché il significato della parola quintario
significa uno ogni 5 centurie, ma anche perché solo con tale
saltus è possibile effettuare una corretta variazione della
centuriazione. Nel corso delle conferenze che ho effettuato, mi
sono lungamente soffermato sul significato e sulle molteplici
funzioni dei saltus, un aspetto che tralascio,
in quanto per rintracciare i quintari, scopo primario di questo
articolo, occorre approfondire ben altri aspetti.
Cerchiamo
ora di dare una risposta ad una importante domanda: considerato
che l’apparato stradale romano aveva come punto di partenza e di
riferimento il decumano massimo ed il cardine massimo, il
conteggio delle strade per poi tracciare il quintario, da dove
iniziava? A parere degli agrimensori e dei pochissimi studiosi che
si sono interessati di questo problema, il conteggio doveva iniziare
con l’inclusione del cardine o decumano massimo, cioè contare
anche quello. In apparenza, doveva essere una operazione facile,
ma evidentemente non lo era, più spesso di quello che si crede
e per ragioni che non conosciamo, come i fatti dimostrano,
l’operazione deve avere incontrato delle enormi difficoltà.
Difficoltà giustamente evidenziate da Igino Gromatico, questi,
sicuramente uno dei più preparati agrimensori di epoca romana, si
chiede e chiede, se la prima linea alla destra del cardine o
decumano massimo debba essere chiamata prima, oppure seconda.
Considerato che anche Igino consiglia l’inclusione, la domanda
appare superflua e troppo ovvia la a risposta, se il conteggio
doveva iniziare dalla prima strada, la linea successiva doveva
essere considerata la seconda. Invece, come già detto, forse per
regole poco chiare, spesso venivano commessi errori.
Prima
di iniziare il conteggio delle strade, scopo rintracciare i
quintari, occorre rispondere ad una altra precisa domanda: in
epoca romana le strade come erano classificate e contrassegnate? La
nomenclatura attuale delle strade la conosciamo bene, ogni strada
è contrassegnata da iniziali. Una A ed un numero, per le
autostrade. SS con un numero, per le statali. SP con un numero e
con un nome, per le provinciali. SC senza alcun numero( in
verità occorreva), ma con un nome, per le comunali. In tale
maniera si riesce facilmente a distinguere le strade dalla più
grande alla più piccola. Ma la situazione in epoca romana non è
altrettanto chiara. Pur senza aver fatto particolari
approfondimenti, mi risulta che le consolari erano contrassegnate
con un nome, Emilia, Flaminia ecc. I decumani ed i cardini massimi
, venivano individuati con le semplici iniziali, DM (decumano
massimo), e KM ( cardine massimo). Le strade centuriali , cioè
quelle che delimitavano le centurie, venivano contrassegnate con
la iniziale K, se cardine, e con la iniziale D, se decumani,
seguite da un numero, e con la dicitura destra
oppure sinistra
a seconda della loro posizione rispetto ai cardini e decumani
massimi. A parere di qualche studioso, queste ultime strade non
venivano numerate, in quanto non avevano alcuna funzione.
Effettivamente, le centurie venivano contrassegnate con un numero,
senza aver bisogno di nominare le strade che le delimitavano, ma ,
considerato che se Igino ha sentito il bisogno di chiedere come
deve essere chiamata una di quelle strade, significa che , per
ragioni che non conosciamo, vi era la necessità di distinguere le
une dalle altre. L’incertezza rimane, una incertezza che riguarda
particolarmente i quintari, considerato che queste erano strade di
grande traffico, aventi pure funzioni postali e catastali, vi sono
buone ragioni per credere che oltre al nome quintario, nome dato a
questo tipo di strada, venisse pure numerato, sia per essere
distinto dagli altri quintari, sia che per essere facilmente
localizzato.
Più
avanti, nel corso delle “indagini preliminari” dovrò
volutamente omettere di sottolineare anche la necessita di
consultare anche ciò che altri hanno scritto al riguardo della
locale centuriazione, eppure la grande utilità è fin troppo
evidente, ma attenzione, al riguardo della sistemazione dei
quintari, alcuni scritti potrebbero essere fuorvianti. Porto un
esempio illuminante: ho sotto agli occhi il contributo del
padovano Legnazzi, riguardante la centuriazione fra Imola e
Faenza. Questi , fermamente convinto che tale centuriazione fosse
stata tracciata come nel padovano, cioè con lo schema Igino,
(tracciamento padovano comunque meritevole di essere verificato),
fece in modo che dalla sistemazione dei quintari, scaturissero dei
saltus di 25 centurie.
Questi,
non essendosi reso conto che in detta zona la centuriazione era
stata invece tracciata con l’erroneo schema Frontino, commise,
seppur involontariamente, una lunga fila di errori. Mi
sorprende una cosa, nonostante che da anni faccio presente agli
studiosi che la carta Legnazzi è inaffidabile, una inaffidabilità
ampiamente documentata, la totalità degli studiosi della attuale
centuriazione continua a riportare tale carta, come esempio di
“centuriazione romagnola”. Questo per dire che occorre
evitare di partire ” col piede sbagliato”.
Pur
tenendo conto che ogni area è “una storia a sé”, le
indicazioni che seguiranno, se seguite con attenzione, permettono,
come più volte è accaduto, di rintracciare i quintari, con
una certa facilità.
Per
prima cosa, dovremo fare alcune indagini preliminari, valide per
ogni area centuriata. Avendo trovato alcune tracce di
centuriazione, ricostruiamola tutta, per una area abbastanza
grande, più o meno come doveva o poteva essere, sia per il
verso dei cardini (Sud- Nord), che per il verso dei decumani (
Est-Ovest).
Fig.1
Area
centuriata con cardine e decumano massimo
Al
seguito di questa indispensabile operazione, disponiamo di una
mappa a forma di scacchiera della zona che vogliamo indagare, che,
fra l’altro, ci da la possibilità di fare una importante
verifica, rendersi conto con quale tipo di centurie è stata
tracciata tale centuriazione. La più comune era quella di centurie
da 20x 20 actus, cioè di circa 705 metri di lato, ma a volte
sono state usate centurie diverse, in tal caso occorre controllare
che la lunghezza dei lati abbiano una corrispondenza con gli actus,
se così non fosse, la centuriazione potrebbe anche non essere
romana. Ad ogni modo, per procedere occorre verificare con esattezza
quale tipo di centuria è stata usata. Due utili controlli: dopo
aver controllato se alcune strade tuttora praticabili,
corrispondono alle maglie della centuriazione, si controlli pure
se in alcune di queste si trovano allineati edifici religiosi,
(pievi, parrocchie, santuari), oppure edifici civili, ( castelli,
agglomerati piccoli e grandi), in quanto in tal caso potremmo aver
già individuato un quintario, ma per sincerarsene occorre, oltre
naturalmente al conteggio che sarà spiegato, fare uno scavo in
detta strada, se la larghezza è attorno ai 4 metri, potremmo dire
che siamo stati “baciati dalla fortuna” in quanto faciliterebbe
il proseguo della ricerca. Dovremo pure darci da fare, per
rintracciare il cardine ed il decumano massimo, impresa non
facile, il più delle volte queste due strade si incrociavano al
centro del forum romano, ma non sempre, in alcuni casi, per svariate
ragioni, si incrociavano fuori dal centro urbano, ma occorre
rintracciali. Il rintracciarli è una operazione praticamente
indispensabile. Sperando in un esito positivo.
Come
individuare correntemente i quintari se la centuriazione è stata
tracciata con lo schema Iginio Gromatico.
Fig.2
Saltus
di Igino Gromatico
Iniziamo
dal cardine o decumano massimo. Punto di riferimento di queste
strade è quello di effettuare la sistemazione dei quintari e di
iniziare l’eventuale numerazione delle strade, come a suo tempo fu
il punto di riferimento per iniziare la centuriazione.
L’individuazione
dei quintari è abbastanza facile, dopo 5 centurie troveremo il
primo quintario, dopo altre 5 il secondo, e cosi via. Così facendo
vengono a formarsi dei saltus di 25 centurie.
Più
problematico il conteggio e la numerazione sia delle strade
centuriali che dei quintari. A mio parere, contrariamente alle
indicazioni dei gromatici, e della totalità degli studiosi, il
conteggio NON deve iniziare dal Cardine o decumano massimo, se
proprio vogliamo dare un numero a questa strada, metteremo uno
zero. Conseguentemente la prima strada centuriale avrà il numero
uno ed altrettanto il primo quintario.
Qualcuno
potrebbe giustamente chiedere la ragione per cui il conteggio non
deve iniziare dal Cardine e decumano massimo. Domanda pertinente, una
ragione c’è, se fosse quello l’inizio, ci troveremmo nella
paradossale situazione, che ad una unica linea corrisponderebbe ben
tre strade: il cardine o decumano massimo, un quintario ed una
strada centuriate. Essendo tutte e tre incorporate in una unica
linea, come potranno essere citate in una mappa? Nell’impossibilità
ci citarle tutte e tre, sicuramente sarà citata solo la più
importante , cioè il cardine o il decumano massimo, e delle altre
due che ne facciamo? Le lasciamo lì, facendo confusione? Oppure le
cancelliamo? Sono fermamente convinto che alcuni agrimensori
romani si saranno resi conto che seguendo alla lettera le
indicazioni di Igino, cioè iniziare il conteggio sia dei quintari
che delle strade centuriali, includendo il cardine o decumano
massimo, avrebbero creato una confusione interpretativa,
confusione che col metodo sopra indicato, veniva eliminata.
Il
metodo è praticamente perfetto, le strade centuriali ci sono
tutte, e tutte progressivamente numerate, altrettanto i quintari.
Di
fronte a questo tipo di centuriazione, Igino troverebbe la risposta
al suo interrogativo, anzi non l’avrebbe neanche formulata.
Vi
sono molte tracce di questo tipo di centuriazione, cioè col saltus
da 25 centurie, ma sono convinto che al seguito di una attenta
indagine, constateremo che invece, più spesso di quello che
crediamo, sia stato usato l’erroneo schema Frontino, cioè
saltus di 16 centurie.
Come
individuare correntemente i quintari se la centuriazione è stata
tracciata con l’erroneo schema Frontino.
Fig.3
Saltus
Frontino
Anche
in questo caso, l’individuazione è facile, ogni 4 centurie un
quintario, percio saltus di 16 centurie. Che questa è la
sistemazione dei quintari, non vi sono dubbi, l’ho potuto
constatare nel corso delle mie ricerche, per quanto riguarda il
conteggio e la numerazione delle strade, la situazione si fa
complicata.
Abbiamo
già visto la confusione che si può creare iniziando il conteggio
dal cardine e decumano massimo, considerato che in questo caso è
stata usata tale pratica, non è facile ipotizzarne le conseguenze.
Tentiamo una possibile ipotesi, considerato che il primo quintario e
la prima strada centuriale, essendo incorporate ai cardini o
decumani massimi, non possono essere visibilmente numerate, dovremo
per forza numerare solo le successive, conseguentemente la prima
strada centuriale che troveremo, dovrà essere contrassegnata col
numero 2 , come pure con un 2 dovrà essere contrassegnato il primo
quintario. Ipoteticamente questo sarebbe il modo per “limitare”
i danni, ma rimangono molti interrogativi, che solo con il
ritrovamento di un catasto, avente questo tipo di centuriazione, si
potrà dare adeguate risposte.
La
centuriazione di Imola e Faenza è stata tracciata con questo
schema, errori e confusione compresi. Tracce di tale centuriazione,
sono state riscontrate anche altrove, Minturno, Terracina ed in
alcune zone della Francia, ma a mio parere è più diffusa di quello
che pensiamo.
Pur
senza spiegarne le ragioni, Frontino dice che questa è una
centuriazione “sbagliata”, aveva ragione, la confusione è ed
era evidente, due strade, pur essendo esistenti, non risultano nelle
mappe, non solo, con tale schema venivano formati dei saltus di
16 centurie, un saltus che mal si prestava a creare un diverso
orientamento centuriale.
Fig.4
Centuriazione
con diverso orientamento
Se
per una insieme di ragioni poteva esserci la necessita di cambiare
l’orientamento della centuriazione, per esempio, a causa della non
perfetta pendenza del terreno, oppure per creare un ben visibile
confine di ager, si ricorreva alla pratica qui presentata. In questa
maniera venivano risolti molti “problemi” fra cui il rovinare
il minor numero di centurie, e fare in modo che le strade dei due
ager continuassero a combaciare.
Per
far questo era indispensabile tracciare il confine con un quintario,
(ecco un esempio dimostrante che i confini di ager venivano
tracciati con dei quintari), e la centuriazione doveva essere stata
tracciata con lo schema delle 25 centurie. Come ben dimostrato dal
disegno, dopo 5 centurie di “apertura”, troveremo lo spazio
esatto di una centuria, dopo dieci centurie lo spazio esatto di due
centurie, dopo 15 centurie lo spazio esatto di tre centurie ecc. Con
un saltus formato da 16 centurie questo non era possibile, infatti
occorreva tagliare moltissime centurie.
Una
curiosità da tenere presente, da Varrone si apprende che esistevano
pure dei saltus formati da quattro centurie, un quintario ogni due
centurie, ebbene se queste quattro centurie venissero divise per 4,
le centurie diventerebbero 16 , come il saltus di Frontino, ma in
tal caso le centurie sarebbero più piccole.
Come
è noto, quando si dice che i quintari , hanno pure il compito di
delimitare i saltus, di 25, oppure 16 centurie, non sempre viene
specificato la superficie di tali centurie, come pure non viene
specificato se queste devono essere quadrate, oppure rettangolari,
considerato che vi sono tracce di almeno una ventina di diverse
centurie, i saltus delimitati dai quintari, potrebbero essere
diversi nella forma e nella superficie.
Come
si può notare rintracciare i quintari non è una “impresa”
facile, ma neanche impossibile. Il cercare di rintracciarli,
indipendentemente dal risultato, è pur sempre un approfondimento
che sicuramente migliora la conoscenza della propria centuriazione,
perciò, una azione utile.
Ultimissima
curiosità, potrebbe anche accadere di trovare due quintari
appaiati, cioè alla distanza di una sola centuria, ebbene in tal
caso il problema si complica. Nel mio territorio ho trovato una
situazione di questo tipo, ma penso di aver dato una esauriente
spiegazione: esistenza in loco di una antichissima via, che per un
certo periodo ha avuto anche funzioni transumanti, area interessata
da antichissimi confini e da due percorsi di fiumi. Naturalmente,
non è detto che in altri luoghi le ragioni siano identiche,
occorre studiarle.
Un
appello agli studiosi. Sono fermamente interessato a conoscere le
varie realtà locali, come pure sono interessato a conoscere i vostri
commenti. Gli antichi dicevano una cosa giusta:
I complimenti fanno piacere, ma non servono a niente, le critiche
non piacciono, ma sono utilissime.
Prego perciò sintonizzarsi sull’utile,
Buona
ricerca.
Sgubbi
Giuseppe Solarolo Ravenna Ulteriore mio recapito
Joselfsgubbus@libero.it
.
.
TIBERIACA :
UN ANTICO NOME DELLA VALLE DEL SENIO
Il più antico ricordo storico del
fiume Senio, detto Sinnius, si trova nella famosa Tabula
Peutingeriana, una carta del mondo romano, a parere del Frizzi,
con tale nome sarebbe pure ricordato anche dal geografo greco
Strabone.
In un documento agiografico del V
secolo è chiamato con due nomi, Acquaviva e Senio.
Nella cronaca del bolognese
Ghirardacci si legge che al tempo di Teodosio (430 d.C), un non ben
precisato confine era segnato dal Sannubio, che a suo parere
corrisponderebbe al fiume Senio, con questo ultimo nome è
sicuramente citato in una pergamena datata 988.
Tralasciamo le antichissime vicende
di questo fiume e parliamo un po’ della sua valle.
In detta valle compaiono toponimi molto
interessanti: Bagnacavallo era detta “Castrum Tiberiacum”, in
un documento del 932 la pieve di Monte Mauro era detta “in
Tiberiaci”, nei pressi di detta chiesa vi era il castello di “
Tiberiacum”.
Nei pressi di Bagnacavallo vi era pure
un fondo detto “Tiberiolo”, poco oltre Borgo Rivola vi è la
grotta detta del “Re Tiberi”, poco a valle di Casola vi era un
lago chiamato “ Tiberiaco”, e una parrocchia sul Senio si
chiama Tebano.
Cotesti toponimi; Tiberiaco,
Tiberiacum, Tiberiolo, Tiberi, Tebano, non possono, senza una
precisa ragione, trovarsi tutti e solo lungo detta valle.
Molti studiosi, antichi e moderni,
hanno cercato di spiegarne la ragione; per il Cavina, il Coronelli,
il Magnani , il Tonducci ed il Rossi, tali nomi sarebbero derivati
dal fatto che in epoca romana Bagnacavallo si chiamava Tiberiacum.
Per il notaio faentino Saletti, tali toponimi sarebbero derivati da
Tiberino , re etrusco che avrebbe dato tale nome al fiume. Per il
Padovani e per il Vasina tali toponimi sarebbero derivati
dall’imperatore bizantino Tiberio II (578-582) in quanto questi
avrebbe costruito in tale valle una linea difensiva. Per il
Lucchesi, il Senio prima del mille si chiamava Tiberiacum, come
il Tevere, ma non porta alcun documento che lo dimostri.
A mio modesto parere, tali toponimi
potrebbero invece essere stati portati da popolazioni provenienti
dall’Umbria, in particolare da quelli che abitavano la valle
Tiberina, nome della valle derivato dal fiume Tevere, in antico
detto Tibris. Che la valle Tiberina in antico sia stata una
importantissima via di accesso dall’Umbria verso la Romagna , è
un dato incontestabile, si pensi solo al grande numero di Santi
romagnoli arrivati da tale regione; San Savino, San Procolo, San
Valentino, San Lorenzo, Sant’Eustacchio, Sant’Orso, San Cassiano
ecc, frutto della primitiva irradiazione del cristianesimo, per
non parlare delle numerosissime persone fuggite dal centro Italia al
seguito della guerra gotica (493-553). Ebbene, non deve
sorprendere se queste popolazioni, provenienti da tale valle e
stanziatesi nella valle del Senio, abbiano dato a questa valle e solo
alla valle tale nome. Questo spiegherebbe la ragione per cui
compaiono solo i toponimi e non il nome del fiume.
Sgubbi
Giuseppe Solarolo
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