venerdì 29 dicembre 2017

EVOLUZIONE ED ASPETTATIVE RIGUARDANTI L’ABITATO PREISTORICO SCOPERTO NEL TERRITORIO SOLAROLESE

GIUSEPPE SGUBBI


In un periodo risalente almeno a 4 o 5 mila anni fa, popolazioni di non sicura provenienza fondarono un abitato nell’attuale territorio solarolese; si tratta del villaggio preistorico detto di via Ordiere, uno dei più grandi abitati preistorici
dell’alta Italia
L’abitato si trova sopra un deposito alluvionale portato in loco da un corso d’acqua che fino ad alcune decine di migliaia di anni fa raccoglieva le acque sia della vallata del Santerno che quelle della vallata del Senio. Si tratta di una striscia di terreno stabilmente alta che essendo per questo esente da alluvioni, ben si prestava ad essere abitata. Tale striscia, di larghezza variabile, parte dalla via Emilia , e arriva nella bassa lughese.
Questo aggregato, molto esteso ,si trovava a non meno di una quindicina di km dal mare, in una antichissima direttrice di traffico che, passando per la valle del Senio, metteva in comunicazione il mare Adriatico con il mare Tirreno. Molto probabilmente si tratta della direttrice ricordata nel periplo dello Ps Scilace, risalente al IV secolo a.C. che con un viaggio di tre giorni da Spina arrivava a Pisa . Tale direttrice corrisponde alla attuale via Lunga. Questo abitato si trovava pure in prossimità di un corso d’acqua, probabilmente formato dal corso del Santerno del Rasena , dai Romani detto Vatreno e dai Greci Spinete.
Tipologicamente il villagio sembra inquadrabile fra le così dette “terramare” ma la mancanza di alcune caratteristiche , che in genere evidenziano questo genere di aggregazioni, mettono in discussione tale tipologia: la disposizione non ha nessuna forma geometrica ,(infatti si espande irregolarmente verso varie direzioni), il terreno interessato non è emergente sopra il territorio circostante,(il breve tratto di terrapieno fu probabilmente costruito come argine difensivo per frenare le acque del fiume), non risulta che sia mai stato una cava di marna; tutto il territorio circostante è disseminato da numerosi abitati preistorici, alcuni distanti anche poche centinaia di metri, segno evidente di una totale mancanza di pianificazione, e, molto interessante non risulta che verso il XII secolo a.C l’insediamento sia stato interessato da un abbandono abitativo, durato un paio di secoli, riscontrato invece nelle altre terramare padane. Si tratta riguardo a quest’ultimo, di un enigmatico abbandono insediativo, un vero rompicapo per gli studiosi; non si sa infatti quali siano gli eventi che lo avrebbero provocato. Tale abbandono non è facilmente spiegabile, anche perché le aree preistoriche venete, dello stesso periodo, non sembra siano state interessate dal fenomeno. Le causa dovrebbe essere stata “climatica”. Mi pare che si debba escludere quella di una persistente siccità, con conseguente messa in discussione di qualsiasi pratica agricola, in quanto, se quella fosse stata la causa, il fenomeno avrebbe sicuramente interessato anche le zone dell’oltre Po veneto.
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Più probabile perciò che l’abbandono sia stato provocato da un lungo periodo piovoso, con conseguente impaludamento, che ha impedito non solo una qualsiasi pratica agricola ma ha creato anche grossi problemi di transitabilità stradale. Se così stanno le cose, si spiegherebbe l’abbandono per un lungo tempo delle terremare padane, come pure si comprenderebbe il non necessario abbandono abitativo della nostra area preistorica , dal momento che , come detto, questo abitato si trovava in una fascia di terreno eccezionalmente alta, esente da alluvioni. Naturalmente solo i risultati degli scavi potranno dare al riguardo risposte definitive.
L’orientamento Nord –Sud delle numerose capanne facilmente individuabili, fa pensare che i fondatori di tale abitato conoscessero molto bene il vantaggio dell’orientamento solare; la leggerissima deviazione a levante di alcuni gradi, fu resa probabilmente necessaria per seguire la pendenza del terreno.
Oltre che alla centuriazione romana, il loro orientamento corrisponde esattamente a quello della via Lunga, una via che a sua volta partiva a perfetto angolo retto dalla via Emilia. Si tratta di aspetti non casuali che meriterebbero di essere approfonditi. Un abitato tanto grande, attraversato da una importante direttrice terrestre e con un breve percorso fluviale, facilmente collegabile alle rotte marittime, non poteva non essere stato in rapporti anche con popolazioni lontanissime.
In attesa che i dati dello scavo facciano luce su questi rapporti, mi sembra opportuno
rispolverare” alcune antichissime cronache , che ricordano antichi rapporti fra le nostre zone ed alcune antiche popolazioni.
Si tratta di resoconti di viaggi e di migrazioni, alcuni dei quali non tenuti nella giusta considerazione in quanto ritenuti solamente frutto della fantasia degli autori greci.
Vediamo gli antefatti: verso il XII secolo A.C. tutto il Mediterraneo fu teatro di grandiosi sconvolgimenti : avvenimenti ricordati nelle Bibbia, avvenimenti ricordati nella Iliade e nella Odissea, (in particolare la caduta di Troia), invasioni dei così detti “Popoli del Mare,” ricordati in alcune stele egiziane, crollo di alcuni imperi fra cui quello Ittita ed il Miceneo,ecc. Tutti questi sconvolgimenti crearono delle migrazioni che a loro volta crearono altre migrazione; alcune delle quali interessarono anche l’alto Adriatico.
Molti sono gli autori della antica Grecia , che direttamente o indirettamente ricordano l’alto Adriatico: Esiodo, Erodoto, Tucidide, Licofrone, Ellanico di Mitilene, Eumelo di Corinto, Artemidoro di Efeso, Callimaco.
Molti sono i popoli che risultano approdati nelle nostre coste: Pelasgi, Lelegi, Tirreni, Tessali; a questi vanno aggiunti i leggendari Iperborei .
Moltissimi i miti Greci ambientati anche in Adriatico: Fetonte, le isole Elettridi, tre fatiche di Ercole, (mandrie di Gerione, cerva Cerinea, e Pomi delle Esperidi), due saghe Argonautiche (quella di Apollonio Rodio e quella tramandataci da Eumelo di Corinto, la cosi detta Leggenda Minia), la maga Circe, Dedalo ed Icaro, Cadmo ed Armonia, Gerione, Castore e Polluce. Alcuni eroi: Antenore, Diomede, Odisseo, Enea, ed alcune divinità: Artemide e Tiberino.
Molte le città che sarebbero state fondate da questi popoli oppure da questi eroi: fra queste, Padova da Antenore, Ravenna dai Tessali, Spina da Diomede. Faenza dagli Attici, pure Imola sarebbe stata fondata da un eroe fuggito da Troia.

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Sarebbe troppo lungo elencare tutti gli avvenimenti che hanno avuto per protagonisti questi popoli, questi eroi e queste divinità nell’arco Adriatico, perciò vediamo di passare in rassegna solo i miti e le cronache che possono avere direttamente interessato il nostro abitato preistorico.
ISOLE ELETTRIDI
Queste isole leggendarie, che si sarebbero trovate alla foce del Po e che sono ricordate da tantissimi autori greci, erano il punto terminale dell’ambra , una resina all’epoca ricercatissima , proveniente dal mar Baltico. Considerato che l’ambra è stata trovata in quasi tutti gli abitati preistorici, sicuramente sarà trovata anche nel nostro insediamento.
La prima tappa degli Iperborei, leggendaria popolazione residente nell’Europa centrale, era in una delle isole Elettride, ebbene la città di Pisa, punto terminale della direttrice Spinete –valle Senio –Tirreno, sarebbe stata fondata da Piso , re degli Iperporei.
Codeste isole erano sacre alla dea Artemide, una dea corrispondente alle romane Diana e Feronia . Ebbene due santuari dedicati a Diana si trovavano nel lughese: uno di questi era nei pressi della via Lunga, quello di Feronia si trovava a Bagnacavallo.
A proposito di Bagnacavallo, vuole una antica tradizione che questa cittadina sia stata costruita sopra una delle isole Elettridi. Considerato che su queste isole sarebbero approdati i protagonisti della Saga Argonautica, cioè la spedizione partita alla conquista del “vello d’oro”, stranamente nello stemma di questo comune appare un cavallo bianco con scritto Cillaro, (cavallo più volte ricordato dallo storico greco Stersicoro) appartenente a Polluce, uno dei Dioscuri, cioè la coppia di fratelli che risultano fra i partecipanti della già ricordata saga degli Argonauti.
ENEA
Come è noto questo eroe sarebbe fuggito da Troia dopo la distruzione della città.
Tutti gli studiosi concordano che questi avrebbe fondato la città di Lavinio, da cui poi avrebbe avuto origine Roma. Divergenze si riscontrano invece riguardo alla strada che questi intraprese per raggiungere il Lazio.
Quasi tutti gli studiosi ritengono che Enea raggiunse questa regione con una rotta tirrenica e una breve risalita del Tevere; non mancano comunque tradizioni che indicano invece un diverso tragitto marittimo (risalita dell’Adriatico) e conseguente diverso tragitto terrestre.
Approfondiamo questa ultima e non impossibile direttrice.
Una antica tradizione vuole che Enea per arrivare nel Lazio da Troia avrebbe percorso a ritroso la strada che il suo avo Dardano aveva fatto per arrivare da Cortona alla Troade. Ebbene, se questa antica tradizione contiene un barlume di verità,( tradizione riportata anche nella Eneide Virgiliana), significa che Enea avrebbe fatto il tragitto fiume Spinete , Cortona, Lazio , conseguentemente sarebbe passato dal nostro territorio. Anche un passo di Licofrone potrebbe mettere in discussione il tragitto “tirrenico” tenuto da Enea, infatti si legge che l’eroe prima di arrivare nel Lazio si trovava nei pressi di Pisa, un passaggio inspiegabile per chi da Troia dovesse andare, via tirrenica, nel Lazio. Spiegabile invece per chi avesse invece usato il tragitto Adriatico, Spinete , valle Arno, Lazio.

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Qualcuno potrebbe giustamente chiedere la ragione per cui Enea, intenzionato a raggiungere il Lazio, col tragitto Adriatico- Cortona, avesse dovuto per forza approdare e risalire il fiume Spinete: ebbene la risposta si ricava da un passo di Ellanico di Mitilene, questi parlando dei Pelasgi dice:… i Pelasgi scacciati dal loro paese, la Grecia, arrivati al fiume Spinete lasciarono le navi, proseguirono il viaggio via terra e arrivati a Cortona l’occuparono poi proseguirono verso la Tirrenia … questo significa che anche la direttrice Spinete-valle del Savio- Cortona, Lazio, era nella antichità molto praticata.
A parere di molti studiosi, il culto del dio Tiberino, dio delle acque, sarebbe stato portato in Italia da Enea, non a caso il Tevere si chiamava Tiberiacum e pure Tiberiacum si chiamava in antico il Senio. Semplice coincidenza? E allora come spiegare che il nome ancor più antico del Tevere era Spino, cioè come il nome antico del fiume che attraversava il nostro abitato preistorico? Sappiamo dallo storico romano Plinio il Vecchio che lo Spinete era un fiume proveniente dall’Imolese, il Vatreno, un fiume formato dal Santerno, dal Rasena e dal Senio.
Oltre a quelle già elencate non mancano nelle nostre zone altre tracce di presenze di antichissime popolazioni.
Da molte cronache antiche risulta che vi era una città chiamata Spina, fondata all’epoca della guerra di Troia dai Pelasgi: Questa Spina non può assolutamente corrispondere alla Spina etrusca scoperta nei pressi di Comacchio, risalente al V secolo a.C, ma corrisponde ad una città più antica di almeno sette secoli, città ricordata da molti scrittori antichi; Strabone, Dionisio di Alicarnasso, Plinio, Polemone, Ellanico di Mitilene, Stefano Bizantino, Artemidoro di Efeso, città che aveva eretto un “tesoro” nel santuario greco di Delfi. Si tratta quest’ultimo di un abitato che se si vuole scoprirlo occorre cercarlo lungo la già ricordata antica direttrice, cioè la via Lunga.
Vi sono buone ragioni per credere che questa direttrice, dallo Spinete al Tirreno, sia stata usata dai Micenei antica popolazione greca. Tracce del loro passaggio sono già state rinvenute lungo la valle del Senio, nei pressi di Monte Battaglia e nel versante toscano. Sicuramente le tracce “micenee” saranno trovate anche nel Solarolese.
Riassumendo: l’importanza di questo abitato preistorico è in particolare dovuto al fatto che si trovava in una delle più importanti direttrici di traffico della antichità; infatti le popolazioni che dal centro Europa intendevano andare nella Italia centrale, dovevano obbligatoriamente usare le due direttrici Spinete-valle del Senio oppure Spinete valle del Savio, perciò dovevano passare dal nostro abitato preistorico. Altrettanto dicasi per le popolazioni che per tale scopo usavano la rotta Adriatica
Gli scavi intrapresi faranno molta “luce” al riguardo di queste antichissime migrazioni: Vi sono buone ragioni per credere che, a scavi conclusi, la preistoria e la protostoria romagnola ( e non solo romagnola) sarà in parte da riscrivere.
Gli scavi “diranno” molte cose ma un “enigma” che riguarda il nostro abitato preistorico difficilmente sarà svelato : la inspiegabile ragione per cui nell’area dell’abitato non sono state nel medioevo costruite le cittadine di Bagnara oppure di Solarolo. Bagnara vecchia si trova a meno di due Km, l’attuale Bagnara a poco più di due Km, Solarolo a circa 3 Km. Cosa avrà impedito che una di queste cittadine fosse costruita in loco?.
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Con tutte le riserve del caso, formulo al riguardo due ipotesi: prima ipotesi (la più probabile), all’epoca della fondazione di Bagnara e di Solarolo, l’area preistorica non era più attraversata da un corso d’acqua. Dove fu fondato Solarolo passava il Santerno, e dove fu fondata Bagnara vecchia passava il Rasena. Tutte le città medioevali sono state fondate in prossimità di un corso d’acqua.
Seconda ipotesi (poco credibile): già in epoca romana detta area era considerata “terra di nessuno” cioè non apparteneva né all’ager Faentino, il cui territorio arrivava solo alla attuale via Lunga, né all’ager Imolese, il cui territorio arrivava solo alla attuale via Pilastrino. Se, come è probabile, tali confini, oltre che costituire i civili , hanno nel medioevo continuato a fissare anche quelli ecclesiastici, le popolazioni che ad un certo punto ritennero necessario fondare qualche abitato, si resero immediatamente conto che un centro nato in tale territorio non avrebbe potuto far parte di nessuna giurisdizione né civile nè ecclesiastica, perciò ritennero giustamente opportuno costruire detti centri abitati in altri territori. Mi rendo perfettamente conto della “debolezza” di questa ultima ipotesi, ma considerato che al riguardo si brancola nel “buio”, tutto può servire per fare un po’ di “luce”.
PER SAPERNE DI PIU’
I temi qui sommariamente trattati sono solo una piccola parte di quelli scaturiti in oltre vent’anni di mie ricerche al riguardo della protostoria solarolese, infatti questi temi, con maggiori approfondimenti, li ho più volte trattati in vari saggi: Circe Ulisse ed Enea in Adriatico?; Alla ricerca del tesoro di Spina nel santuario greco di Delfi; Le radici della Romagna affondano nella saga Argonautica ; La via Lunga ed il Periplo dello Ps Scilace; Il Senio l’antico Tiberiacum?; Si tratta di saggi facilmente consultabili in varie biblioteche della Emilia-Romagna.

Solarolo Agosto 2006
Stampato a cura dell’autore.

LE RADICI DELLA ROMAGNA AFFONDANO NELLA SAGA ARGONAUTICA

Già in mie altri scritti ho portato testimonianze antiche riguardanti “Tracce di frequentazioni greche nell’alto Adriatico”.
Con questo scritto intendo fare una indagine riguardante possibili collegamenti fra eroi greci e santi cristiani.
Come è noto la “cristianizzazione” trovò grandi difficoltà in quanto in ogni area dell’impero romano era contrassegnata da una diffusa e ben radicata religione pagana.
La chiesa usò un ottimo “stratagemma”: dove vi era un tempio pagano levò le insegne pagane e mise le religiosi, in particolare le croci, ove era venerato un eroe greco, fece in modo che venisse venerato un santo cristiano, le feste pagane diventarono feste cristiane.
Non si vuole con questo voler affermare che tutte le chiesi siano state erette sopra a delle fondamenti di templi pagani, ma molte delle più antiche, come per esempio le pievi, come gli scavi hanno ampiamente dimostrato,detengono tali caratteristiche
Come pure non si vuole affermare che tutte le feste cristiane corrispondono a delle feste pagane, ma come è noto molte hanno tali origine.
Molte incertezze riguardano i sicuri collegamenti fra feste di eroi pagani e feste di santi cristiani, infatti si possono fare solo delle ipotesi.
Si tenga presente che quest’ultimo tema è stato oggetto, all’inizio del secolo scorso,di un vivace dibattito,da una parte studiosi inglesi e tedeschi, e dall’altra parte studiosi francesi ed italiani.
Scopo di questa ricerca è di indagare ciò che può essere accaduto in Romagna, cioè se gli eroi greci che risultano approdati nelle nostre terre siano stati soppiantati da santi cristiani.
Si tratta di una ricerca irta di difficoltà, infatti occorre fare indagini sia sulle leggende classiche cioè avvenimenti accaduti almeno mille anni prima della nascita di Cristo, sia sui primi tempi del cristianesimo che come è noto vi è grande penuria di testimonianze degne di fede.















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SALTUS E QUINTARI


UN NECESSARIO APPROFONDIMENTO
Con tre brevi articoli: QUINTARIO, I CONFINI IN EPOCA ROMANA e LEGGENDO IL CATASTO FAVENTINO, ho cercato di sollevare il problema “quintario”, un aspetto importante della centuriazione romana, purtroppo “trascurato” dagli “addetti ai lavori”.
Ovviamente i tre articoli, data la loro brevità, non avevano lo scopo di “ approfondimento” bensi quello di promuovere un dibattito, cioè il classico “sasso nella piccionaia”, l’approfondimento sui vari aspetti l’ho rimandato ad un apposito lungo articolo, forse occorrerà un libro, ed alle conferenze che ho tenuto e che terrò al riguardo di detto tema.
Con questo breve articolo intendo approfondire due dei tanti aspetti che il tema “quintario” ha sollevato, il significato del Quintario e quello del Saltus.
Duplice perciò lo scopo, primo: considerato che al riguardo di questi due aspetti molti studiosi mi hanno chiesto delle spiegazioni, doverosamente chiarisco il mio, seppur provvisorio, punto di vista, secondo: con i chiarimenti che porterò intendo evidenziare, considerato che il tema quintario non è stato oggetto di profondi studi, che tutti i temi necessitano di essere intensamente approfonditi.
Come è noto, e questa è l’unica cosa certa, che col tracciamento di una scacchiera di quintari venivano formati dei quadrati di centurie , detti saltus, perciò quadrati di terreno delimitati dai quintari. Di certo non c’è nientaltro. Non si sa esattamente ogni quante centurie doveva essere tracciato il quintario, come non si conosce esattamente la superfice delle centurie, non si sa esattamente di quante centurie dovava essere composto un saltus, non si conosce la superfice e la precisa funzione di questi ultimi. Siamo ad un buio quasi totale, vediamo se approfondendo l’argomento riusciamo a fare un po di luce.
Significato della parola quintari.
Qualcuno, senza averne spiegato bene la ragione, ha detto che erano chiamati pure actuari .
Per quintario si dovrebbe intendere la “quinta strada” cioè una ogni 5 direttrici, ma questo non sempre è successo, infatti in qualche caso ne sono stati tracciati uno ogni 4 .
Vi sono buone ragione per credere che il vero significato di quintario sia “una strada ogni 5 centurie” in quanto ne uscirebbe un saltus da 25 centurie , un saltus considerato dalla stragrande maggioranza degli agrimensori antichi come l’unico “corretto ”, infatti ben si prestava alle esigenze postali, catastali e per creare un diverso orientamento della centuriazione.
Tracciare correttamente i quintari non era facile, in quanto non era chiaro se il conteggio doveva o non doveva includere il decumano e cardine massimo, vi sono buone ragioni per credere che non vi fossero al riguardo direttive ben precise, oppure se vi erano non sempre venivano rispettate
Significato della parola saltus.
Sulla definizione, sulla funzione e sulla superfice dei saltus gli studiosi si sono differentemente pronunciati. A mio modesto parere il saltus sarebbe semplicemente “ una non ben definita area”, con non ben definite funzioni..
Dalle antiche cronache risulta che quasi sempre si tratterebbe di aree boscose , prative o comunque lavorate.
La grandezza non era ben definita, infatti variava sia per il numero delle centurie, 25, 16 , 4, che per la superfice delle centurie. come è noto ve ne erano di almeno trenta tipi.
Sul numero delle centurie che dovevano formare i saltus , gli antichi agrimensori non concordavano,, per Igino Gromatico dovevano essere 25, per Frontino potevano essere anche solo 16, per Varrone 2, non solo, se consideriamo che nessuno di questi si è chiaramente pronunciato al riguardo della superfice delle centrurie, ve ne erano do oltre trenta tipi, non dobbiamo meravigliarci se al riguardo barcolliamo nel buio




cambio di orientamento effettivamente, per un insieme di ragioni, postali, catastali, e per cambio di orientamento, questo saltus to a mio parere, anche se è pur vero che si trovano schemi diversi, il vero significato dovrebbe essere una “ strada ogni 5
”, effettivamente la “ogni 5 strade” per una insieme di ragioni, postali, catastali per cambio di orientamento, ecc, è la più corretta.
Vediamo cosa hanno detto in proposito gli agrimensori romani, per igino gromatico e flacco il saltus esatto sarebbe quello formato da 25 centurie,


Vediamo se al seguito di un approfondimento è possibile dedurre qualcosa di positivo. Considerato che le centurie non erano tutte uguali e che il numero di queste poteva variare, la superfice di questi saltus non era facilmente quantificabile.
Dagli agrimensori antichi. Apprendiamo che i saltus potevano essere formati da un diverso numero di centurie, peer Igino e per Flacco il numero giusto era 25, Frontino ci fas sapere che ne venovano formate anche da 16, Varrone ricorda saltus da 4. Si tenga presente che nessuno di questi agrimensori precisa la grandezza delle centurie, perciò da loro non possiamo conoscere la suoperfice dei saltus.
Anche Impossibile conoscere tale superfice anche cercando di

GIUSEPPE SGUBBI STUDI SOLAROLESI ED ALTRI SCRITTI DI VARIE ANTICHITA




IL SENIO l’ANTICO TIBERIACUM ? pag 2

IL TRAGITTO TERRESTRE SEGNALATO NEL PERIPLO DELLO PS.SCILACE pag 3

LA ROMAGNA: SUA GENTE E SUOI CONFINI. pag 5

ARCHEOLOGIA SOLAROLESE pag 7

IL CORSO ANTICO DEL SANTERNO IN TERRITORIO DI SOLAROLO pag 8
.
SOLAROLO MERITA UNA VISITA pag 9

.CHIESA ARCIPRETALE DI S.MARIA ASSUNTA pag 11

GLI ARGONAUTI ED IL VELLO D’ORO pag 15

I CONFINI SOLAROLESI pag 16

I SANTI VENERATI NEL SOLAROLESE pag 18

STORIA DELLA FRUSTA ( Gli S’ciucaren) pag 19

BREVI DI CRONACA pag 20

BIBLIOGRAFIA STORICA SOLAROLESE pag 20



STAMPATO A CURA DELL’AUTORE
Solarolo (Ra) 24 ottobre 2002


A mia moglie in occasione
del suo compleanno
IL SENIO L’ANTICO TIBERIACUM ?

Il più antico ricordo storico di questo fiume, detto “Sinnius”, si trova nella famosa “Tabula Peutingeriana”, una carta del mondo romano .
Con tale nome si trova pure ricordato in una pergamena datata 988. Nei quasi mille anni che intercorrono fra il primo ed il secondo ricordo, questo fiume, almeno con tale nome, non risulta più citato. Il Frizzi dice che il Senio sarebbe stato ricordato da Strabone, ma gli studiosi moderni lo hanno definitivamente escluso. Nella cronaca del bolognese Ghirardacci, si legge che al tempo di Teodosio ( 430 d.C) un non ben precisato confine era segnato dal fiume Sannubio, che a suo parere, ma solo a suo parere, corrisponderebbe al fiume Senio.
Tralasciamo per il momento cotesto fiume e parliamo un po’ della sua valle.
In detta valle compaiono toponimi molto interessanti: Bagnacavallo era detta “castrum Tiberiacum”, ( Anastasio Bibliotecario, anno 756): nel 932 la pieve di Monte Mauro era detta “in Tiberiaci”; nei pressi, ricordato nel 950, vi era il “castrum Tiberiacum”; vicino a Bagnacavallo vi era un fondo detto “Tiberiolo”: poco oltre Borgo Rivola vi è una grotta detta del “Re Tiberi”; poco a valle di Casola Valsenio vi era un lago chiamato Tiberiaco; una parrocchia sul Senio si chiama “Tebano”.
Cotesti toponomi; Tiberiaco, Tiberiacum, Tiberiolo, Tiberi, Tebano, Tiberiaci, Tiveriaci, non possono, senza una precisa ragione, essere nati a caso e trovarsi solo lungo tale valle.
Molti scrittori , medioevali e moderni, hanno cercato di spiegarne la ragione.Vediamo i loro contributi: Per il faentino Cavina, già in epoca romana Bagnacavallo si chiamava Tiberiacum, dello stesso parere sono anche il Coronelli, il Magnani ed il Tonducci; quest’ultimo aggiunge che tale nome deriverebbe dalla famiglia romana Claudia Tiberia. Per il Rossi invece avrebbe preso tale nome dall’imperatore romano Tiberio, per il Saletti, notaio faentino del XVIII° secolo, tale nome sarebbe derivato dal dio etrusco Tiberino( si tratterebbe questa di una notizia riportata dal caldeo Beroso che a sua volta l’avrebbe attinta da un frammento dell’egiziano Manetone). Per il Padovani e il Vasina, tali toponimi deriverebbero dall’imperatore bizantino Tiberio II (578-582) , in quanto questi avrebbe in tale valle costruito una linea difensiva. In una inciclopedia si legge che la grotta del Re Tiberi avrebbe preso tale nome da un vicino corso d’acqua, identicamente chiamato. Dice il Lucchesi che questi toponimi derivano da Tiberiacum. cioè piccolo Tevere, antico nome del Senio, ma non riporta alcun documento che lo dimostri. Stefano Bizantino lascia intendere che tali toponimi potrebbero derivare da Thebae, cioè da una colonia di Tebe.
Considerato che non esistono documenti medioevali ove tale corso d’acqua è chiamato Tiberiacum, cerchiamo di approfondire l’argomento indagando sul suo antico percorso.
Si sa di sicuro che dall’antichità, fino almeno al 1154, questo fiume, dopo essersi unito al Santerno (confluenza nei pressi di San Severo), passava a est di Bagnacavallo e sfociava a ovest di Ravenna. Plinio ci fa sapere che alla sua epoca(1 secolo d.C) la piu meridionale delle bocche del Po era formata da un corso di acqua proveniente dall’imolese e lo chiama Vatreno. Molto probabilmente tale corso di acqua era formato dal Rasena(ricordato da Marziale), dal Santerno (ricordato sia da Marziale che da Frontino) e dal Senio( ricordato solo, come abbiamo visto nella Tabula Peutingeriana). Nei secoli successivi, ed in più occasioni,(documenti o cronache del 536, 584, 964), questo corso di acqua è detto Santerno.
Non si riesce a capire la ragione per cui il Senio non venga più citato.
A questo punto è legittima una domanda: si è sicuri che in epoca romana questo fiume non fosse chiamato Tiberiacum?, o ancor prima Spino? Si tenga presente che i Pelasgi fondarono Spina alla foce di un corso di acqua che si chiamava Spino.
Ebbene si dà il caso che Tiberiacum e Spino sono stati per un certo periodo anche i nomi del fiume Tevere. Qualcuno potrebbe giustamente far presente che al riguardo del possibile nome Spino, occorrebbe risalire a tempi molto lontani (XII° secolo a,C), ma è anche vero che tali nomi del Tevere risalgono a tali epoche, perciò, sarebbe bene indagare su tale periodo in quanto alcune leggende che riguardano Enea, Diomede ed il Tibris nel Tirreno, sono ambientate anche nelle nostre zone. Una indagine in tal senso spiegherebbe forse, la provenienza del nome Tibris, o da un re etrusco o piuttosto da una divinità fluviale, magari quella del Nilo, arrivata in Italia tramite la Grecia, come pure potrebbe spiegare la provenienza del toponimo Spino, forse dall’anonimo Spino della Licia. Ciò che è accaduto per le coste laziali, può benissimo essere accaduto anche per le coste Alto Adriatiche. Altra constatazione; come è noto ogni volta che in qualsiasi cronaca antica compariva il nome Tiberiacum, veniva, senza alcuna eccezione e spesso senza alcuna indagine, riferita al fiume Tevere, ma siamo sicuri che il riferimento era sempre e solo al fiume di Roma? Una indagine accurata non guasterebbe, specialmente al riguardo dei passi di Lucano , di Cicerone e di Stefano Bizantino .
In attesa che si conoscano i risultati di tale ricerca, faccio una ipotesi riguardante la derivazione dei toponimi Tiberiacum ,Tiberiolo, ecc.
A mio modesto parere, ammesso che non derivino dal periodo romano o da tempi più antichi, penso che possano essere stati portati da popolazioni proveniente dall’Umbria, in particolare da quelli che abitavano la valle Tiberina che come è noto ha preso tale nome dal Tiberis (Tevere).
Che la valle tiberina sia stata nei secoli una via di accesso verso la Romagna , è un dato di fatto incontestabile; per quanto riguarda l’alto medio evo. migrazioni per tale via sono documentabili. Nel corso della guerra Gotica(493-553) cioè all’epoca di Totila, molte persone dovettero fuggire dal Lazio, ebbene la valle tiberina ben si prestava allo scopo, sia come tragitto terrestre, sia in particolare come tragitto fluviale, per mezzo del Tevere. Come è noto, questo fiume era navigabilissimo fino a Città di Castello. Vi sono anche buone ragioni per ritenere che l’irradiazione della religione verso l’alta Romagna sia arrivata non da Classe ma dall’Umbria; lo farebbe pensare la provenienza di vari santi da tale regione: San Savino, Sant’ Eustacchio, San Lorenzo e San Procolo,ecc(al riguardo di quest’ultimo sto dando alle stampe un lungo articolo dove cercherò di dimostrare che il San Procolo venerato nella pieve faentina di Pieve Ponte non è il Vescovo Ravennate, neanche il martire Bolognese, bensi un martire umbro). Si può perciò ritenere valida l’ipotesi che popolazioni provenienti da tale valle e stanziatesi nella valle del Senio, abbiano dato a questa valle e solo alla valle, tale nome. Se così fosse veramente accaduto, potrebbe spiegarsi la ragione per cui compaiono solo i toponimi e non il nome del fiume.

IL TRAGITTO TERRESTRE SEGNALATO NEL PERIPLO DELLO

PS-SCILACE
Da quasi 20 anni sostengo ( cifr Sgubbi Contributo sul corso antico del Santerno nel territorio solarolese 1983 pag 23), e più volte ribadito ( cifr Sgubbi Il territorio di Solarolo e le sue vicende 1992 pag 21), idem : Sgubbi (Alla ricerca del tesoro di Spina nel santuario greco di Delfi 2001 pag 11) , che l’attuale tracciato della via Lunga, una strada che dalla via Emilia, (in corrispondenza della valle del Senio), arriva nei pressi di Spina, abbia le caratteristiche necessarie per poter formulare l’ipotesi che possa corrispondere al tracciato terrestre segnalato nel periplo dello Ps-Scilace.
Vediamo cosa è scritto in detto Periplo:Gli Etruschi con la città greca di Spina, distante 20 stadi dal mare, lungo il fiume Eridano, e distante 3 giorni di cammino da una città Etrusca sul Tirreno.
Tutti gli studiosi concordano che detta strada è la più antica citata dalle fonti, mentre invece al riguardo della individuazione del possibile antico percorso, i pareri non sono concordi.
A parere di alcuni, il tracciato potrebbe corrispondere a: Spina, Ravenna, Faenza, valle del Lamone, Firenze, Pisa. Per altri invece potrebbe essere: Spina, Bologna, valle del Reno, Pisa.
Tralasciando la poco credibile affermazione che in soli tre giorni di viaggio fosse possibile percorrere non meno di 200 km, e pur considerando Pisa la città Etrusca del Tirreno, anche se non espressamente citata nel Periplo, vediamo, tenendo conto in particolare della possibile praticabilità dei vari percorsi, a quale tragitto può invece corrispondere.
Poco probabile il percorso Spina, Ravenna Faenza, valle del Lamone : a quei tempi,( stiamo parlando del IV secolo a.C.) nel tratto Spina- Ravenna, sfociavano vari fiumi romagnoli , perciò ben difficilmente in quel tratto vi era una strada ben praticabile, basti pensare che ancora all’epoca dell’Itinerario Antonini, almeno quattro secoli dopo il periodo che stiamo trattando, un tratto di quel tragitto si faceva solo in barca.
Tragitto Spina , Bologna,valle del Reno : oggi , pur essendo più lungo, sarebbe un discreto tragitto, ma non a quei tempi, infatti, occorreva attraversare alcuni fiumi e vastissime paludi.
A mio parere , non solo perché il più corto, ma in quanto l’unico praticabile, era quello che attualmente corrisponde alla già ricordata via Lunga.
Le ragioni che porto sono queste: ove attualmente è tracciata tale via, vi è da tempi antichissimi una lingua di terreno molto alta, ( non a caso il Santerno fu costretto a deviare il suo corso a destra verso il Senio, ed il Sillaro, non riuscì mai a superare) , ebbene tale alta fascia di terreno, esente da alluvioni e sopraelevata rispetto alle paludi, ben presto si prestò ad essere usata come via di comunicazione terrestre.
L’esistenza in loco di un terreno alto ed asciutto anche a quei tempi, ce lo conferma l’archeologia; lungo tale via , per molti km verso la bassa e a pochissima profondità,( meno di un metro,) vi sono degli abitati Villanoviani e del Bronzo.
Perciò via Longa per quanto riguarda il percorso da Spina fino ai piedi delle colline. Per attraversare gli Appennini, si poteva scegliere la valle del Lamone, del Santerno, del Sillaro od altre valli, ma, a mio parere, anche per questo scopo, la più comoda era quella del Senio.
Ho fatto in modo che questa mia ipotesi fosse conosciuta da qualche studioso del “ramo”, ma devo riconoscere che non ha avuto molta “fortuna”, infatti, considerato che nessuno studioso ha ritenuto opportuno pronunciarsi, significa che è stata accolta con un generale scetticismo.
Recentemente ho avuto la possibilità di venire a conoscenza di una delle ragioni che stanno certamente alla base del fatto che la mia ipotesi non è stata presa in alcuna considerazione: uno studioso mi ha rivolto questa domanda: ma perché Lei Sgubbi parla sempre degli Spineti che dovevano dirigersi verso Bologna e mai dei Bolognesi che dovevano dirigersi verso Spina?
Questa domanda, se ho capito bene, mi permette di conoscere una delle ottiche con cui gli studiosi vedono la vicenda: gli Etruschi arrivano dalla Toscana, fondano “Marzabotto”, Felsina, Mantova e usano Spina come porto dell’Adriatico, perciò non si vede la necessità di un transito lungo la valle del Senio, come pure non si vede la ragione per cui per andare a Spina si debba percorrere un lungo tratto di strada ai piedi delle colline, per prendere poi la via Lunga.
Se questo è il ragionamento fatto dagli studiosi, pur considerandolo logico, mi pare che non tenga conto di un aspetto molto importante: occorrerebbe spiegare la ragione per cui i sassi che si rinvengono a Spina, provengono dalle colline romagnole.(Se vi fosse stata una direttrice più breve e più comoda in direzione Bologna, il materiale sassoso sarebbe di provenienza bolognese).
Ribadendo e concludendo: senza alcun dubbio il tragitto “via Longa” formava la direttrice terrestre che più delle altre si inoltrava verso le valli che attorniavano Spina, perciò non si vede la ragione per cui non fosse usata. ( Si tenga ben presente che nonostante le ricerche non è stata ancora individuata con sicurezza la direttrice usata dai “Bolognesi per andare a Spina”. Questo è un dato di fatto che dovrebbe far riflettere)
La direttrice che io propongo può benissimo essere stata usata in precedenza da popolazioni arrivate in zona in tempi più antichi,( Pelasgi fondatori della prima Spina? Micenei per andare nel Tirreno? altri popoli vagamente ricordati dalla saga Argonautica?) perciò può benissimo essere stata usata anche dagli spineti , come il materiale sassoso dimostra.
Questo tragitto poteva essere usato per due scopi diversi: A) per raggiungere Felsina, (via Longa, per uscire dalle zone paludose e poi deviare a destra percorrendo una antica via che potrebbe corrispondere alla Salaria) , B) per dirigersi in Toscana (via Longa fino ai piedi delle colline e proseguire lungo la valle del Senio). L’ambra tipo “Tirinto”trovata nei pressi di Monte Battaglia (valle del Senio), il materiale etrusco scoperto in località Monterone (valle del Senio) e la ceramica Micenea rinvenuta nel versante toscano, dimostrano che tale transappenninica è stata usata ininterrottamente anche nel periodo che va dalla fine del secondo millennio a.C , all’epoca etrusca.



LA ROMAGNA: GENTE E CONFINI

Se proviamo a chiedere alle persone che cosa intendono per Romagna, la stragrande maggioranza risponderà che è la parte della Emilia-Romagna che coincide con il territorio delle provincie di Ravenna, Forli e Rimini.
La risposta è giusta e nello stesso tempo sbagliata: giusta per quanto riguarda il lato amministrativo, sbagliata per quanto riguarda i confini geografici e storici.
Ci troviamo di fronte ad un equivoco che sarebbe grave lasciare perdurare.
Vediamo anzitutto cosa si intende per confini regionali, cioè cos’è che determina una “regione”. Nonostante che sulla esatta definizione del concetto di regione vi siano ancora alcune incertezze, si può dire a grandi linee che si intende una area geografica con affinità culturali, linguistiche, etniche, storiche, naturali, antropologiche, ecc.
Ebbene, conseguentemente, da questi punti di vista, per Romagna non si deve intendere solo il territorio dei 67 comuni delle provincie sopra menzionate, ma bensì anche il parziale o totale di altri 41 comuni disseminati nelle provincie di Bologna, Firenze, Pesaro ed Arezzo. Perciò i confini della Romagna sono questi: costa adriatica per 94 km( dalla foce del Reno fino allo sprone che si inabissa in mare nei pressi di Fiorenzuola), da questo lo spartiacque lungo 83 km che divide le valli del Marecchia e del Foglia, prosegue lungo la dorsale appenninica per 114 km di lunghezza(spartiacque con la Toscana) fino alla località di Castrogallo, sorgente del Sillaro, con questo fiume che con i suoi 74 km confluisce nel Reno nei pressi della Bastia, ,dopodichè lo stesso Reno, con altri 40 km di percorso ,forma il confine fino al mare.
Complessivamente i confini hanno questa lunghezza: 215 km di spartiacque montane, 114 di alvei fluviali e 94 di coste marine. In totale l’area Romagnola occupa un territorio di 6380 kmq, che corrisponde al 2 % del territorio italiano.
Questo quadrilatero, da tempi antichissimi quasi sempre storicamente unito è stato poi successivamente smembrato in Romagna Estense e Romagna Toscana, attualmente all’insegna del “divide ed impera” lo è ancora in regioni diverse: Emilia, Toscana e Marche.
Unirsi in una unica regione significa per noi romagnoli porre fine ad un offensivo e vergognoso smembramento, uno smembramento che ha “radici” lontane,( i monarchici vollero punirci per aver fatto la repubblica 100 anni prima degli altri), ma anche “radici” vicine( i partiti che si oppongono alla autonomia della Romagna vogliono che la nostra terra rimanga una “colonia” dei bolognesi).
Scopo di questo articolo è anche quello di smentire le falsità dei tempi passati.
Non è difficile conoscere al dettaglio le nefandezze che sono state dette nei nostri confronti, in quanto esiste al riguardo una copiosa bibliografia, ma se vogliamo avere un concentrato di tali malignità non ci resta che leggere “IL MONDO CRIMINALE ITALIANO”, un libro scritto all’inizio del 900 dall’antropologo Guglielmo Ferrero.
Anche un disattento lettore noterà che questo libro è stato scritto senza la necessaria investigazione, le sue pagine sono infatti affollate di arrischiate esagerazioni e da non provate affermazioni.
In un capitolo ,ai romagnoli dedicato, col titolo, che è tutto un programma, ”Violenti e fraudolenti”, il Ferrero ha “superato se stesso”; dopo averci propinato offese a pieni mani, porta argomentazioni tragicomiche come per esempio che gli abitanti di Ravenna sarebbero degli “indolenti” in quanto esposti continuamente ai venti meridionali!! e che la forma del nostro cranio denota un alto indice di criminalita!!!.
Nonostante che Massimo D’ Azeglio avesse definito la razza romagnola “una delle migliori del mondo”, per il Ferrero eravamo solo dei potenziali delinquenti e conseguentemente la nostra era “terra di malfattori”.
Più che malfattori , siamo degli eroi; non esiste contrada del mondo in cui qualche romagnolo non sia andato a combattere per l’altrui libertà. Dando uno sguardo alla lista del Cardinal Rivarola(1825) ed ancor prima a quella stilata per l’invasione Austro-Russa(1799), constateremo che fra i condannati e i deportati figurano moltissimi “nostri padri”.
Per non parlare poi degli autori dei moti del 1821,23,31,46,48,49,50,53,ecc, e di come abbiamo risposto agli appelli mazziniani e garibaldini. Giustamente siamo definiti “vulcani in eruzione permanente”. Se si facesse un elenco dei figli della nostra terra immolati per la conquista e la difesa della libertà, ne uscirebbe un “ martirologio” che farebbe invidia a quelli cristiani.
Eppure per Ferrero e per l’opinione pubblica del tempo, noi eravamo i “componenti di una società rimasta alla forma primitiva”, cioè poco meno che dei beduini.
Sicuramente anche da noi in passato , sono accaduti fatti criminosi, come erano di “moda” a quei tempi, ma non di più che in altre zone italiane.
Le malignità dette contro di noi ebbero comunque un sicuro effetto; una delle prime decisioni fu quello di levare dalla provincia di Ravenna il circondario di Imola e di metterlo in provincia di Bologna.
All’insegna dello smembramento fu pure il percorso regionalistico: durante la costituente del 1946 , invece di dare concretezza all’anelito di unità dei romagnoli , fu votato un articolo alla chetichella che alla definizione Emilia e Romagna levò la parola Romagna; solo al seguito di vibrate proteste dei romagnoli presenti, fu rimessa la dicitura “Romagna”, ma senza che nessuno se ne accorgesse fu levata la “e”, una semplice lettera, a prima vista senza importanza ma che di fatto testimoniava l’esistenza di due cose diverse. Da quel giorno siamo divisi solo da un semplice trattino.
Nel 1946 il territorio romagnolo fu quello che diede il maggior numero di voti alla repubblica e nel 1979 esprimemmo la più alta percentuale di voti per l’elezione dei parlamentari europei : non è poco per dei “beduini”!!.
Approfitto di questo articolo per portare alcune valide ragioni per chiedere al più presto che la Romagna diventi Regione autonoma.
Come è noto , l’Europa unita programmerà e amministrerà gli interventi sul territorio attraverso le regioni; questo significa che senza il riconoscimento regionale noi romagnoli saremo assenti alle scelte nazionali ed europee. Conseguentemente non essendo presenti al tavolo Europeo, non potremo efficacemente difendere le strutture portanti dell’economia romagnola: turismo, agricoltura, complesso termale e la ceramica artistica.La Romagna contribuisce all’ottanta per cento del ricavato regionale dal turismo, ebbene , solo meno della metà di tale somma , rimane in Romagna. Solo facendo la Regione Romagna avremo diritto di avere anche noi la corte di Appello e la sede regionale della RAI . Ma in particolare, fatto molto importante, saranno finalmente i Romagnoli a decidere il futuro della Romagna.
Queste elementari constatazione sono sufficiente per giustificare le finalità portate avanti dal MAR (Movimento per l’Autonomia della Romagna).
Sarebbe lungo l’elenco delle istanze che dimostrano quanto sia penalizzante per noi romagnoli essere uniti all’Emilia. Pere chi volesse prenderne nota è sufficiente leggere le pubblicazioni edite dal movimento. Mi limito perciò a “toccare”un punto che mi sta a cuore, o meglio sta a cuore in particolare agli oppositori della autonomia della Romagna.
Come è noto, alla cronica mancanza di argomenti, cotesti oppositori sollevano una motivazione che effettivamente “colpisce”; si ergono a paladini di” unità” e perciò condannano ogni scelta che può portare a “divisione. Occorre onestamente riconoscere che si tratta di un “principio” sano: si sta facendo l’Europa unita e qua si vorrebbe promuovere delle divisioni.
Se fossero veramente animati da questi “principi”, sarebbero solo da ammirare; purtroppo lo sono solo a senso unico, perché non si preoccupano del fatto che i romagnoli sono di fatto divisi? parte nelle provincie di Ravenna, Forli, Rimini, parte in provincia di Bologna, parte in provincia di Firenze, parte in provincia di Arezzo, parte in provincia di Pesaro? Anche queste sono “divisioni”che dovrebbero essere intollerabili per chi è veramente contro le divisioni e favorevoli all’unione dei popoli!! Purtroppo da tale “orecchio” questi non sentono.
Tutti, compreso gli oppositori, sanno benissimo che Automia della Romagna significa anzitutto UNIRE i romagnoli in una unica regione, infatti , fra non molto i Romagnoli delle provincie di Ravenna, Rimini , Forli e del circondario di Imola saranno chiamati , grazie all’apposito referendum , a pronunciarsi al riguardo della Romagna Autonoma, e dopo averla fatta, anche gli altri Romagnoli disseminati nelle provincie di Firenze, Arezzo e Pesaro potranno, se vogliono, entrare anche loro in Romagna.
Per far presente chi sono i romagnoli, riporto le parole del Gambi:”IN PRIMO LUOGO UNO STATO D’ANIMO,UNA ISOLA DEI SENTIMENTI, UN MODO DI VEDERE E DI COMPORTARSI GENERATI DA UNA LUNGHISSIMA ESPERIENZA STORICA COMUNE”

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ARCHEOLOGIA SOLAROLESE
I reperti romani nel territorio solarolese, si trovano ad una profondità “ideale”; da 80 cm ad un metro, perciò non troppo alti da essere rovinati dalle arature normali e non troppo bassi da non essere scoperti dalle arature profonde.
Questa è una delle ragioni per cui questo territorio può definirsi ricco di testimonianze archeologiche. L’altra ragione è che da quasi 25 anni alcuni componenti della locale sede Archeoclub d’Italia l’hanno fatto teatro di sistematiche e capillari ricerche.
Breve rassegna delle scoperte più importanti.

EPOCA PREISTORICA:
Oltre a tre aree con fondi di capanne Villanoviane, è stato scoperto un interessante abitato del bronzo finale, conosciuto come “di via Ordiere”.
I reperti trovati in loco si trovano nelle vetrinette della Aula Didattica Solarolese, creata dalla amministrazione comunale solarolese e gestita dai soci dell’Archeoclub, si tratta di anse, punte di freccia, pugnali in bronzo, ossa lavorate e alcuni frammenti di ceramica Micenea.
Mancano invece i reperti trovati in occasione di due saggi di scavi effettuati dalla Sopraintendenza Archeologica Regionale, ( scavi effettuati alcuni decenni fa,) come pure mancano i globetti di vetro, prima età del ferro, trovati nel 1963.
Si tratta di un abitato di grande interesse, ma purtroppo non ancora adeguatamente studiato, conseguentemente non è conosciuto dagli studiosi.
EPOCA ROMANA:
Regolarmente ubicate all’interno delle ben individuate centurie, vi sono tracce di una ottantina di ville romane, 6 di queste, essendo state trovate delle tessere di mosaico, dovrebbero essere ville padronali.
Considerato che nessuna di queste ville è stata fatta oggetto di scavi, i reperti sono poco più che dei frammenti, nonostante ciò alcuni meritano di essere segnalati: un braccio fittile proveniente da un santuario, un stranissimo bollo e un frammento di mattone contenente una iscrizione funeraria.
Nel 1889 fù trovata in una di queste ville la nota lapide della famiglia GAVIUS, attualmente custodita nel lapidario faentino.
Risultano pure essere state trovate numerosissime monete, la maggior parte delle quali purtroppo andate perdute, la più antica è un asse onciale coniato attorno al 160 a.C, la più recente è di Costante(408-411 d.C). Risulta pure essere stata trovata una moneta greca risalente al 200 a.C.
EPOCA MEDIOEVALE:
Pochi reperti trovati, non in quanto inesistenti ma in quanto nessuno ne ha fatto una sistematica ricerca. Interessante il ritrovamento di una moneta di Lodovico il Pio e il ritrovamento di una pietra romana con impressa una croce, sicuramente proveniente dall’area ove era ubicata la primitiva chiesa solarolese.

IL CORSO ANTICO DEL FIUME SANTERNO.
Attualmente il Santerno, dalla sorgente alla foce, ha un solo corso ed un solo nome, mentre per i tempi antichi vi sono testimonianze documentarie di più corsi e più nomi.
Ecco una breve rassegna dei vari nomi e delle relative storpiature:
VATRENO (Vaterrenus, Vaternus, Vatreni)
SANTERNO (Saternus, Santerni, Salterni)
RASENA (Rasuni, Rosano, Rasure, Rosolaie)
MEZALE (Mezzale)
Vediamo da chi e per quali ragioni sono stati citati: VATRENO: formava il golfo Vatrenico(Plinio):gita in barca(Marziale); risalito con barche nel 584 dall’Esarca Smaragdo(Florio).
SANTERNO: nelle sue vicinanze nel 536 fù ucciso il re dei goti Teodato(Marcellino); castro bizantino(Giorgio Cipro); nel 964 era unito al Senio(Fantuzzi); un fiume della ottava regione Augustea(Frontino); segnava il confine longobardo all’epoca di Papa Zaccaria.
RASENA: gita in barca(Marziale); una valle da lui colmata(Fantuzzi); confine di vari fondi.
MEZALE: nome di un fondo(Casadio); confine di vari fondi. .
Sarebbe assurdo pensare che tutti questi nomi corrispondano ad un solo corso d’acqua e che non siano altro che la conseguenza di storpiature o cambio di vocale; logica vuole che nei tempi antichi, questo fiume fosse diviso in più rami: esistono infatti tracce sul terreno di passaggi di vari corsi d’acqua e testimonianze storiche che li confermano.
Tracce di percorsi di fiumi in territorio solarolese:
Santerno (epoca Romana): proveniente da Imola, nei pressi della chiesa di Borello deviava a destra, lambita la località di LimiteAlto, attraversava i prati di Castel Nuovo e di Solarolo, poi leggera deviazione a sinistra per immettersi nel Rio Barbiano. Nei pressi del Santuario della Madonna della Salute deviava di nuovo a destra per immettersi nel Senio.
Santerno(epoca medioevale): dai pressi della chiesa di Castel Nuovo, deviazione a destra, seguiva il serpeggiante percorso della attuale via San Bartolo, e dopo essere passato a Nord dell’abitato solarolese, proseguiva fino al Senio.
RASENA (dalla preistoria al medioevo): ramo alla sinistra del Santerno, proveniente da Castel Nuovo, bagnava la zona preistorica di via Ordiere e proseguiva verso la bassa lambendo per un lungo tratto l’attuale tragitto della via Lunga.
Mezale: molto probabilmente anche questo era un ramo di sinistra del Santerno, ma il suo percorso ha interessato in particolare il territorio imolese.
Testimonianze di anonimi corsi di acqua che meritano di essere segnalati: nel sottosuolo di Massalombarda esiste uno strato di sabbia ivi portato in epoca romana da un fiume appenninico; nell’VIII° secolo nei pressi della chiesa di Villa San Martino, monaci Benedettini riparano la riva di un fiume. Considerato che all’epoca di queste due testimonianze il fiume Santerno , unito al Senio, si trovava alveato oltre Bagnacavallo, si può ipotizzare che il fiume anonimo, ricordato nelle sopra citate testimonianze, fosse il Rasena.
Alla luce di quanto fino ad ora esposto è possibile fare qualche ipotesi, probabilmente è accaduto questo: durante il peggioramento climatico del XIII° secolo, le acque torrentizie del Santerno si sono aperte un varco nella altura naturale di San Prospero, conseguentemente il ramo che si univa al Senio e che attraversava il territorio , si è estinto, prendendo così il corso attuale.
Un documento del 1350 dimostra che in zone non molto distanti erano contemporaneamente alveati sia il Santerno che il Rasena.
Ultima annotazione riguardante i tempi antichi: lo storico romano Plinio dice che il golfo Vatrenico, un golfo che si trovava più o meno ove ora sfocia il Reno, era formato da un fiume proveniente dall’imolese detto il Vatreno.
Molto probabilmente tale corso era formato dalle acque del Santerno, del Rasena e del Senio.


SOLAROLO MERITA UNA VISITA
Grazie al suo patrimonio archeologico, artistico e culturale, Solarolo merita non meno di altri comuni della provincia di Ravenna, di entrare nel Circuito Turistico Provinciale.
AULA DIDATTICA ARCHEOLOGICA:
In eleganti vetrinette ed accompagnati da pannelli illustrativi,( continuamente visitati da scolaresche provenienti da ogni angolo della regione),sono esposti reperti di epoca romana e preistorica.
Fra i reperti dell’età del bronzo esposti, provenienti quasi tutti dall’area preistorica di via Ordiere, si possono ammirare armi in bronzo, ossa finemente lavorate, ceramica di vari tipi, ma in particolare alcuni frammenti Micenei. La presenza di questa ultima ceramica sconvolge la storia antica della zona, infatti si tratta degli unici frammenti trovati in Romagna.
Interessanti i reperti di epoca romana, degni di nota : un braccio (probalmente un Ex voto) proveniente dal luogo ove era ubicato un santuario romano, un bollo romano stranissimo ed unico(non se ne conoscono altri), ed una pietra romana con impressa una croce, rinvenuta nei pressi dell’area ove era ubicata la primitiva chiesetta solarolese.
MADONNA COL BAMBINO (SCULTURA DEL XV° SECOLO )
Questa opera si trova esposta permanentemente nella aula consigliare.
L’iniziale attribuzione a Desiderio da Settignano, è stata di recente messa in discussione, ma nonostante ciò è dagli studiosi considerata la piu bella scultura del Rinascimento in Romagna.

SANTUARIO B.V. DELLA SALUTE.
In mezzo al verde della campagna a circa un km dal centro cittadino si erge uno dei più famosi e frequentati Santuari della Romagna, infatti,come dimostrato dal numero di ex voto, (erano oltre 400, ora sono 250) è secondo solo al santuario della Madonna del Monte di Cesena.
Dal 1731, inizio della venerazione della sacra immagine, è in atto un continuo arrivo di pellegrini provenienti anche da altre regioni.

QUADRO DELL’ASSUNTA DEL FOSCHI.
Nella chiesa arcipretale è possibile ammirare la pregevole tela di questo pittore faentino datata 1522. Sempre in detta chiesa vi è un bel Crocifisso quattrocentesco.
Opere di un certo interesse si trovano pure nelle chiesi parrocchiali di Casanola, Felisio , San Mauro Castel Nuovo e Gaiano. In questa ultima chiesa parrocchiale merita di essere attentamente osservato il soffitto a cassettoni , con simboli religiosi, opera della pittrice solarolese prof Maria Morini.
TESTIMONIANZE DI VIABILITA DI EPOCA ROMANA.
Circolando anche in automobile , attraverso la campagna solarolese, è possibile rendersi conto che le strade ancor oggi percorribili sono quelle costruite oltre 2000 anni fa dagli agrimensori romani. Se accompagnati da un socio della locale sede Archeoclub d’Italia è possibile anche rendersi conto della esistenza di numerosissime case romane ubicate con regolarità nelle ancor ben visibili maglie centuriali.

RESTI DELLA ROCCA MANFREDIANA E MURA DEL CASTELLO.
Una torre semidiroccata è tutto quello che resta della stupenda Rocca Manfrediana, una rocca che come grandezza, era seconda solo alla Sforzesca di Imola.
Sono ancora ben visibili le mura Manfrediane che delimitavano e difendevano il castello di Solarolo, residenza estiva dei signori di Faenza.

ATTIVITA CULTURALI.
Oltre alle quindicinali conferenze di interesse storico, promosse dalla sede locale dell’Archeo Club d’Italia , meritano di essere segnalate le numerose manifestazioni che una attivissima Pro Loco organizza nel corso di ogni anno: Sagra del Sabadò (prima domenica di Novembre): Sagra della Polenta e Bisò (terza domenica di Gennaio) : Carnevale Solarolese (ultimo sabato di Carnevale) : “Lom a Merz”(ultimo giorno di febbraio) : Festa della Ascensione ( Cinque giorni di festa in onore alla B.V della Salute): Oktoberfest Solarolese (Ultimo fine settimana del mese di settembre con la attiva partecipazione dei cittadini di
Kirchheim am Ries, comune tedesco gemellato con Solarolo).
Vengono pure indette altre importanti iniziative: mercatini dell’antiquariato, mercatini dei prodotti tipici di questa terra, esposizione di macchine agricole, mostre, e concerti serali. Naturalmente non manca mai uno stand gastronomico che permette , anche in caso di maltempo, di gustare le specialità romagnole.
CHIESA ARCIPRETALE DI SANTA MARIA ASSUNTA DI SOLAROLO.
STORIA , CONSACRAZIONE E DEDICAZIONE.
PRIMI RICORDI STORICI.
Il primo ricordo storico di questa chiesa , in antico ubicata col suo cimitero fuori dalle mura in località” Castellaccio fondo Tombe “ , non lontano dal Borgo, risale al 1179, infatti sarebbe ricordata in una bolla pontificia di Papa Alessandro III, ma si tratta di un documento non da tutti gli studiosi accettato.
Accettato da tutti invece il rogito datato 1257 ove fra le varie chiese faentine viene ricordata anche la chiesa di Santa Maria in Castro Solaroli,.Vi è pure un documento del 1220 riguardante la vendita di terreni esistenti nei pressi della chiesa, che conferma l’esistenza della stessa. Esiste pure un documento che ricorda un prete Guirise di Solarolo, ma non è certo che si tratti del rettore di questa chiesa.
In tutti i documenti ove viene ricordata tale chiesa è detta Santa Maria in Castro Solaroli, con l’aggiunta Plebati Panicali,cioè che dipendeva alla pieve faentina di Sant’Andrea in Panicale, l’attuale chiesa di Sant’Andrea sul Naviglio.
Nel 1341, detta chiesa fu trasferita dentro le mura, al proposito abbiamo due date; nell’inventario Folicaldi è scritto il giorno I8 settembre, per l’inventario Cantoni sarebbe invece il 3 aprile.
Nel 1636 questa chiesa diventa Arcipretale e come tale viene fornita di fonte battesimale che sarà usato anche dalle altre parrocchie solarolesi.
Altre notizie storiche che riguardano detta chiesa: la campana più antica era datata 1474; l’anniversario della dedicazione ricorre il 22 gennaio,nel 1688 fu quasi distrutta dal terremoto, minata dai tedeschi il 1 aprile 1945, diventa un cumulo di macerie,; la prima pietra della nuova chiesa fu posata il 3 maggio 1953; quella del campanile fu posata invece nel giorno dell’Ascensione del 1964, detto campanile fu inaugurato il 26 Settembre del 1965; nel 1981 furono elettrizzate le campane.
Fra i tanti avvenimenti che questa chiesa può annoverare, non si può non ricordare quello accaduto il giorno 20,11, 1956, un avvenimento doloroso che molti solarolesi ancora ricordano, e che lasciò profonda impressione in tutta la popolazione: una bimba solarolese di appena sette anni, era nata il 16.4.1950, Mara Santandrea, aggrappandosi inavvertitamente alla pila della Acqua Santa, , la fece precipitare e sfortunatamente fu da questa investita in pieno petto, portata all’ospedale, dopo 5 ore, a causa delle ferite riportate, mori, fra la comprensibile costernazione dei suoi genitori.
Si trattò di un avvenimento funesto di assoluta gravità, la pila, sicuramente , non era stata adeguatamente fissata alla apposita colonna.
Abbiamo detto che il primo ricordo storico di questa chiesa risale al 1179, ma vi sono buone ragioni per ritenere fondata l’ipotesi che sia stata eretta in tempi antichissimi.
Dando uno sguardo all’antica situazione idrografica del nostro territorio , ci si renderà conto della necessità che in loco vi fosse un edificio di culto, provvisto di fonte battesimale.
Dobbiamo sempre tener presente che, considerata l’alta mortalità infantile di quel periodo, il fonte battesimale doveva essere facilmente raggiungibile in ogni stagione per dare al neonato la possibilità di essere battezzato prima della morte.
Fino almeno al 1154 il Santerno aveva un corso diverso; proveniente dall’imolese, nei pressi della chiesa di Castel Nuovo deviava a sinistra e dopo aver attraversato il nostro territorio, si univa al Senio. Conseguentemente tre lati del nostro territorio(Ovest, Nord, Est) erano delimitati da dei corsi d’acqua che durante i periodi piovosi erano difficilmente guadabili.
Una domanda a questo punto è d’obbligo: le chiese del solarolese a quali Pievi si rivolgevano per usufruire del fonte battesimale senza dover attraversare un fiume? Purtroppo la risposta è; nessuna! Infatti a parte la chiesa di Castel Nuovo che, rimanendo oltre il Santerno, poteva comodamente servirsi della Pieve di S. Prospero, tutte le altre comunità erano costrette ad attraversare un corso d'acqua. Impossibile era quindi servirsi delle Pievi di S. Stefano in Barbiano, Sant’ Andrea in Panicale, e S. Pier Laguna; impensabile poi il ricorso verso il lato Sud, dal momento che fino alla via Emilia non vi erano Pievi.
Logica vuole perciò che dal VI secolo, periodo eccezionalmente piovoso, alla seconda metà del XII secolo, ultimo ricordo documentario dell’attraversamento del Santerno sul nostro territorio, vi fosse in loco una chiesa col fonte battesimale. Purtroppo dimostrarlo non è facile. Vediamo dunque, confortati dalle antiche cronache e dalle scoperte archeologiche, se vi sono tracce di una Pieve, poiché, come abbiamo visto, vi sono buone ragioni per considerarla indispensabile.
Il già ricordato Gregorio Manzoni, al riguardo di questa primitiva chiesetta, dice che per tradizione era antichissima e che sarebbe stata edificata addirittura dal Protovescovo di Ravenna Sant’Apollinare; aggiunge che per lui è solo una leggenda , ma precisa che ciò che restava di questa chiesa era formato da pietre antichissime. Da una cronaca del 18°secolo, opera dello Zudoli, si apprende che notizie riguardanti questa antichissima chiesetta si trovavano, al suo tempo , in un antichissimo libro di carta pecora custodito nell’archivio Arcivescovile di Ravenna. Giunti a questo punto, si può solo dire che per tradizione era una chiesa “antichissima”e che non è possibile aggiungere nient’altro.
Se nonchè, al seguito di una profonda aratura effettuata non lontano dall’area ove era ubicata la chiesetta, è venuta alla luce una pietra romana, rozzamente arrotondata , dove ben visibile è stata incisa una croce. Questo rinvenimento riapre l’argomento e ci dà l’opportunità di formulare suggestive ipotesi. Si tratta di una croce detta a “patente”, cioè con la caratteristica che i bracci verso l’esterno si allargano sensibilmente. Dagli studiosi è concordemente ritenuta “orientale”.
La più antica croce di questo tipo si trova attualmente custodita nel museo Arcivescovile di Ravenna, ma originariamente coronava il tetto della Basilica di San Vitale quindi è databile al VI secolo. Per trovarne un esemplare più antico occorre andare nella chiesa romana di S.Pudenziana, questa ultima infatti risale al V secolo.
Il caso vuole che una croce come la nostra, cioè incisa sopra ad una pietra romana e datata al IV secolo, faccia bella mostra di sé al museo parigino del Louvre nella sezione dedicata alle antichità cristiane. Questo tipo di croce possiede anche una interessante particolarità: è dedicata alla Madonna.
Se alla già accennata impellente necessità di una pieve nel nostro territorio, aggiungiamo le antiche tradizioni che vogliono tale chiesa “antichissima” e da tempi immemorabili dedicata a Maria, il quadro che ne esce non può non essere affermativo.
L’esistenza effettiva di una antichissima pieve nel nostro territorio, da semplice ipotesi, sta diventando un fatto altamente probabile. Nonostante i contributi al proposito riportati, non mancano comunque alcune perplessità che occorre superare: una plausibile ragione che spieghi il perché o il motivo dell’esistenza dalle nostre parti di una croce orientale, e come spiegare il totale silenzio dei documenti antichi al riguardo questa presumibile pieve.
La prima perplessità è facilmente superabile: l’influenza orientale dei primi evangelizzatori in Romagna è un fatto da tutti accettata: orientali sono i primi undici Vescovi di Classe, tantissime antiche chiese romagnole sono state dedicate a santi orientali; a Sant’Apollinare, a San Demetrio, a Sant’Eufemia, a San Poliuto, a Sant’ Anastasio(che poi ha dato il nome a sant’Eustachio di Mordano) e l’elenco potrebbe continuare.
Riguardo alla seconda perplessità, cioè il totale silenzio delle fonti, è doveroso prendere atto che occorre superare forti ostacoli, ma non sufficienti per relegare l’ipotesi nel mondo delle favole.
Vi sono delle pievi; Santa Maria in Curilina, S.Joannis in Fontibus, Santa Maria in Barni, San Paolo ed altre, che pur essendo più volte ricordate nei documenti come facenti parte della diocesi faentina ed imolese, non sono state con sicurezza localizzate; ebbene non si può escludere, considerato che in altri casi vi è stato un cambiamento di titolare, che una di queste fosse proprio la nostra. Ammesso pure che nessuna di queste lo fosse, rimarrebbe una altra possibilità: non sarebbe la prima volta che una chiesa da pieve sia stata successivamente declassata a semplice cappella. Un esempio lo abbiamo vicino a noi; grazie ai documenti del 767 e del 891, sappiamo con sicurezza che l’attuale chiesa di Villa San Martino era in quei tempi pieve con una discreta giuridizione, mentre invece dopo al 1000 risulta essere una semplice parrocchia dipendente alla pieve di Sant’Agata. Se per caso i suoi primi documenti fossero andati perduti, nessuno avrebbe pensato che in antico questa chiesa avesse avuto il fonte battesimale. Naturalmente il problema riguardante una pieve solarolese rimane aperto.
SUA CONSACRAZIONE
Cosa è una consacrazione: dopo che una chiesa è stata eretta o quando, per una qualsiasi ragione rimane chiusa al culto, per aprirla ai fedeli occorre consacrarla o riconsacrarla. In parole povere si tratta molto di più di una speciale benedizione che fra l’altro dà alla chiesa alcuni grandi privilegi: uno è il diritto di asilo, e cioè chiunque chiede asilo lo riceve, l’altro è la possibilità di somministrare i sacramenti.
Vediamo quante volte la nostra chiesa è stata consacrata: come abbiamo detto, in antico, questa chiesa era ubicata fuori dalla mura, perciò quando fu in tal luogo costruita, anche se le fonti al riguardo tacciono, può essere stata consacrata. Quando nel 1341 fu edificata dentro le mura, anche se ancora una volta i documenti tacciono, molto probabilmente fu di nuovo consacrata.
Il primo ricordo storico di una sua consacrazione risale al 1457( come da notizia riportata dal frate cappuccino Gregorio Manzoni, nella sua storia di Solarolo scritta nei primi decenni del 1700). Non è chiaro il motivo per cui si rese necessaria tale consacrazione, non si può neanche escludere che si trattasse della prima consacrazione, (se non fatta in occasione del trasferimento nel luogo ove ora si trova), non sarebbe la prima volta che questo accade, infatti, come si può riscontrare per altre chiese, subito viene benedetta e successivamente consacrata. Lucio Donati è del parere che la consacrazione sopra accennata, sia avvenuta dopo che fu costruito il campanile.
Una successiva consacrazione avvenne nel 1610, la notizia è ricavata dal libro Platea, scritto dallo Zudoli, che dice “dopo che fu polluta”;.polluta viene da polluzione, perciò significa che la chiesa fu profanata. Non si sa cosa effettivamente sia accaduto; probabilmente si trattò di un episodio criminoso o scandaloso. L’ultima consacrazione è avvenuta il 27 novembre del 1955.
SUA DEDICAZIONE
E veniamo alla Assunta , cioè al nome della titolare di questa chiesa.
Anzitutto una curiosità: nella diocesi faentina oltre alla nostra vi sono altre 6 chiese con tale dedicazione, Bizzuno, Mezzeno, Marzeno, Cassanigo, Pideura e Traversara.
Il titolo della Assunta è un titolo molto ambito, infatti è patrona di vaste aree geografiche; America Meridionale, Africa orientale ed Africa Meridionale; di nazioni quali Francia, Giamaica, Paraguay, Sudafrica, Nuova Caledonia e Amazzonia; di capoluoghi di provincia italiani: Bolzano, Terni, Catanzaro, Trapani; di centinaia di comuni italiani ed esteri, di migliaia di parrocchie, di centinaia di migliaia di cappelle ed altari, è pure patrona dell’Azione Cattolica Italiana e dei tintori.
Al riguardo di Patrono e dedicazione, Solarolo si trova in una situazione anomala; mentre in genere il titolare della chiesa è anche il Patrono del territorio, nel nostro caso la titolare è l’Assunta ma il patrono è San Sebastiano.
Vediamo se il titolo della Assunta è sempre stato il titolo della nostra chiesa o se è stato aggiunto successivamente.
Anzitutto occorre precisare alcune cose: quando una chiesa viene consacrata per la prima volta, occorre, in tale occasione, dare il nome del titolare, che può essere un Santo, un Martire, un Apostolo, un Beato; può essere Cristo o un suo mistero liturgicamente approvato, (Redentore, Santissimo Sacramento ecc), può essere Maria oppure i misteri riguardanti la sua figura(Annunziata, Immacolata Concezione, Natività, o appunto l’Assunta).
Ebbene, considerato che le chiese dedicate alla Madonna erano in antico diventate tantissime, si dovette, per non confonderle, aggiungere successivamente un mistero, così fu fatto per l’Assunta, ed altrettanto fu fatto per altre due chiese parrocchiali di Solarolo: quella di Felisio diventò la Natività di Maria, quella di Casanola Santa Maria Nascente.
Da una attenta ricerca storica riguardo alla dedicazione delle chiese mariane risulta che se una chiesa è dall’inizio dedicata solo ad un mistero mariano, con quel mistero e solo con quello è nominata nei primi documenti. Per esempio, la chiesa ora museo: il suo primo nome che compare nei documenti è l’Annunziata e non Santa Maria. La prima chiesa italiana dedicata all’Assunta è una chiesa di Genova, ebbene nel primo documento che la ricorda, datato 855, è detta semplicemente l’Assunta.
Al riguardo della dedicazione della nostra chiesa non vi è molta chiarezza, infatti i pareri degli studiosi non concordano. Vediamoli: il già citato Gregorio Manzoni, pur non portando documenti che lo dimostrino, lascia intendere che questa chiesa è da sempre dedicata alla Assunta; dello stesso parere è un frate predicatore che nel 1742, predicando a Solarolo, dice chiaramente:”beati voi solarolesi che avete la vostra chiesa da sempre dedicata alla Assunta”, dello stesso parere sono pure i vari Arcipreti che hanno retto questa chiesa, ma purtroppo, nessuno di questi porta documenti che lo confermino. Buon ultimo Don Foschini: questi non asserisce che la chiesa è da sempre dedicata all'Assunta, ma , ad un documento del quindicesimo secolo , aggiunge di sua mano la voce Assunta, come se tale dedicazione fosse una cosa scontata.
Vediamo al riguardo cosa dicono i documenti che ho trovato.
Il primo documento sicuro ,attestante che questa chiesa è dedicata alla Assunta , risale al 1527, quando rettore era don Vassalotti; pochi anni dopo, cioè nel 1543, l’incaricato del vescovo faentino Rodolfo Pio, quando visita la nostra chiesa, dice espressamente “l’Assunta”.
Occorre comunque tener presente che nel 1522, commissionato dal rettore Don Antonio Padovani, il quadro dell’Assunta del pittore faentino Sigismondo Foschi viene collocato sull’altare maggiore di detta chiesa; questo può forse significare che la chiesa aveva già assunto tale titolo.
La ragione per cui da tempo si crede che l’Assunta sia sempre stata la titolare, può essere spiegata con questa curiosità: da tempo immemorabile la festa dell’Assunta è considerata a Solarolo come la festa della titolare della chiesa,. Ebbene, un decreto Pontificio stabilisce che se una chiesa è dedicata a Santa Maria, senza alcun titolo aggiuntivo, la festa della titolare è da considerarsi dell’Assunta e perciò festeggiata il 15 agosto . Altrettanto dicasi se una chiesa è dedicata a Cristo, senza l’aggiunta di alcun mistero particolare, la festa del titolare si deve fare nel giorno della Trasfigurazione, e cioè il 6 agosto. Al seguito di queste considerazioni si può dire con buona probabilità che , essendo il primo ricordo di questa chiesa “Santa Maria”, il titolo “Assunta” vi è stato aggiunto successivamente.
E veniamo all’Assunta come festa: è una festa antichissima; nel 590 l’imperatore d’Oriente Maurizio impone a tutte le chiese di festeggiare tale festa; nel 620 il vescovo di Tessalonica Giovanni in una sua omelia dice che è bene festeggiare tale festa in quanto la festeggiavano anche gli Apostoli. Nel 667 anche in occidente viene imposto di festeggiarla; in quei primi tempi era detta della Dormizione; senza alcun dubbio è la più importante festa mariana.
Già nel sesto secolo compaiono delle rappresentazioni dell’Assunta; diversamente da ora, si vedeva Maria salire in cielo entro una mandorla.
Molto importante è il valore liturgico di questa festa: in parole povere significa che Maria è salita in cielo anima e corpo.
Occorre precisare che i quattro Vangeli non parlano di come Maria abbia terminato la sua vita terrena, molto ne parlano invece alcuni vangeli Apocrifi; questi ci dicono che Maria in punto di morte viene miracolosamente raggiunta al suo capezzale dagli Apostoli, che erano sparsi per il mondo a predicare. Sempre dagli apocrifi si apprende che all’età di 62 anni, e cioè 12 anni dopo la morte del Salvatore, Maria muore, pochi giorni dopo sarebbe avvenuta la sua resurrezione.
Cotesti Vangeli, ed il loro contenuto, sono tenuti in grande considerazione dalla chiesa greca; infatti fra le tante feste mariane viene festeggiata anche quella della Resurrezione di Maria.
Nella chiesa Occidentale, riguardo alla morte di Maria, non è stata presa una decisione definitiva, nel Dogma di questo avvenimento se ne parla poco, infatti all’epoca di tale Dogma vi erano autorevoli pareri di mortalisti e di immortalisti.
Indipendentemente da ciò che non è stato scritto nei Vangeli Canonici, occorre tener presente che Maria , dal momento che ha dato alla luce Gesù, non poteva essere una donna come tutte le altre, cioè doveva essere nata senza peccato originale: giustamente è stato proclamato il Dogma dell’Immacolata Concezione e proprio per questo non doveva subire la corruzione del sepolcro.
Forte di questi principi e sentito il qualificato parere di 113 Cardinali, di 18 Patriarchi e di 2505 Vescovi, il 1-11-1950, l’allor Papa Pio XII proclamò solennemente il Dogma dell’Assunta.







LA SPEDIZIONE DEGLI ARGONATI E LA CONQUISTA DEL VELLO D’ORO
Con la nave Argo, dal nome della città tessalica da dove partì la spedizione, un gruppo di coraggiosi giovani greci salpano verso la Colchide , l’attuale Georgia, scopo: la conquista del vello d’oro.
Non è chiaro cosa in antico si intendesse per “Vello d’oro”; per il mito era la pelle dell’ariete alato che Zeuz avrebbe mandato per salvare Frisso ed Elle da un sacrificio. Dagli antichi era generalmente considerato un simbolo di dignità regale e di sovranità. Per Isodoro ed Igino era la pelle del montone nato da Nettuno, per Tzetze ed Apollodoro era invece il montone di Mercurio; aggiunge Simonide che era di color porpureo, per Giovenale era d’oro, altrettanto per Pindaro. Che questo montone avesse fatto il viaggio dalla Grecia alla Colchide volando per aria, lo dicono Apollodoro, Luciano, Nonno, Filostrato e Sant’Agostino. Che ci sia andato invece a nuoto ne sono convinti Manilio ed Ovidio. Per la stragrande maggioranza degli antichi scrittori era una “pelle”, per Diodoro Siculo confermando Palefato, era invece il tesoriere di Atamante che portava con sé una statua d’oro; per Seneca era un libro ove era scritto come tramutare in oro ogni metallo; per Eustazio era l’oro che i Colchi avevano raccolto con le pelli di animali, per Newton lo scopo della spedizione Argonautica non era un “vello” ma il tentativo di convincere le popolazioni del Mar Nero a ribellarsi allo strapotere degli Egiziani.
Per arrivare a destinazione , gli Argonauti fanno tappa a Lemmo, Samotracia, passano il Bosforo, costeggiano le rive orientali del Mar Nero e dopo alterne vicende conquistano il “vello d’oro”. Questo , salvo pochissime eccezioni, è il percorso da loro tenuto nel viaggio di andata che ci hanno tramandato gli antichi scrittori. Ben diverse sono invece le testimonianze antiche al riguardo del viaggio di ritorno. Per Apollonio Rodio e per Pompeo Trogo sarebbe il fiume Danubio, fiume Risano, Mare Adriatico, fiume Po, fiume Rodano, mar Tirreno, Tessaglia.
Per Timeo: fiume Don, mar Baltico, oceano Indiano, mar Rosso, mar Mediterraneo, Tessaglia. Per Euripide e Callimaco, il tragitto del ritorno sarebbe stato identico a quello dell’andata. Da una delle più antiche leggende che descrivono questo viaggio, la cosi detta “Leggenda Minia”, apprendiamo , diversamente da quasi tutti gli altri commentatori antichi, che l’itinerario dell’andata non avrebbe interessato le sponde del mar Nero, ma le sponde dell’Adriatico, conseguentemente gli unici riferimenti geografici concordanti frà i vari racconti sarebbero il Po e le isole Elettridi, ma con una sostanziale differenza: per la “Minia” riguardano il viaggio di andata, per tutti glli altri racconti riguardano solo il viaggio del ritorno. Per cotesta leggenda , la destinazione degli Argonauti non era la Colchide, ma la Colicaria, zona della bassa mantovana ricordata pure dall’itinerario Antonini.
Sicuramente il mito argonautico è il più conosciuto dell’antichità. Stando a quello che ci ha tramandato il geografo greco Strabone, già al tempo di Omero, perciò VIII-IX secolo a.C.si potevano osservare statue erette in onore di Giasone e Medea, cioè l’eroe e l’eroina della spedizione argonautica. La prima opera letteraria ove furono descritte le gesta di questi eroi greci risale al 596 a.C. autore Epidemide Cretese, seguita pochi anni dopo , 550 a.C. ,da quella di un certo Onomacrito.
La più famosa opera , quella di Apollonio Rodio, vede la luce all’inizio del III° secolo a.C.,spesso citata è anche l’opera che Valerio Flacco scrisse nel 73 d.C.
Il mito argonautico ha favorito la fondazione di ordini cavallereschi e di accademie. Uno degli ordini cavallereschi italiani più famoso fu quello fondato da Carlo III di Napoli nel 1382. Fra le accademie italiane le più famose furono quelle di Casale Monferrato fondata nel 1540, Mantova 1547, Bologna 1542, Ancona 1649, Venezia 1680, Palermo 1731.
Molto si è discusso sulla grandezza del “vello d’oro”; per Apollonio “eguagliava il cuoio di una giuvenca”. In genere è raffigurato molto grande, come per esempio nel quadro che nel 1785 si trovava nella biblioteca del Re di Prussia, in tal quadro si vede Giasone che per meglio prendere il “vello”, se lo arrotola su un braccio.
Molto più piccolo è invece quello che portavano i discendenti di Carlo V , infatti il privilegio non era il portare un “vello”, ma un “velo”, da qui l’equivoco, riguardante l’ordine del”Toson D’oro”. In verità questo ordine , istituito dal duca Filippo di Borgogna, che fra l’altro era diventato il più ambito dalle dinastie europee, era nato all’insegna di un “tosone”, ma non da quello argonautico, ma bensi dalla pelle di un montone , più volte ricordato nella Bibbia.
SOLAROLO ED I SUOI CONFINI.
Solarolo è sempre stato ed è tutt’ora “terra di confine”, infatti vi confinano o vi hanno confinato : l’ager faventino e l’ager imolese, il contado faentino e quello imolese, la diocesi faentina e la diocesi imolese, lo stato pontificio ed il ducato estense e probabilmente un confine fra Bizantini e Longobardi.
Alle enormi difficoltà che si incontrano nel tentativo di localizzare un qualsiasi antico confine, occorre aggiungere quelle create dal fiume Santerno che con i suoi continui cambiamenti di percorso ha più volte sconvolto il territorio, conseguentemente questo mio contributo non può portare niente di definitivo, tutto o quasi tutto rimane irrisolto.
Vediano questi vari confini alla luce dei pareri degli studiosi che si sono interessati a tali argomenti e delle ricerche che ho effettuato.
CONFINE AGER FAVENTINO E CORNELIENSE.
Per il faentino Medri doveva essere l’attuale corso del Santerno o addirittura più ad Ovest. Per l’imolese Cortini doveva essere invece il fiume Senio.Un altro Imolese, il Baldisserri, dice che tale confine romano doveva essere segnato dalla antichissima strada via Longa.
Personalmente, per varie ragioni, concordo con quest’ultimo. Cotesta strada era un quintario e come è noto il confine di ogni ager doveva essere segnato da questo tipo di strada; fra l’altro partendo dalla via del porto, cardine massimo faentino, il conteggio dei quintari risulta esatto, come pure risulta esatto il conteggio dei quintari partendo dal cardine massimo Imolese, cioè la via Selice, infatti il confine imolese verso Solarolo corrisponde al quintario ora via Pilastrino. Per essere ancor più chiari: fra i due quintari di confine restava un tratto di terreno, come fosse “terra di nessuno”.
Altre ragioni che fanno ritenere la via Longa il confine fra i due Ager: in detta via vi era la località Limitealto, cioè un limite; inoltre il Rossini, nel corso della raccolta di iscrizioni romane trovate in questi territori, ne segnala una trovata in località Villa San Martino, (vicinissima alla via Longa) e la dice Faentina.
CONFINE DEL CONTADO FAENTINO CON IL CONTADO IMOLESE:
Dalla lettura del “Quaternus fumantorum comitatus imolae” del 1265 e della “Descriptiio Romandiolae”del 1371, si può dedurre che questo confine fosse segnato dal fiume Senio.
Infatti nel già citato documento del 1265, sono segnate le ville sicuramente imolesi esistenti in territorio solarolese, Solarolo, Gaiano Casanola, e giustamente non è segnato Felisio che trovandosi a quei tempi oltre il fiume Senio, faceva parte del contado faentino come ben dimostrato anche dalla Descriptio Romandiolae.
La localizzazione di questo confine, almeno nel periodo di tali documenti, può considerarsi quasi certo. Occorre tener presente che in tale epoca i Manfredi di Faenza, diventando i padroni di Solarolo, creano le premesse per fare arretrare questo confine a danno del contado imolese.
CONFINE DELLA DIOCESI FAENTINA CON LA DIOCESI IMOLESE.
Attualmente il confine è il seguente: dal confine con Castel Bolognese; segue il corso del canale dei mulini, abbandona tale corso per un breve tratto in corrispondenza del centro abitato di Solarolo, seguendo un piccolo fossato; passato l’abitato, segue di nuovo il corso del canale fino al confine con Barbiano, arrivato a tale confine, prosegue fino al Senio entrando all’interno del territorio di Cotignola, infatti alcune case di questo comune appartengono alla parrocchia solarolese di Felisio.
Non è possibile sapere a quale epoca appartenga tale confine. Considerato che per un lungo tratto segue il corso del canale, fa pensare che sia stato segnato dopo che fu tracciato il corso di detto canale, perciò non prima del 1446, infatti in una carta del 1600 il confine è come l’attuale.
In una carta riportata dal Cortini, senza data, il confine è il fiume Senio, stranamente però, in tale carta, non sono segnate le parrocchie di Gaiano e Casanola, che si trovano ad Ovest del Senio, sono invece segnate Felisio e Solarolo. Sempre opera di questo ultimo autore, vi è un elenco di chiese della diocesi imolese, dove non riporta Felisio, Gaiano e Casanola ma cita Solarolo e Castel Nuovo, ciò significa che per questo autore, il confine diocesano deve aver subito un cambiamento e che si veniva a trovare immediatamente ad Est di Solarolo, come risulta pure segnalato nella piantina allegata alla “Rationes Decimarum”.
Il primo ricordo sicuro che testimoni l’appartenenza della chiesa di Solarolo alla diocesi faentina risale al 1257, mentre invece Gaiano risulta in diocesi faentina già nel 1022.
Senza alcun dubbio i confini diocesani sono quelli che nel corso dei secoli hanno subito più cambiamenti. I documenti che seguono confermano le continue variazioni.
740: Liutprando dona alla chiesa faentina terre ed alcune pievi fra cui quella di S. Stefano di Barbiano, questo documento ci dice che prima di quella data tali pievi potevano essere di una altra diocesi, e che il confine diocesano , al seguito di quella donazione, non poteva essere il Senio.
1151: Eugenio III conferma al vescovo di Imola la Cappella di Cunio, che nel 1143 era in diocesi faentina.
1339: le chiesi di Solarolo , Felisio, Casanola e Gaiano si trovano sotto la pieve di S. Pietro in Laguna, questo documento ci dice che vi sono state anche delle variazioni plebane e che queste chiese, pur trovandosi in diocesi di Faenza, si trovavano contemporaneamente anche in contado imolese. Vediamo altri possibili confini diocesani.
Il Santerno: il corso attuale non può esserlo in quanto la chiesa di Castel Nuovo dal 1187 risulta ininterrottamente in diocesi imolese.
Corso antico di questo fiume: come è noto fino al 1154 questo fiume attraversava il territorio solarolese e nei pressi di San Severo si univa al Senio. Purtroppo non si conosce esattamente il suo percorso: se come dice il Veggiani passava a Nord di Solarolo, la chiesa avrebbe dovuto trovarsi in diocesi faentina, se invece il fiume passava a Sud del centro abitato, la chiesa di Santa Maria in Castro Solaroli, fino al 1154 , ultimo ricordo del Santerno unito al Senio, avrebbe fatto parte della diocesi imolese, come un documento del 993 farebbe pensare.
Rio Fantino: prima che fosse costruito il canale dei mulini, il percorso di cotesto rio poteva segnare il confine diocesano. Veramente questo avrebbe significato che la chiesa di San Mauro si sarebbe trovata, diversamente da ora, in diocesi faentina, ma è anche vero che essendo questa chiesa un monastero camandolese, non era obbligata a dover dipendere da un vescovo,infatti fino al 1463 dipendeva dal monastero di S. Eustachio di Imola e nel 1513 fu sottomesso al monastero di S. Ippolito di Faenza. Perciò per un certo periodo, dopo il cambiamento del percorso del fiume Santerno, questo può essere stato il confine diocesano. Occorre tener presente che tale rio era detto”fantino”. Come si può vedere al riguardo del confine diocesano , regna la massima incertezza.




CONFINE TRA STATO PONTIFICIO ED IL DUCATO ESTENSE.
In una relazione diocesana faentina del 1774, vi è uno specchietto ove è segnata la popolazione di Solarolo, ebbene nel territorio della chiesa arcipretale vi sono 6 case con 26 abitanti facenti parte della legazione di Ferrara. In tale delegazione vi erano pure dieci case con 56 abitanti della parrocchia di Felisio. Grazie a questi dati è possibile risalire facilmente alla ubicazione di detto confine.
CONFINE FRA LONGOBARDI E BIZANTINI.
A circa metà strada fra Solarolo e Bagnara vi è una anonima torretta che, non essendo col suo vero nome ricordata da nessun documento, abbiamo chiamata “torretta di via Ordiere e si trova vicinissima al confine dei due comuni.
Considerato che, come abbiamo detto, il territorio solarolese è stato interessato da molti confini, non si può escludere che anche questa torretta sia servita a tale scopo.
Vuole la tradizione che in antico di queste torrette ve ne fossero altre due nella stessa linea e che conseguentemente segnassero un confine. Ebbene uno studioso imolese, il Padovani ha recentemente ipotizzato che nella zona delle tre torrette vi fosse un confine fra Bizantini e Longobardi.
Il caso vuole che seppur per ragioni diverse, anche un altro studioso, il Pasquali, abbia ipotizzato nella stessa zona un confine che riguardava la famosa “Forest Magnum” che nel 740 Liutprando avrebbe donato alla chiesa faentina, a riprova di ciò, un tratto dei confini riportati nella cartina allegata, corrisponde esattamente alla linea che formavano le tre torrette. Non si può comunque escludere che tale confine fosse stato segnato dal passaggio del fiume Santerno, che come abbiamo detto ha più volte cambiato percorso.
Una ultima interessante constatazione: lunghi tratti dei confini di Solarolo con gli altri comuni, sono segnati da dei quintari,cioè la quinta strada romana, un problema che merita di essere approfondito.

SANTI VENERATI NEL SOLAROLESE. 7 sono le chiese parrocchiali in territorio solarolese: Arcipretale, Felisio Gaiano Casanola , San Mauro, Castel Nuovo, e per un certo periodo lo è stata anche la chiesa di San Cristoforo.
Queste chiese dipendono tuttora da due vescovadi: Solarolo, Felisio ,Gaiano e Casanola, a quello di Faenza, San Mauro, Castel Nuovo e San Cristoforo a quello di Imola.
Oltre a queste, sono ricordate, alcune esistenti altre scomparse, altre chiese o semplici cellette:
Rosario,( una dentro alle mura)ed un’altra in Gaiano,; San Sebastiano (lungo il Canale), Annunziata(dentro alle mura), Madonna delle Grazie (una dentro le mura, una in Gaiano ed una nei confini con Barbiano, (celletta bruciata) , Santuario Madonna della Salute, Madonna del Carmine (via San Bartolo), Madonna del Tempio(via Felisio), Madonna di Loreto (via Sganga), Madonna della Salda (Castel Nuovo), S.Maria Maddalena (podere Folli in San Mauro), Madonna della Visitazione (nella Rocca), S.Maria in Donegallia ,San Bartolomeo (via San Bartolo), S. Antonio Abate (una in Casanola ed una in via Lunga), S.Antonio da Padova(via san Bartolo), San Marco (dentro le Mura), San Biagio (in Casanola), Santa Croce (una in Felisio ed una a Castel Nuovo), Sant’ Antonio, senza altra indicazione, (in Felisio), Celletta San Mauro (San Mauro), San Vittore (Ex Celletta Biondelli), Santa Maria (la primitiva chiesa di Solarolo).
ALTARI:
In CHIESA ARCIPRETALE: Sant’ Antonio da Padova (due), S.Corpo di Cristo, S.Lucia, S.Savino, S. Francesco di Assisi, S: Sebastiano( con Reliquia), S. Filippo e Giacomo, S.Nome di Cristo, S. Ambrogio, Transito di San Giuseppe, S. Sacramento, S. Biagio, Pio Suffragio, e due alla Madonna.
CHIESA DEL ROSARIO: Tre alla B.V. S.Pietro, S.Biagio, S.Paolo, S. Lazzaro, S.Apollonia, S.Ambrogio e nicchie con S.Domenico, S.Vincenzo, S.Rocco e S.Sebastiano.
CHIESA DELLA ANNUNZIATA:B.V, S.Biagio, SS Crocifisso.
CHIESA DI SAN SEBASTIANO:B.V, S,Carlo, S.Sebastiano.
CHIESA DI SAN MAURO:B.V, S.Antonio abate, S.Giorgio, S.Pietro e Paolo, S.Lorenzo.
CHIESA DI CASTEL NUOVO:S.Antonio da Padova, S.Sebastiano, S.Macario, B.V.
CHIESA DI GAIANO:B.V, S. Biagio, S.Eurosia, .
CHIESA DI CASANOLA: B.V, S.Biagio.
SANTUARIO MADONNA DELLA SALUTE: B.V, S.Teresa, S. Andrea Avellino , San Francesco di Assisi, Sacro Cuore.
CHIESA DI FELISIO: due alla B.V, SS.Crocifisso.
PATRONI:San Sebastiano, San Rocco e Madonna della Salute.
ORDINI RELIGIOSI: Serviti(chiesa di San Sebastiano), Camaldolesi (San Mauro), Terziari Francescani (Santuario Madonna della Salute).
La chiesa di Solarolo può vantare due VESCOVI ; un Antonio da Solarolo(1417) e Francesco Baldassarri (Vescovo di Imola) , e due VENERABILI; Don Filippo Scardavi e Don Martino Foschi)
Vi sono a Solarolo due opere d’arte religiosa di un certo interesse: l’Assunta del Foschi e la Madonna col Bambino attribuita da alcuni a Desiderio da Settignano.

STORIA DELLA FRUSTA(Gli Sciucaren)
Anzitutto una curiosità, il “ciocco” avviene in quanto facendo roteare la frusta, il punto terminale supera il muro del suono, cioè oltre 1200 km orari.
Il primo ricordo storico di una frusta,( per frusta si deve intendere uno strumento formato da un manico molto flessibile con attaccato una corda nodosa, alla cui estremità viene aggiunto uno spago sottile, il cosi detto s’ciocchino che è poi quello che produce lo s’ciocco),risale all’epoca di Troia(circa 3300 anni fa), infatti il via ai “Ludus Troiae”, gare di corsa con carri e cavalli, veniva dato con un colpo di frusta.
Le tracce sicure di un manico attorcigliato ove era attaccato una fune, trovato in una tomba gallica del IV secolo a.C, fa pensare che anche a quei tempi fosse molto diffuso l’uso della frusta. Di tale usanza è rimasto un ricordo nella toponomastica, in Francia, luogo di origine di tali tribù, vi è la cittadina di Parpignan (Perpignano), ebbene “parpignan” è anche il nome romagnolo del manico della frusta.
Pure i romani usavano la frusta per fare qualche ciocco, infatti se ne servivano per dare il via alle gare dei cavalli e carri che , non a caso erano pure dette “ludus Troiae”, con un colpo di frusta.
Per trovare un ricordo storico di uso della frusta per fare numerosi ciocchi, occorre risalire indietro di alcuni secoli: nel XVII secolo le coste romagnole furono invase dagli Uscocchi, predoni provenienti dalla Dalmazia(Iugoslavia); questi , come si apprende da antiche cronache ravennati, su veloci cavalli e potenti ciocchi di frusta, terrorizzarono le popolazioni rivierasche. Nonostante che questi facessero s’cioccare la frusta per usi bellici, possono essere anche loro definiti degli S’ciucaren.
Successivamente questa usanza fu portata avanti dai birocciai, questi durante i loro lunghi viaggi, facevano s’cioccare la frusta per divertimento o per segnalare che stavano rincasando.
Risulta che molti birocciai accompagnavano con i ciocchi i passi dei cavalli. Dalle sfide fra amici si passò a vere e proprie sfilate competitive; forse è questa la ragione per cui in Romagna, più che altrove, questa usanza si è perfezionata.
I s’ciucaren romagnoli portano avanti fedelmente questa usanza, con la sola differenza che con gli s’ciocchi non si accompagnano i passi dei cavalli ma le note musicali.

BREVI DI CRONACA.
UN ERETICO SOLAROLESE.
La “febbre ereticale” che sconvolse l’Europa nel corso del XVI° secolo, contagiò anche il nostro piccolo centro. Pecora nera della diocesi faentina fu un frate servita solarolese, un certo Gianbattista. Il cardinale Cervini, che poi diventò Papa col nome di Marcello II, chiamava questo nostro concittadino, ”l’architetto di tutte le malignità”.
Non si sa che fine abbia fatto, ma considerato “l’aria che tirava”, ben difficilmente questo frate morì di vecchiaia.
IL PASSATORE A SOLAROLO.
Come per quasi tutti i comuni della Romagna, anche Solarolo fù “teatro” delle gesta del Passatore. Fra le sicure vittime del Pelloni e della sua banda vi fu anche un possidente solarolese Antonio Rampi, bottino 3000 scudi.
Risulta che facevano parte di detta banda anche due solarolesi: Casadio Pietro ed Almerighi Sante, come pure risulta che questi ricevevano alloggio in tre case solarolesi: “Calchira”, “Grossi” e “Clementi”.
LA GALLERIA SOTTERANEA DI CATERINA SFORZA.
Fra le gesta leggendarie attribuite a Caterina Sforza, vengono ricordate le varie gallerie sotterranee che questa avrebbe fatto costruire in quasi tutti i comuni ove lei aveva dominio. A parere di uno storico faentino, una di queste gallerie collegava il castello di Solarolo con quello di Bagnara, entro questa la Caterina avrebbe più volte incontrato il duca di Calabria.
Si tratta di pura fantasia: in verità dalla Rocca di Solarolo partiva una breve galleria in direzione Bagnara, ma si trattava semplicemente della indispensabile uscita di soccorso.

BIBLIOGRAFIA STORICA SOLAROLESE

.Per conoscere che cosa è stato detto riguardo Solarolo vedere BIBLIOGRAFIA SOLAROLESE 1993 di Donati Lucio.
In particolare hanno scritto su Solarolo:
LUCIO DONATI (una serie infinita di articoli pubblicati in varie riviste specializzate ed in molti periodici.
DON GIULIO FOSCHINI ( tre volumi , ove ha ricostruito in parte l’archivio storico solarolese , ed altri scritti riguardanti la nostra comunità)
SGUBBI GIUSEPPE.
Sgubbi: Solarolo dalla preistoria ad oggi (1977) Waberti
Sgubbi: Storia della B.V.della Salute (1979) Cartotecnica 2000
Sgubbi:Contributo sul corso antico del Santerno nel territorio di Solarolo , in Archeologia tra Senio e Santerno (1983) Arti grafiche Faenza.
Sgubbi: Dalla più remota antichità all’anno 1000, in Il territorio di Solarolo e le sue vicende (1992) offset Ragazini.
Sgubbi.Dai primi abitanti alla colonizzazione romana in Storie per un millennio 1993,Tipografia commerciale –Russi.
Sgubbi: Circe Ulisse ed Enea in Adriatico?(2000) s.c.a.
Sgubbi: Alla ricerca del tesoro di Spina nel santuario greco di Delfi (2001) s.c.a.
Sgubbi: alla ricerca della località Quinto ove nel 536 fù ucciso il re dei Goti Teodato(2002)
Sgubbi: San Procolo titolare di Pieve Ponte.c.s.
Sgubbi : Quintario, duodecimano ed altri aspetti poco noti riguardanti la centuriazione romana.c.s
TUTTI GLI SCRITTI DI QUESTI AUTORI SONO CONSULTABILI NELLA BIBLIOTECA COMUNALE DI SOLAROLO, ALCUNI SI TROVANO PURE IN ALTRE BIBLIOTECHE.




GIUSEPPE SGUBBI VIA BORGO BENNOLI 30
48027 SOLAROLO TEL O546 52616