IL SENIO l’ANTICO TIBERIACUM ?
pag 2
IL TRAGITTO TERRESTRE SEGNALATO NEL PERIPLO
DELLO PS.SCILACE
pag 3
LA ROMAGNA: SUA GENTE E SUOI CONFINI.
pag 5
ARCHEOLOGIA SOLAROLESE
pag 7
IL CORSO ANTICO DEL SANTERNO IN TERRITORIO DI
SOLAROLO
pag 8
.
SOLAROLO MERITA UNA VISITA
pag 9
.CHIESA ARCIPRETALE DI S.MARIA ASSUNTA
pag 11
GLI ARGONAUTI ED IL VELLO D’ORO
pag 15
I CONFINI SOLAROLESI
pag 16
I SANTI VENERATI NEL SOLAROLESE
pag 18
STORIA DELLA FRUSTA ( Gli
S’ciucaren) pag
19
BREVI
DI CRONACA
pag 20
BIBLIOGRAFIA STORICA SOLAROLESE
pag 20
STAMPATO
A CURA DELL’AUTORE
Solarolo (Ra) 24
ottobre 2002
A
mia moglie in occasione
del
suo compleanno
IL SENIO L’ANTICO
TIBERIACUM ?
Il più antico ricordo storico di
questo fiume, detto “Sinnius”, si trova nella famosa “Tabula
Peutingeriana”, una carta del mondo romano .
Con tale nome si trova pure
ricordato in una pergamena datata 988. Nei quasi mille anni che
intercorrono fra il primo ed il secondo ricordo, questo fiume, almeno
con tale nome, non risulta più citato. Il Frizzi dice che il Senio
sarebbe stato ricordato da Strabone, ma gli studiosi moderni lo hanno
definitivamente escluso. Nella cronaca del bolognese Ghirardacci, si
legge che al tempo di Teodosio ( 430 d.C) un non ben precisato
confine era segnato dal fiume Sannubio, che a suo parere, ma solo
a suo parere, corrisponderebbe al fiume Senio.
Tralasciamo per il momento cotesto
fiume e parliamo un po’ della sua valle.
In detta valle compaiono toponimi
molto interessanti: Bagnacavallo era detta “castrum Tiberiacum”,
( Anastasio Bibliotecario, anno 756): nel 932 la pieve di Monte
Mauro era detta “in Tiberiaci”; nei pressi, ricordato nel 950,
vi era il “castrum Tiberiacum”; vicino a Bagnacavallo vi era
un fondo detto “Tiberiolo”: poco oltre Borgo Rivola vi è una
grotta detta del “Re Tiberi”; poco a valle di Casola Valsenio vi
era un lago chiamato Tiberiaco; una parrocchia sul Senio si chiama
“Tebano”.
Cotesti toponomi; Tiberiaco,
Tiberiacum, Tiberiolo, Tiberi, Tebano, Tiberiaci, Tiveriaci, non
possono, senza una precisa ragione, essere nati a caso e trovarsi
solo lungo tale valle.
Molti scrittori , medioevali e
moderni, hanno cercato di spiegarne la ragione.Vediamo i loro
contributi: Per il faentino Cavina, già in epoca romana
Bagnacavallo si chiamava Tiberiacum, dello stesso parere sono anche
il Coronelli, il Magnani ed il Tonducci; quest’ultimo aggiunge che
tale nome deriverebbe dalla famiglia romana Claudia Tiberia. Per il
Rossi invece avrebbe preso tale nome dall’imperatore romano
Tiberio, per il Saletti, notaio faentino del XVIII° secolo, tale
nome sarebbe derivato dal dio etrusco Tiberino( si tratterebbe
questa di una notizia riportata dal caldeo Beroso che a sua volta
l’avrebbe attinta da un frammento dell’egiziano Manetone). Per il
Padovani e il Vasina, tali toponimi deriverebbero dall’imperatore
bizantino Tiberio II (578-582) , in quanto questi avrebbe in tale
valle costruito una linea difensiva. In una inciclopedia si legge
che la grotta del Re Tiberi avrebbe preso tale nome da un vicino
corso d’acqua, identicamente chiamato. Dice il Lucchesi che questi
toponimi derivano da Tiberiacum. cioè piccolo Tevere, antico nome
del Senio, ma non riporta alcun documento che lo dimostri. Stefano
Bizantino lascia intendere che tali toponimi potrebbero derivare da
Thebae, cioè da una colonia di Tebe.
Considerato che non esistono
documenti medioevali ove tale corso d’acqua è chiamato Tiberiacum,
cerchiamo di approfondire l’argomento indagando sul suo antico
percorso.
Si sa di sicuro che dall’antichità,
fino almeno al 1154, questo fiume, dopo essersi unito al Santerno
(confluenza nei pressi di San Severo), passava a est di Bagnacavallo
e sfociava a ovest di Ravenna. Plinio ci fa sapere che alla sua
epoca(1 secolo d.C) la piu meridionale delle bocche del Po era
formata da un corso di acqua proveniente dall’imolese e lo chiama
Vatreno. Molto probabilmente tale corso di acqua era formato dal
Rasena(ricordato da Marziale), dal Santerno (ricordato sia da
Marziale che da Frontino) e dal Senio( ricordato solo, come abbiamo
visto nella Tabula Peutingeriana). Nei secoli successivi, ed in più
occasioni,(documenti o cronache del 536, 584, 964), questo corso di
acqua è detto Santerno.
Non si riesce a capire la ragione per
cui il Senio non venga più citato.
A questo punto è legittima una
domanda: si è sicuri che in epoca romana questo fiume non fosse
chiamato Tiberiacum?, o ancor prima Spino? Si tenga presente che i
Pelasgi fondarono Spina alla foce di un corso di acqua che si
chiamava Spino.
Ebbene si dà il caso che Tiberiacum
e Spino sono stati per un certo periodo anche i nomi del fiume
Tevere. Qualcuno potrebbe giustamente far presente che al riguardo
del possibile nome Spino, occorrebbe risalire a tempi molto lontani
(XII° secolo a,C), ma è anche vero che tali nomi del Tevere
risalgono a tali epoche, perciò, sarebbe bene indagare su tale
periodo in quanto alcune leggende che riguardano Enea, Diomede ed il
Tibris nel Tirreno, sono ambientate anche nelle nostre zone. Una
indagine in tal senso spiegherebbe forse, la provenienza del nome
Tibris, o da un re etrusco o piuttosto da una divinità fluviale,
magari quella del Nilo, arrivata in Italia tramite la Grecia,
come pure potrebbe spiegare la provenienza del toponimo Spino,
forse dall’anonimo Spino della Licia. Ciò che è accaduto per le
coste laziali, può benissimo essere accaduto anche per le coste
Alto Adriatiche. Altra constatazione; come è noto ogni volta che in
qualsiasi cronaca antica compariva il nome Tiberiacum, veniva, senza
alcuna eccezione e spesso senza alcuna indagine, riferita al fiume
Tevere, ma siamo sicuri che il riferimento era sempre e solo al
fiume di Roma? Una indagine accurata non guasterebbe, specialmente al
riguardo dei passi di Lucano , di Cicerone e di Stefano Bizantino .
In attesa che si conoscano i
risultati di tale ricerca, faccio una ipotesi riguardante la
derivazione dei toponimi Tiberiacum ,Tiberiolo, ecc.
A mio modesto parere, ammesso che non
derivino dal periodo romano o da tempi più antichi, penso che
possano essere stati portati da popolazioni proveniente dall’Umbria,
in particolare da quelli che abitavano la valle Tiberina che come è
noto ha preso tale nome dal Tiberis (Tevere).
Che la valle tiberina sia stata nei
secoli una via di accesso verso la Romagna , è un dato di fatto
incontestabile; per quanto riguarda l’alto medio evo. migrazioni
per tale via sono documentabili. Nel corso della guerra
Gotica(493-553) cioè all’epoca di Totila, molte persone
dovettero fuggire dal Lazio, ebbene la valle tiberina ben si prestava
allo scopo, sia come tragitto terrestre, sia in particolare come
tragitto fluviale, per mezzo del Tevere. Come è noto, questo fiume
era navigabilissimo fino a Città di Castello. Vi sono anche buone
ragioni per ritenere che l’irradiazione della religione verso
l’alta Romagna sia arrivata non da Classe ma dall’Umbria; lo
farebbe pensare la provenienza di vari santi da tale regione: San
Savino, Sant’ Eustacchio, San Lorenzo e San Procolo,ecc(al riguardo
di quest’ultimo sto dando alle stampe un lungo articolo dove
cercherò di dimostrare che il San Procolo venerato nella pieve
faentina di Pieve Ponte non è il Vescovo Ravennate, neanche il
martire Bolognese, bensi un martire umbro). Si può perciò
ritenere valida l’ipotesi che popolazioni provenienti da tale
valle e stanziatesi nella valle del Senio, abbiano dato a questa
valle e solo alla valle, tale nome. Se così fosse veramente
accaduto, potrebbe spiegarsi la ragione per cui compaiono solo i
toponimi e non il nome del fiume.
IL TRAGITTO TERRESTRE SEGNALATO NEL
PERIPLO DELLO
PS-SCILACE
Da quasi 20 anni sostengo ( cifr Sgubbi Contributo
sul corso antico del Santerno nel territorio solarolese 1983
pag 23), e più volte ribadito ( cifr Sgubbi Il territorio di
Solarolo e le sue vicende 1992 pag 21), idem : Sgubbi (Alla
ricerca del tesoro di Spina nel santuario greco di Delfi 2001 pag
11) , che l’attuale tracciato della via Lunga, una strada che
dalla via Emilia, (in corrispondenza della valle del Senio), arriva
nei pressi di Spina, abbia le caratteristiche necessarie per poter
formulare l’ipotesi che possa corrispondere al tracciato terrestre
segnalato nel periplo dello Ps-Scilace.
Vediamo cosa è scritto in detto Periplo:Gli Etruschi
con la città greca di Spina, distante 20 stadi dal mare, lungo il
fiume Eridano, e distante 3 giorni di cammino da una città Etrusca
sul Tirreno.
Tutti gli studiosi concordano che detta strada è la
più antica citata dalle fonti, mentre invece al riguardo della
individuazione del possibile antico percorso, i pareri non sono
concordi.
A parere di alcuni, il tracciato potrebbe
corrispondere a: Spina, Ravenna, Faenza, valle del Lamone, Firenze,
Pisa. Per altri invece potrebbe essere: Spina, Bologna, valle del
Reno, Pisa.
Tralasciando la poco credibile affermazione che in
soli tre giorni di viaggio fosse possibile percorrere non meno di
200 km, e pur considerando Pisa la città Etrusca del Tirreno, anche
se non espressamente citata nel Periplo, vediamo, tenendo conto in
particolare della possibile praticabilità dei vari percorsi, a
quale tragitto può invece corrispondere.
Poco probabile il percorso Spina, Ravenna Faenza,
valle del Lamone : a quei tempi,( stiamo parlando del IV secolo
a.C.) nel tratto Spina- Ravenna, sfociavano vari fiumi romagnoli ,
perciò ben difficilmente in quel tratto vi era una strada ben
praticabile, basti pensare che ancora all’epoca dell’Itinerario
Antonini, almeno quattro secoli dopo il periodo che stiamo trattando,
un tratto di quel tragitto si faceva solo in barca.
Tragitto Spina , Bologna,valle del Reno : oggi , pur
essendo più lungo, sarebbe un discreto tragitto, ma non a quei
tempi, infatti, occorreva attraversare alcuni fiumi e vastissime
paludi.
A mio parere , non solo perché il più corto, ma in
quanto l’unico praticabile, era quello che attualmente corrisponde
alla già ricordata via Lunga.
Le ragioni che porto sono queste: ove attualmente è
tracciata tale via, vi è da tempi antichissimi una lingua di
terreno molto alta, ( non a caso il Santerno fu costretto a deviare
il suo corso a destra verso il Senio, ed il Sillaro, non riuscì mai
a superare) , ebbene tale alta fascia di terreno, esente da alluvioni
e sopraelevata rispetto alle paludi, ben presto si prestò ad essere
usata come via di comunicazione terrestre.
L’esistenza in loco di un terreno alto ed asciutto
anche a quei tempi, ce lo conferma l’archeologia; lungo tale via
, per molti km verso la bassa e a pochissima profondità,( meno di
un metro,) vi sono degli abitati Villanoviani e del Bronzo.
Perciò via Longa per quanto riguarda il percorso
da Spina fino ai piedi delle colline. Per attraversare gli
Appennini, si poteva scegliere la valle del Lamone, del Santerno,
del Sillaro od altre valli, ma, a mio parere, anche per questo
scopo, la più comoda era quella del Senio.
Ho fatto in modo che questa mia ipotesi fosse
conosciuta da qualche studioso del “ramo”, ma devo riconoscere
che non ha avuto molta “fortuna”, infatti, considerato che
nessuno studioso ha ritenuto opportuno pronunciarsi, significa che è
stata accolta con un generale scetticismo.
Recentemente ho avuto la possibilità di venire a
conoscenza di una delle ragioni che stanno certamente alla base del
fatto che la mia ipotesi non è stata presa in alcuna
considerazione: uno studioso mi ha rivolto questa domanda: ma perché
Lei Sgubbi parla sempre degli Spineti che dovevano dirigersi verso
Bologna e mai dei Bolognesi che dovevano dirigersi verso Spina?
Questa domanda, se ho capito bene, mi permette di
conoscere una delle ottiche con cui gli studiosi vedono la
vicenda: gli Etruschi arrivano dalla Toscana, fondano
“Marzabotto”, Felsina, Mantova e usano Spina come porto
dell’Adriatico, perciò non si vede la necessità di un transito
lungo la valle del Senio, come pure non si vede la ragione per cui
per andare a Spina si debba percorrere un lungo tratto di strada ai
piedi delle colline, per prendere poi la via Lunga.
Se questo è il ragionamento fatto dagli studiosi,
pur considerandolo logico, mi pare che non tenga conto di un aspetto
molto importante: occorrerebbe spiegare la ragione per cui i sassi
che si rinvengono a Spina, provengono dalle colline romagnole.(Se vi
fosse stata una direttrice più breve e più comoda in direzione
Bologna, il materiale sassoso sarebbe di provenienza bolognese).
Ribadendo e concludendo: senza alcun dubbio il
tragitto “via Longa” formava la direttrice terrestre che più
delle altre si inoltrava verso le valli che attorniavano Spina,
perciò non si vede la ragione per cui non fosse usata. ( Si tenga
ben presente che nonostante le ricerche non è stata ancora
individuata con sicurezza la direttrice usata dai “Bolognesi per
andare a Spina”. Questo è un dato di fatto che dovrebbe far
riflettere)
La direttrice che io propongo può benissimo essere
stata usata in precedenza da popolazioni arrivate in zona in tempi
più antichi,( Pelasgi fondatori della prima Spina? Micenei per
andare nel Tirreno? altri popoli vagamente ricordati dalla saga
Argonautica?) perciò può benissimo essere stata usata anche dagli
spineti , come il materiale sassoso dimostra.
Questo tragitto poteva essere usato per due scopi
diversi: A) per raggiungere Felsina, (via Longa, per uscire dalle
zone paludose e poi deviare a destra percorrendo una antica via che
potrebbe corrispondere alla Salaria) , B) per dirigersi in Toscana
(via Longa fino ai piedi delle colline e proseguire lungo la valle
del Senio). L’ambra tipo “Tirinto”trovata nei pressi di
Monte Battaglia (valle del Senio), il materiale etrusco scoperto in
località Monterone (valle del Senio) e la ceramica Micenea rinvenuta
nel versante toscano, dimostrano che tale transappenninica è
stata usata ininterrottamente anche nel periodo che va dalla fine
del secondo millennio a.C , all’epoca etrusca.
LA ROMAGNA: GENTE E
CONFINI
Se proviamo a chiedere alle persone che cosa
intendono per Romagna, la stragrande maggioranza risponderà che è
la parte della Emilia-Romagna che coincide con il territorio delle
provincie di Ravenna, Forli e Rimini.
La risposta è giusta e
nello stesso tempo sbagliata: giusta per quanto riguarda il lato
amministrativo, sbagliata per quanto riguarda i confini geografici e
storici.
Ci troviamo di fronte
ad un equivoco che sarebbe grave lasciare perdurare.
Vediamo anzitutto cosa
si intende per confini regionali, cioè cos’è che determina una
“regione”. Nonostante che sulla esatta definizione del
concetto di regione vi siano ancora alcune incertezze, si può dire
a grandi linee che si intende una area geografica con affinità
culturali, linguistiche, etniche, storiche, naturali, antropologiche,
ecc.
Ebbene,
conseguentemente, da questi punti di vista, per Romagna non si deve
intendere solo il territorio dei 67 comuni delle provincie sopra
menzionate, ma bensì anche il parziale o totale di altri 41 comuni
disseminati nelle provincie di Bologna, Firenze, Pesaro ed Arezzo.
Perciò i confini della Romagna sono questi: costa adriatica per 94
km( dalla foce del Reno fino allo sprone che si inabissa in mare nei
pressi di Fiorenzuola), da questo lo spartiacque lungo 83 km che
divide le valli del Marecchia e del Foglia, prosegue lungo la
dorsale appenninica per 114 km di lunghezza(spartiacque con la
Toscana) fino alla località di Castrogallo, sorgente del Sillaro,
con questo fiume che con i suoi 74 km confluisce nel Reno nei
pressi della Bastia, ,dopodichè lo stesso Reno, con altri 40 km di
percorso ,forma il confine fino al mare.
Complessivamente i
confini hanno questa lunghezza: 215 km di spartiacque montane, 114 di
alvei fluviali e 94 di coste marine. In totale l’area Romagnola
occupa un territorio di 6380 kmq, che corrisponde al 2 % del
territorio italiano.
Questo quadrilatero, da
tempi antichissimi quasi sempre storicamente unito è stato poi
successivamente smembrato in Romagna Estense e Romagna Toscana,
attualmente all’insegna del “divide ed impera” lo è ancora
in regioni diverse: Emilia, Toscana e Marche.
Unirsi in una unica
regione significa per noi romagnoli porre fine ad un offensivo e
vergognoso smembramento, uno smembramento che ha “radici”
lontane,( i monarchici vollero punirci per aver fatto la repubblica
100 anni prima degli altri), ma anche “radici” vicine( i partiti
che si oppongono alla autonomia della Romagna vogliono che la nostra
terra rimanga una “colonia” dei bolognesi).
Scopo di questo
articolo è anche quello di smentire le falsità dei tempi passati.
Non è difficile
conoscere al dettaglio le nefandezze che sono state dette nei nostri
confronti, in quanto esiste al riguardo una copiosa bibliografia, ma
se vogliamo avere un concentrato di tali malignità non ci resta che
leggere “IL MONDO CRIMINALE ITALIANO”, un libro scritto
all’inizio del 900 dall’antropologo Guglielmo Ferrero.
Anche un disattento
lettore noterà che questo libro è stato scritto senza la necessaria
investigazione, le sue pagine sono infatti affollate di arrischiate
esagerazioni e da non provate affermazioni.
In un capitolo ,ai
romagnoli dedicato, col titolo, che è tutto un programma,
”Violenti e fraudolenti”, il Ferrero ha “superato se stesso”;
dopo averci propinato offese a pieni mani, porta argomentazioni
tragicomiche come per esempio che gli abitanti di Ravenna sarebbero
degli “indolenti” in quanto esposti continuamente ai venti
meridionali!! e che la forma del nostro cranio denota un alto indice
di criminalita!!!.
Nonostante che
Massimo D’ Azeglio avesse definito la razza romagnola “una delle
migliori del mondo”, per il Ferrero eravamo solo dei potenziali
delinquenti e conseguentemente la nostra era “terra di malfattori”.
Più che malfattori
, siamo degli eroi; non esiste contrada del mondo in cui qualche
romagnolo non sia andato a combattere per l’altrui libertà. Dando
uno sguardo alla lista del Cardinal Rivarola(1825) ed ancor prima a
quella stilata per l’invasione Austro-Russa(1799), constateremo
che fra i condannati e i deportati figurano moltissimi “nostri
padri”.
Per non parlare poi
degli autori dei moti del 1821,23,31,46,48,49,50,53,ecc, e di come
abbiamo risposto agli appelli mazziniani e garibaldini. Giustamente
siamo definiti “vulcani in eruzione permanente”. Se si facesse
un elenco dei figli della nostra terra immolati per la conquista e
la difesa della libertà, ne uscirebbe un “ martirologio” che
farebbe invidia a quelli cristiani.
Eppure per Ferrero e per l’opinione pubblica del
tempo, noi eravamo i “componenti di una società rimasta alla
forma primitiva”, cioè poco meno che dei beduini.
Sicuramente anche da
noi in passato , sono accaduti fatti criminosi, come erano di “moda”
a quei tempi, ma non di più che in altre zone italiane.
Le malignità dette
contro di noi ebbero comunque un sicuro effetto; una delle prime
decisioni fu quello di levare dalla provincia di Ravenna il
circondario di Imola e di metterlo in provincia di Bologna.
All’insegna dello
smembramento fu pure il percorso regionalistico: durante la
costituente del 1946 , invece di dare concretezza all’anelito di
unità dei romagnoli , fu votato un articolo alla chetichella che
alla definizione Emilia e Romagna levò la parola Romagna; solo al
seguito di vibrate proteste dei romagnoli presenti, fu rimessa la
dicitura “Romagna”, ma senza che nessuno se ne accorgesse fu
levata la “e”, una semplice lettera, a prima vista senza
importanza ma che di fatto testimoniava l’esistenza di due cose
diverse. Da quel giorno siamo divisi solo da un semplice trattino.
Nel 1946 il territorio
romagnolo fu quello che diede il maggior numero di voti alla
repubblica e nel 1979 esprimemmo la più alta percentuale di voti
per l’elezione dei parlamentari europei : non è poco per dei
“beduini”!!.
Approfitto di questo
articolo per portare alcune valide ragioni per chiedere al più
presto che la Romagna diventi Regione autonoma.
Come
è noto , l’Europa unita programmerà e amministrerà gli
interventi sul territorio attraverso le regioni; questo significa
che senza il riconoscimento regionale noi romagnoli saremo assenti
alle scelte nazionali ed europee. Conseguentemente non essendo
presenti al tavolo Europeo, non potremo efficacemente difendere le
strutture portanti dell’economia romagnola: turismo, agricoltura,
complesso termale e la ceramica artistica.La Romagna contribuisce
all’ottanta per cento del ricavato regionale dal turismo, ebbene ,
solo meno della metà di tale somma , rimane in Romagna. Solo
facendo la Regione Romagna avremo diritto di avere anche noi la
corte di Appello e la sede regionale della RAI . Ma in particolare,
fatto molto importante, saranno
finalmente i Romagnoli a decidere il futuro della Romagna.
Queste elementari
constatazione sono sufficiente per giustificare le finalità
portate avanti dal MAR (Movimento per l’Autonomia della Romagna).
Sarebbe lungo l’elenco
delle istanze che dimostrano quanto sia penalizzante per noi
romagnoli essere uniti all’Emilia. Pere chi volesse prenderne
nota è sufficiente leggere le pubblicazioni edite dal movimento. Mi
limito perciò a “toccare”un punto che mi sta a cuore, o meglio
sta a cuore in particolare agli oppositori della autonomia della
Romagna.
Come è noto, alla
cronica mancanza di argomenti, cotesti oppositori sollevano una
motivazione che effettivamente “colpisce”; si ergono a paladini
di” unità” e perciò condannano ogni scelta che può portare a
“divisione. Occorre onestamente riconoscere che si tratta di un
“principio” sano: si sta facendo l’Europa unita e qua si
vorrebbe promuovere delle divisioni.
Se fossero veramente
animati da questi “principi”, sarebbero solo da ammirare;
purtroppo lo sono solo a senso unico, perché non si preoccupano del
fatto che i romagnoli sono di fatto divisi? parte nelle provincie
di Ravenna, Forli, Rimini, parte in provincia di Bologna, parte in
provincia di Firenze, parte in provincia di Arezzo, parte in
provincia di Pesaro? Anche queste sono “divisioni”che dovrebbero
essere intollerabili per chi è veramente contro le divisioni e
favorevoli all’unione dei popoli!! Purtroppo da tale “orecchio”
questi non sentono.
Tutti, compreso gli
oppositori, sanno benissimo che Automia della Romagna significa
anzitutto UNIRE i romagnoli in una unica regione, infatti , fra
non molto i Romagnoli delle provincie di Ravenna, Rimini , Forli e
del circondario di Imola saranno chiamati , grazie all’apposito
referendum , a pronunciarsi al riguardo della Romagna Autonoma, e
dopo averla fatta, anche gli altri Romagnoli disseminati nelle
provincie di Firenze, Arezzo e Pesaro potranno, se vogliono, entrare
anche loro in Romagna.
Per
far presente chi sono i romagnoli, riporto le parole del Gambi:”IN
PRIMO LUOGO UNO STATO D’ANIMO,UNA ISOLA DEI SENTIMENTI, UN MODO DI
VEDERE E DI COMPORTARSI GENERATI DA UNA LUNGHISSIMA ESPERIENZA
STORICA COMUNE”
20202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020
20202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020202020
ARCHEOLOGIA
SOLAROLESE
I reperti romani nel territorio
solarolese, si trovano ad una profondità “ideale”; da 80 cm ad
un metro, perciò non troppo alti da essere rovinati dalle arature
normali e non troppo bassi da non essere scoperti dalle arature
profonde.
Questa è una delle ragioni per cui
questo territorio può definirsi ricco di testimonianze
archeologiche. L’altra ragione è che da quasi 25 anni alcuni
componenti della locale sede Archeoclub d’Italia l’hanno fatto
teatro di sistematiche e capillari ricerche.
Breve rassegna delle scoperte più
importanti.
EPOCA PREISTORICA:
Oltre a tre aree con fondi di
capanne Villanoviane, è stato scoperto un interessante abitato del
bronzo finale, conosciuto come “di via Ordiere”.
I reperti trovati in loco si
trovano nelle vetrinette della Aula Didattica Solarolese, creata
dalla amministrazione comunale solarolese e gestita dai soci
dell’Archeoclub, si tratta di anse, punte di freccia, pugnali in
bronzo, ossa lavorate e alcuni frammenti di ceramica Micenea.
Mancano invece i reperti trovati in
occasione di due saggi di scavi effettuati dalla Sopraintendenza
Archeologica Regionale, ( scavi effettuati alcuni decenni fa,) come
pure mancano i globetti di vetro, prima età del ferro, trovati nel
1963.
Si tratta di un abitato di grande
interesse, ma purtroppo non ancora adeguatamente studiato,
conseguentemente non è conosciuto dagli studiosi.
EPOCA ROMANA:
Regolarmente ubicate all’interno
delle ben individuate centurie, vi sono tracce di una ottantina di
ville romane, 6 di queste, essendo state trovate delle tessere di
mosaico, dovrebbero essere ville padronali.
Considerato che nessuna di queste
ville è stata fatta oggetto di scavi, i reperti sono poco più che
dei frammenti, nonostante ciò alcuni meritano di essere segnalati:
un braccio fittile proveniente da un santuario, un stranissimo bollo
e un frammento di mattone contenente una iscrizione funeraria.
Nel 1889 fù trovata in una di queste
ville la nota lapide della famiglia GAVIUS, attualmente custodita
nel lapidario faentino.
Risultano pure essere state trovate
numerosissime monete, la maggior parte delle quali purtroppo andate
perdute, la più antica è un asse onciale coniato attorno al 160
a.C, la più recente è di Costante(408-411 d.C). Risulta pure
essere stata trovata una moneta greca risalente al 200 a.C.
EPOCA MEDIOEVALE:
Pochi reperti trovati, non in quanto
inesistenti ma in quanto nessuno ne ha fatto una sistematica
ricerca. Interessante il ritrovamento di una moneta di Lodovico il
Pio e il ritrovamento di una pietra romana con impressa una croce,
sicuramente proveniente dall’area ove era ubicata la primitiva
chiesa solarolese.
IL CORSO ANTICO DEL
FIUME SANTERNO.
Attualmente il Santerno, dalla
sorgente alla foce, ha un solo corso ed un solo nome, mentre per i
tempi antichi vi sono testimonianze documentarie di più corsi e
più nomi.
Ecco una breve rassegna dei vari nomi
e delle relative storpiature:
VATRENO (Vaterrenus, Vaternus,
Vatreni)
SANTERNO (Saternus, Santerni,
Salterni)
RASENA (Rasuni, Rosano, Rasure,
Rosolaie)
MEZALE (Mezzale)
Vediamo da chi e per quali ragioni
sono stati citati:
VATRENO: formava il golfo Vatrenico(Plinio):gita in
barca(Marziale); risalito con barche nel 584 dall’Esarca
Smaragdo(Florio).
SANTERNO: nelle sue vicinanze nel 536
fù ucciso il re dei goti Teodato(Marcellino); castro
bizantino(Giorgio Cipro); nel 964 era unito al Senio(Fantuzzi); un
fiume della ottava regione Augustea(Frontino); segnava il confine
longobardo all’epoca di Papa Zaccaria.
RASENA: gita in barca(Marziale); una
valle da lui colmata(Fantuzzi); confine di vari fondi.
MEZALE: nome di un fondo(Casadio);
confine di vari fondi. .
Sarebbe assurdo pensare che tutti
questi nomi corrispondano ad un solo corso d’acqua e che non siano
altro che la conseguenza di storpiature o cambio di vocale; logica
vuole che nei tempi antichi, questo fiume fosse diviso in più rami:
esistono infatti tracce sul terreno di passaggi di vari corsi
d’acqua e testimonianze storiche che li confermano.
Tracce di percorsi di fiumi in
territorio solarolese:
Santerno (epoca
Romana): proveniente da Imola, nei pressi della chiesa di Borello
deviava a destra, lambita la località di LimiteAlto, attraversava i
prati di Castel Nuovo e di Solarolo, poi leggera deviazione a
sinistra per immettersi nel Rio Barbiano. Nei pressi del Santuario
della Madonna della Salute deviava di nuovo a destra per immettersi
nel Senio.
Santerno(epoca medioevale): dai
pressi della chiesa di Castel Nuovo, deviazione a destra, seguiva il
serpeggiante percorso della attuale via San Bartolo, e dopo essere
passato a Nord dell’abitato solarolese, proseguiva fino al Senio.
RASENA (dalla preistoria al
medioevo): ramo alla sinistra del Santerno, proveniente da Castel
Nuovo, bagnava la zona preistorica di via Ordiere e proseguiva verso
la bassa lambendo per un lungo tratto l’attuale tragitto della via
Lunga.
Mezale: molto probabilmente anche
questo era un ramo di sinistra del Santerno, ma il suo percorso ha
interessato in particolare il territorio imolese.
Testimonianze di anonimi corsi di
acqua che meritano di essere segnalati: nel sottosuolo di
Massalombarda esiste uno strato di sabbia ivi portato in epoca romana
da un fiume appenninico; nell’VIII° secolo nei pressi della
chiesa di Villa San Martino, monaci Benedettini riparano la riva di
un fiume. Considerato che all’epoca di queste due testimonianze il
fiume Santerno , unito al Senio, si trovava alveato oltre
Bagnacavallo, si può ipotizzare che il fiume anonimo, ricordato
nelle sopra citate testimonianze, fosse il Rasena.
Alla luce di quanto fino ad ora
esposto è possibile fare qualche ipotesi, probabilmente è accaduto
questo: durante il peggioramento climatico del XIII° secolo, le
acque torrentizie del Santerno si sono aperte un varco nella altura
naturale di San Prospero, conseguentemente il ramo che si univa al
Senio e che attraversava il territorio , si è estinto, prendendo
così il corso attuale.
Un documento del 1350 dimostra che in
zone non molto distanti erano contemporaneamente alveati sia il
Santerno che il Rasena.
Ultima annotazione riguardante i
tempi antichi: lo storico romano Plinio dice che il golfo Vatrenico,
un golfo che si trovava più o meno ove ora sfocia il Reno, era
formato da un fiume proveniente dall’imolese detto il Vatreno.
Molto probabilmente tale corso era
formato dalle acque del Santerno, del Rasena e del Senio.
SOLAROLO MERITA UNA
VISITA
Grazie al suo patrimonio
archeologico, artistico e culturale, Solarolo merita non meno di
altri comuni della provincia di Ravenna, di entrare nel Circuito
Turistico Provinciale.
AULA DIDATTICA ARCHEOLOGICA:
In eleganti vetrinette ed
accompagnati da pannelli illustrativi,( continuamente visitati da
scolaresche provenienti da ogni angolo della regione),sono esposti
reperti di epoca romana e preistorica.
Fra i reperti dell’età del bronzo
esposti, provenienti quasi tutti dall’area preistorica di via
Ordiere, si possono ammirare armi in bronzo, ossa finemente
lavorate, ceramica di vari tipi, ma in particolare alcuni frammenti
Micenei. La presenza di questa ultima ceramica sconvolge la storia
antica della zona, infatti si tratta degli unici frammenti trovati
in Romagna.
Interessanti i reperti di epoca
romana, degni di nota : un braccio (probalmente un Ex voto)
proveniente dal luogo ove era ubicato un santuario romano, un bollo
romano stranissimo ed unico(non se ne conoscono altri), ed una pietra
romana con impressa una croce, rinvenuta nei pressi dell’area ove
era ubicata la primitiva chiesetta solarolese.
MADONNA COL BAMBINO (SCULTURA DEL XV°
SECOLO )
Questa opera si trova esposta
permanentemente nella aula consigliare.
L’iniziale attribuzione a
Desiderio da Settignano, è stata di recente messa in discussione,
ma nonostante ciò è dagli studiosi considerata la piu bella
scultura del Rinascimento in Romagna.
SANTUARIO B.V. DELLA SALUTE.
In mezzo al verde della campagna a
circa un km dal centro cittadino si erge uno dei più famosi e
frequentati Santuari della Romagna, infatti,come dimostrato dal
numero di ex voto, (erano oltre 400, ora sono 250) è secondo solo al
santuario della Madonna del Monte di Cesena.
Dal 1731, inizio della venerazione
della sacra immagine, è in atto un continuo arrivo di pellegrini
provenienti anche da altre regioni.
QUADRO DELL’ASSUNTA DEL FOSCHI.
Nella chiesa arcipretale è possibile
ammirare la pregevole tela di questo pittore faentino datata 1522.
Sempre in detta chiesa vi è un bel Crocifisso quattrocentesco.
Opere di un certo interesse si
trovano pure nelle chiesi parrocchiali di Casanola, Felisio , San
Mauro Castel Nuovo e Gaiano. In questa ultima chiesa parrocchiale
merita di essere attentamente osservato il soffitto a cassettoni ,
con simboli religiosi, opera della pittrice solarolese prof Maria
Morini.
TESTIMONIANZE DI VIABILITA DI EPOCA
ROMANA.
Circolando anche in automobile ,
attraverso la campagna solarolese, è possibile rendersi conto che le
strade ancor oggi percorribili sono quelle costruite oltre 2000
anni fa dagli agrimensori romani. Se accompagnati da un socio della
locale sede Archeoclub d’Italia è possibile anche rendersi conto
della esistenza di numerosissime case romane ubicate con regolarità
nelle ancor ben visibili maglie centuriali.
RESTI DELLA ROCCA MANFREDIANA E MURA
DEL CASTELLO.
Una torre semidiroccata è tutto
quello che resta della stupenda Rocca Manfrediana, una rocca che come
grandezza, era seconda solo alla Sforzesca di Imola.
Sono ancora ben visibili le mura
Manfrediane che delimitavano e difendevano il castello di Solarolo,
residenza estiva dei signori di Faenza.
ATTIVITA CULTURALI.
Oltre alle quindicinali conferenze di
interesse storico, promosse dalla sede locale dell’Archeo Club
d’Italia , meritano di essere segnalate le numerose manifestazioni
che una attivissima Pro Loco organizza nel corso di ogni anno:
Sagra del Sabadò (prima domenica di Novembre): Sagra della Polenta
e Bisò (terza domenica di Gennaio) : Carnevale Solarolese (ultimo
sabato di Carnevale) : “Lom a Merz”(ultimo giorno di febbraio) :
Festa della Ascensione ( Cinque giorni di festa in onore alla B.V
della Salute): Oktoberfest Solarolese (Ultimo fine settimana del
mese di settembre con la attiva partecipazione dei cittadini di
Kirchheim am Ries, comune tedesco
gemellato con Solarolo).
Vengono pure indette altre
importanti iniziative: mercatini dell’antiquariato, mercatini dei
prodotti tipici di questa terra, esposizione di macchine agricole,
mostre, e concerti serali. Naturalmente non manca mai uno stand
gastronomico che permette , anche in caso di maltempo, di gustare le
specialità romagnole.
CHIESA ARCIPRETALE DI SANTA MARIA
ASSUNTA DI SOLAROLO.
STORIA ,
CONSACRAZIONE E DEDICAZIONE.
PRIMI RICORDI STORICI.
Il primo ricordo storico di questa chiesa , in antico
ubicata col suo cimitero fuori dalle mura in località”
Castellaccio fondo Tombe “ , non lontano dal Borgo, risale al
1179, infatti sarebbe ricordata in una bolla pontificia di Papa
Alessandro III, ma si tratta di un documento non da tutti gli
studiosi accettato.
Accettato da tutti invece il rogito
datato 1257 ove fra le varie chiese faentine viene ricordata anche
la chiesa di Santa Maria in Castro
Solaroli,.Vi è pure un documento del 1220
riguardante la vendita di terreni esistenti nei pressi della chiesa,
che conferma l’esistenza della stessa. Esiste pure un documento
che ricorda un prete Guirise di Solarolo, ma non è certo che si
tratti del rettore di questa chiesa.
In tutti i documenti ove viene
ricordata tale chiesa è detta Santa Maria in Castro Solaroli, con
l’aggiunta Plebati Panicali,cioè
che dipendeva alla pieve faentina di Sant’Andrea in Panicale,
l’attuale chiesa di Sant’Andrea sul Naviglio.
Nel 1341, detta chiesa fu trasferita dentro le mura,
al proposito abbiamo due date; nell’inventario Folicaldi è scritto
il giorno I8 settembre, per l’inventario Cantoni sarebbe invece il
3 aprile.
Nel 1636 questa chiesa diventa Arcipretale e come
tale viene fornita di fonte battesimale che sarà usato anche dalle
altre parrocchie solarolesi.
Altre notizie storiche che riguardano detta
chiesa: la campana più antica era datata 1474; l’anniversario
della dedicazione ricorre il 22 gennaio,nel 1688 fu quasi distrutta
dal terremoto, minata dai tedeschi il 1 aprile 1945, diventa un
cumulo di macerie,; la prima pietra della nuova chiesa fu posata
il 3 maggio 1953; quella del campanile fu posata invece nel
giorno dell’Ascensione del 1964, detto campanile fu inaugurato il
26 Settembre del 1965; nel 1981 furono elettrizzate le campane.
Fra i tanti avvenimenti che questa chiesa può
annoverare, non si può non ricordare quello accaduto il giorno
20,11, 1956, un avvenimento doloroso che molti solarolesi ancora
ricordano, e che lasciò profonda impressione in tutta la
popolazione: una bimba solarolese di appena sette anni, era nata il
16.4.1950, Mara Santandrea, aggrappandosi inavvertitamente alla
pila della Acqua Santa, , la fece precipitare e sfortunatamente fu da
questa investita in pieno petto, portata all’ospedale, dopo 5 ore,
a causa delle ferite riportate, mori, fra la comprensibile
costernazione dei suoi genitori.
Si trattò di un avvenimento funesto di assoluta
gravità, la pila, sicuramente , non era stata adeguatamente fissata
alla apposita colonna.
Abbiamo detto che il primo ricordo storico di questa
chiesa risale al 1179, ma vi sono buone ragioni per ritenere fondata
l’ipotesi che sia stata eretta in tempi antichissimi.
Dando uno sguardo all’antica situazione
idrografica del nostro territorio , ci si renderà conto della
necessità che in loco vi fosse un edificio di culto, provvisto di
fonte battesimale.
Dobbiamo sempre tener presente che, considerata
l’alta mortalità infantile di quel periodo, il fonte battesimale
doveva essere facilmente raggiungibile in ogni stagione per dare al
neonato la possibilità di essere battezzato prima della morte.
Fino almeno al 1154 il Santerno aveva un corso
diverso; proveniente dall’imolese, nei pressi della chiesa di
Castel Nuovo deviava a sinistra e dopo aver attraversato il nostro
territorio, si univa al Senio. Conseguentemente tre lati del nostro
territorio(Ovest, Nord, Est) erano delimitati da dei corsi d’acqua
che durante i periodi piovosi erano difficilmente guadabili.
Una domanda a questo punto è d’obbligo: le chiese
del solarolese a quali Pievi si rivolgevano per usufruire del fonte
battesimale senza dover attraversare un fiume? Purtroppo la
risposta è; nessuna! Infatti a parte la chiesa di Castel Nuovo che,
rimanendo oltre il Santerno, poteva comodamente servirsi della Pieve
di S. Prospero, tutte le altre comunità erano costrette ad
attraversare un corso d'acqua. Impossibile era quindi servirsi
delle Pievi di S. Stefano in Barbiano, Sant’ Andrea in Panicale, e
S. Pier Laguna; impensabile poi il ricorso verso il lato Sud, dal
momento che fino alla via Emilia non vi erano Pievi.
Logica vuole perciò che dal VI secolo, periodo
eccezionalmente piovoso, alla seconda metà del XII secolo, ultimo
ricordo documentario dell’attraversamento del Santerno sul nostro
territorio, vi fosse in loco una chiesa col fonte battesimale.
Purtroppo dimostrarlo non è facile. Vediamo dunque, confortati
dalle antiche cronache e dalle scoperte archeologiche, se vi sono
tracce di una Pieve, poiché, come abbiamo visto, vi sono buone
ragioni per considerarla indispensabile.
Il già ricordato Gregorio Manzoni, al riguardo di
questa primitiva chiesetta, dice che per tradizione era antichissima
e che sarebbe stata edificata addirittura dal Protovescovo di
Ravenna Sant’Apollinare; aggiunge che per lui è solo una
leggenda , ma precisa che ciò che restava di questa chiesa era
formato da pietre antichissime. Da una cronaca del 18°secolo, opera
dello Zudoli, si apprende che notizie riguardanti questa
antichissima chiesetta si trovavano, al suo tempo , in un
antichissimo libro di carta pecora custodito nell’archivio
Arcivescovile di Ravenna. Giunti a questo punto, si può solo dire
che per tradizione era una chiesa “antichissima”e che non è
possibile aggiungere nient’altro.
Se nonchè, al seguito di una profonda aratura
effettuata non lontano dall’area ove era ubicata la chiesetta, è
venuta alla luce una pietra romana, rozzamente arrotondata , dove
ben visibile è stata incisa una croce. Questo rinvenimento riapre
l’argomento e ci dà l’opportunità di formulare suggestive
ipotesi. Si tratta di una croce detta a “patente”, cioè con la
caratteristica che i bracci verso l’esterno si allargano
sensibilmente. Dagli studiosi è concordemente ritenuta “orientale”.
La più antica croce di questo tipo si trova
attualmente custodita nel museo Arcivescovile di Ravenna, ma
originariamente coronava il tetto della Basilica di San Vitale
quindi è databile al VI secolo. Per trovarne un esemplare più
antico occorre andare nella chiesa romana di S.Pudenziana, questa
ultima infatti risale al V secolo.
Il caso vuole che una croce come la nostra, cioè
incisa sopra ad una pietra romana e datata al IV secolo, faccia
bella mostra di sé al museo parigino del Louvre nella sezione
dedicata alle antichità cristiane. Questo tipo di croce possiede
anche una interessante particolarità: è dedicata alla Madonna.
Se alla già accennata impellente necessità di una
pieve nel nostro territorio, aggiungiamo le antiche tradizioni che
vogliono tale chiesa “antichissima” e da tempi immemorabili
dedicata a Maria, il quadro che ne esce non può non essere
affermativo.
L’esistenza effettiva di una antichissima pieve
nel nostro territorio, da semplice ipotesi, sta diventando un fatto
altamente probabile. Nonostante i contributi al proposito
riportati, non mancano comunque alcune perplessità che occorre
superare: una plausibile ragione che spieghi il perché o il motivo
dell’esistenza dalle nostre parti di una croce orientale, e come
spiegare il totale silenzio dei documenti antichi al riguardo
questa presumibile pieve.
La prima perplessità è facilmente superabile:
l’influenza orientale dei primi evangelizzatori in Romagna è un
fatto da tutti accettata: orientali sono i primi undici Vescovi di
Classe, tantissime antiche chiese romagnole sono state dedicate a
santi orientali; a Sant’Apollinare, a San Demetrio, a
Sant’Eufemia, a San Poliuto, a Sant’ Anastasio(che poi ha dato il
nome a sant’Eustachio di Mordano) e l’elenco potrebbe continuare.
Riguardo alla seconda perplessità, cioè il totale
silenzio delle fonti, è doveroso prendere atto che occorre superare
forti ostacoli, ma non sufficienti per relegare l’ipotesi nel
mondo delle favole.
Vi sono delle pievi; Santa Maria in Curilina,
S.Joannis in Fontibus, Santa Maria in Barni, San Paolo ed altre, che
pur essendo più volte ricordate nei documenti come facenti parte
della diocesi faentina ed imolese, non sono state con sicurezza
localizzate; ebbene non si può escludere, considerato che in altri
casi vi è stato un cambiamento di titolare, che una di queste fosse
proprio la nostra. Ammesso pure che nessuna di queste lo fosse,
rimarrebbe una altra possibilità: non sarebbe la prima volta che una
chiesa da pieve sia stata successivamente declassata a semplice
cappella. Un esempio lo abbiamo vicino a noi; grazie ai documenti
del 767 e del 891, sappiamo con sicurezza che l’attuale chiesa
di Villa San Martino era in quei tempi pieve con una discreta
giuridizione, mentre invece dopo al 1000 risulta essere una semplice
parrocchia dipendente alla pieve di Sant’Agata. Se per caso i suoi
primi documenti fossero andati perduti, nessuno avrebbe pensato che
in antico questa chiesa avesse avuto il fonte battesimale.
Naturalmente il problema riguardante una pieve solarolese rimane
aperto.
SUA CONSACRAZIONE
Cosa è una consacrazione: dopo che una chiesa è
stata eretta o quando, per una qualsiasi ragione rimane chiusa al
culto, per aprirla ai fedeli occorre consacrarla o riconsacrarla.
In parole povere si tratta molto di più di una speciale
benedizione che fra l’altro dà alla chiesa alcuni grandi
privilegi: uno è il diritto di asilo, e cioè chiunque chiede asilo
lo riceve, l’altro è la possibilità di somministrare i
sacramenti.
Vediamo quante volte la nostra chiesa è stata
consacrata: come abbiamo detto, in antico, questa chiesa era ubicata
fuori dalla mura, perciò quando fu in tal luogo costruita, anche
se le fonti al riguardo tacciono, può essere stata consacrata.
Quando nel 1341 fu edificata dentro le mura, anche se ancora una
volta i documenti tacciono, molto probabilmente fu di nuovo
consacrata.
Il primo ricordo storico di una sua consacrazione
risale al 1457( come da notizia riportata dal frate cappuccino
Gregorio Manzoni, nella sua storia di Solarolo scritta nei primi
decenni del 1700). Non è chiaro il motivo per cui si rese
necessaria tale consacrazione, non si può neanche escludere che si
trattasse della prima consacrazione, (se non fatta in occasione del
trasferimento nel luogo ove ora si trova), non sarebbe la prima volta
che questo accade, infatti, come si può riscontrare per altre
chiese, subito viene benedetta e successivamente consacrata. Lucio
Donati è del parere che la consacrazione sopra accennata, sia
avvenuta dopo che fu costruito il campanile.
Una successiva consacrazione avvenne
nel 1610, la notizia è ricavata dal libro Platea, scritto dallo
Zudoli, che dice “dopo che fu
polluta”;.polluta viene da polluzione,
perciò significa che la chiesa fu profanata. Non si sa cosa
effettivamente sia accaduto; probabilmente si trattò di un episodio
criminoso o scandaloso. L’ultima consacrazione è avvenuta il 27
novembre del 1955.
SUA DEDICAZIONE
E veniamo alla Assunta , cioè al nome della titolare
di questa chiesa.
Anzitutto una curiosità: nella diocesi faentina
oltre alla nostra vi sono altre 6 chiese con tale dedicazione,
Bizzuno, Mezzeno, Marzeno, Cassanigo, Pideura e Traversara.
Il titolo della Assunta è un titolo molto ambito,
infatti è patrona di vaste aree geografiche; America Meridionale,
Africa orientale ed Africa Meridionale; di nazioni quali Francia,
Giamaica, Paraguay, Sudafrica, Nuova Caledonia e Amazzonia; di
capoluoghi di provincia italiani: Bolzano, Terni, Catanzaro, Trapani;
di centinaia di comuni italiani ed esteri, di migliaia di parrocchie,
di centinaia di migliaia di cappelle ed altari, è pure patrona
dell’Azione Cattolica Italiana e dei tintori.
Al riguardo di Patrono e dedicazione, Solarolo si
trova in una situazione anomala; mentre in genere il titolare della
chiesa è anche il Patrono del territorio, nel nostro caso la
titolare è l’Assunta ma il patrono è San Sebastiano.
Vediamo se il titolo della Assunta è sempre stato
il titolo della nostra chiesa o se è stato aggiunto successivamente.
Anzitutto occorre precisare alcune cose: quando una
chiesa viene consacrata per la prima volta, occorre, in tale
occasione, dare il nome del titolare, che può essere un Santo, un
Martire, un Apostolo, un Beato; può essere Cristo o un suo mistero
liturgicamente approvato, (Redentore, Santissimo Sacramento ecc), può
essere Maria oppure i misteri riguardanti la sua figura(Annunziata,
Immacolata Concezione, Natività, o appunto l’Assunta).
Ebbene, considerato che le chiese dedicate alla
Madonna erano in antico diventate tantissime, si dovette, per non
confonderle, aggiungere successivamente un mistero, così fu fatto
per l’Assunta, ed altrettanto fu fatto per altre due chiese
parrocchiali di Solarolo: quella di Felisio diventò la Natività di
Maria, quella di Casanola Santa Maria Nascente.
Da una attenta ricerca storica riguardo alla
dedicazione delle chiese mariane risulta che se una chiesa è
dall’inizio dedicata solo ad un mistero mariano, con quel mistero e
solo con quello è nominata nei primi documenti. Per esempio, la
chiesa ora museo: il suo primo nome che compare nei documenti è
l’Annunziata e non Santa Maria. La prima chiesa italiana dedicata
all’Assunta è una chiesa di Genova, ebbene nel primo documento
che la ricorda, datato 855, è detta semplicemente l’Assunta.
Al riguardo della dedicazione della
nostra chiesa non vi è molta chiarezza, infatti i pareri degli
studiosi non concordano. Vediamoli: il già citato Gregorio
Manzoni, pur non portando documenti che lo dimostrino, lascia
intendere che questa chiesa è da sempre dedicata alla Assunta;
dello stesso parere è un frate predicatore che nel 1742,
predicando a Solarolo, dice chiaramente:”beati
voi solarolesi che avete la vostra chiesa da sempre dedicata alla
Assunta”, dello stesso parere sono pure i
vari Arcipreti che hanno retto questa chiesa, ma purtroppo, nessuno
di questi porta documenti che lo confermino. Buon ultimo Don
Foschini: questi non asserisce che la chiesa è da sempre dedicata
all'Assunta, ma , ad un documento del quindicesimo secolo , aggiunge
di sua mano la voce Assunta, come se tale dedicazione fosse una
cosa scontata.
Vediamo al riguardo cosa dicono i documenti che ho
trovato.
Il primo documento sicuro ,attestante
che questa chiesa è dedicata alla Assunta , risale al 1527, quando
rettore era don Vassalotti; pochi anni dopo, cioè nel 1543,
l’incaricato del vescovo faentino Rodolfo Pio, quando visita la
nostra chiesa, dice espressamente “l’Assunta”.
Occorre comunque tener presente che nel 1522,
commissionato dal rettore Don Antonio Padovani, il quadro
dell’Assunta del pittore faentino Sigismondo Foschi viene
collocato sull’altare maggiore di detta chiesa; questo può forse
significare che la chiesa aveva già assunto tale titolo.
La ragione per cui da tempo si crede che l’Assunta
sia sempre stata la titolare, può essere spiegata con questa
curiosità: da tempo immemorabile la festa dell’Assunta è
considerata a Solarolo come la festa della titolare della chiesa,.
Ebbene, un decreto Pontificio stabilisce che se una chiesa è
dedicata a Santa Maria, senza alcun titolo aggiuntivo, la festa
della titolare è da considerarsi dell’Assunta e perciò
festeggiata il 15 agosto . Altrettanto dicasi se una chiesa è
dedicata a Cristo, senza l’aggiunta di alcun mistero particolare,
la festa del titolare si deve fare nel giorno della Trasfigurazione,
e cioè il 6 agosto. Al seguito di queste considerazioni si può dire
con buona probabilità che , essendo il primo ricordo di questa
chiesa “Santa Maria”, il titolo “Assunta” vi è stato
aggiunto successivamente.
E veniamo all’Assunta come festa: è una festa
antichissima; nel 590 l’imperatore d’Oriente Maurizio impone a
tutte le chiese di festeggiare tale festa; nel 620 il vescovo di
Tessalonica Giovanni in una sua omelia dice che è bene festeggiare
tale festa in quanto la festeggiavano anche gli Apostoli. Nel 667
anche in occidente viene imposto di festeggiarla; in quei primi
tempi era detta della Dormizione; senza alcun dubbio è la più
importante festa mariana.
Già nel sesto secolo compaiono delle
rappresentazioni dell’Assunta; diversamente da ora, si vedeva
Maria salire in cielo entro una mandorla.
Molto importante è il valore liturgico di questa
festa: in parole povere significa che Maria è salita in cielo
anima e corpo.
Occorre precisare che i quattro Vangeli non
parlano di come Maria abbia terminato la sua vita terrena, molto ne
parlano invece alcuni vangeli Apocrifi; questi ci dicono che Maria
in punto di morte viene miracolosamente raggiunta al suo
capezzale dagli Apostoli, che erano sparsi per il mondo a
predicare. Sempre dagli apocrifi si apprende che all’età di 62
anni, e cioè 12 anni dopo la morte del Salvatore, Maria muore,
pochi giorni dopo sarebbe avvenuta la sua resurrezione.
Cotesti Vangeli, ed il loro contenuto, sono tenuti in
grande considerazione dalla chiesa greca; infatti fra le tante
feste mariane viene festeggiata anche quella della Resurrezione di
Maria.
Nella chiesa Occidentale, riguardo alla morte di
Maria, non è stata presa una decisione definitiva, nel Dogma di
questo avvenimento se ne parla poco, infatti all’epoca di tale
Dogma vi erano autorevoli pareri di mortalisti e di immortalisti.
Indipendentemente da ciò che non è stato scritto
nei Vangeli Canonici, occorre tener presente che Maria , dal
momento che ha dato alla luce Gesù, non poteva essere una donna come
tutte le altre, cioè doveva essere nata senza peccato originale:
giustamente è stato proclamato il Dogma dell’Immacolata
Concezione e proprio per questo non doveva subire la corruzione del
sepolcro.
Forte di questi principi e sentito il qualificato
parere di 113 Cardinali, di 18 Patriarchi e di 2505 Vescovi, il
1-11-1950, l’allor Papa Pio XII proclamò solennemente il Dogma
dell’Assunta.
LA SPEDIZIONE DEGLI ARGONATI E LA CONQUISTA DEL
VELLO D’ORO
Con la nave Argo, dal nome della città tessalica da
dove partì la spedizione, un gruppo di coraggiosi giovani greci
salpano verso la Colchide , l’attuale Georgia, scopo: la
conquista del vello d’oro.
Non
è chiaro cosa in antico si intendesse per “Vello
d’oro”; per il mito era la pelle
dell’ariete alato che Zeuz avrebbe mandato per salvare Frisso ed
Elle da un sacrificio. Dagli antichi era generalmente considerato un
simbolo di dignità regale e di sovranità. Per Isodoro ed Igino era
la pelle del montone nato da Nettuno, per Tzetze ed Apollodoro era
invece il montone di Mercurio; aggiunge Simonide che era di color
porpureo, per Giovenale era d’oro, altrettanto per Pindaro. Che
questo montone avesse fatto il viaggio dalla Grecia alla Colchide
volando per aria, lo dicono Apollodoro, Luciano, Nonno, Filostrato
e Sant’Agostino. Che ci sia andato invece a nuoto ne sono convinti
Manilio ed Ovidio. Per la stragrande maggioranza degli antichi
scrittori era una “pelle”,
per Diodoro Siculo confermando Palefato, era invece il tesoriere
di Atamante che portava con sé una statua d’oro; per Seneca
era un libro ove era scritto come tramutare in oro ogni metallo;
per Eustazio era l’oro che i Colchi avevano raccolto con le
pelli di animali, per Newton lo scopo della spedizione Argonautica
non era un “vello” ma il tentativo di convincere le popolazioni
del Mar Nero a ribellarsi allo strapotere degli Egiziani.
Per arrivare a
destinazione , gli Argonauti fanno tappa a Lemmo, Samotracia,
passano il Bosforo, costeggiano le rive orientali del Mar Nero e
dopo alterne vicende conquistano il “vello d’oro”. Questo ,
salvo pochissime eccezioni, è il percorso da loro tenuto nel
viaggio di andata che ci hanno tramandato gli antichi scrittori. Ben
diverse sono invece le testimonianze antiche al riguardo del
viaggio di ritorno. Per Apollonio Rodio e per Pompeo Trogo sarebbe
il fiume Danubio, fiume Risano, Mare Adriatico, fiume Po, fiume
Rodano, mar Tirreno, Tessaglia.
Per Timeo: fiume Don,
mar Baltico, oceano Indiano, mar Rosso, mar Mediterraneo, Tessaglia.
Per Euripide e Callimaco, il tragitto del ritorno sarebbe stato
identico a quello dell’andata. Da una delle più antiche leggende
che descrivono questo viaggio, la cosi detta “Leggenda Minia”,
apprendiamo , diversamente da quasi tutti gli altri commentatori
antichi, che l’itinerario dell’andata non avrebbe interessato le
sponde del mar Nero, ma le sponde dell’Adriatico, conseguentemente
gli unici riferimenti geografici concordanti frà i vari racconti
sarebbero il Po e le isole Elettridi, ma con una sostanziale
differenza: per la “Minia” riguardano il viaggio di andata, per
tutti glli altri racconti riguardano solo il viaggio del ritorno.
Per cotesta leggenda , la destinazione degli Argonauti non era la
Colchide, ma la Colicaria, zona della bassa mantovana ricordata
pure dall’itinerario Antonini.
Sicuramente il mito
argonautico è il più conosciuto dell’antichità. Stando a
quello che ci ha tramandato il geografo greco Strabone, già al
tempo di Omero, perciò VIII-IX secolo a.C.si potevano osservare
statue erette in onore di Giasone e Medea, cioè l’eroe e l’eroina
della spedizione argonautica. La prima opera letteraria ove furono
descritte le gesta di questi eroi greci risale al 596 a.C. autore
Epidemide Cretese, seguita pochi anni dopo , 550 a.C. ,da quella di
un certo Onomacrito.
La più famosa opera ,
quella di Apollonio Rodio, vede la luce all’inizio del III° secolo
a.C.,spesso citata è anche l’opera che Valerio Flacco scrisse nel
73 d.C.
Il mito argonautico ha
favorito la fondazione di ordini cavallereschi e di accademie. Uno
degli ordini cavallereschi italiani più famoso fu quello fondato da
Carlo III di Napoli nel 1382. Fra le accademie italiane le più
famose furono quelle di Casale Monferrato fondata nel 1540, Mantova
1547, Bologna 1542, Ancona 1649, Venezia 1680, Palermo 1731.
Molto
si è discusso sulla grandezza del “vello d’oro”; per
Apollonio “eguagliava il cuoio di una
giuvenca”. In genere è raffigurato
molto grande, come per esempio nel quadro che nel 1785 si trovava
nella biblioteca del Re di Prussia, in tal quadro si vede Giasone che
per meglio prendere il “vello”, se lo arrotola su un braccio.
Molto più piccolo è
invece quello che portavano i discendenti di Carlo V , infatti il
privilegio non era il portare un “vello”, ma un “velo”, da
qui l’equivoco, riguardante l’ordine del”Toson D’oro”.
In verità questo ordine , istituito dal duca Filippo di Borgogna,
che fra l’altro era diventato il più ambito dalle dinastie
europee, era nato all’insegna di un “tosone”, ma non da quello
argonautico, ma bensi dalla pelle di un montone , più volte
ricordato nella Bibbia.
SOLAROLO ED I SUOI
CONFINI.
Solarolo
è sempre stato ed è tutt’ora “terra
di confine”, infatti vi confinano o
vi hanno confinato : l’ager faventino e l’ager imolese, il
contado faentino e quello imolese, la diocesi faentina e la diocesi
imolese, lo stato pontificio ed il ducato estense e probabilmente un
confine fra Bizantini e Longobardi.
Alle enormi difficoltà
che si incontrano nel tentativo di localizzare un qualsiasi antico
confine, occorre aggiungere quelle create dal fiume Santerno che
con i suoi continui cambiamenti di percorso ha più volte sconvolto
il territorio, conseguentemente questo mio contributo non può
portare niente di definitivo, tutto o quasi tutto rimane irrisolto.
Vediano questi vari
confini alla luce dei pareri degli studiosi che si sono interessati
a tali argomenti e delle ricerche che ho effettuato.
CONFINE AGER FAVENTINO
E CORNELIENSE.
Per il faentino Medri
doveva essere l’attuale corso del Santerno o addirittura più ad
Ovest. Per l’imolese Cortini doveva essere invece il fiume
Senio.Un altro Imolese, il Baldisserri, dice che tale confine romano
doveva essere segnato dalla antichissima strada via Longa.
Personalmente, per
varie ragioni, concordo con quest’ultimo. Cotesta strada era un
quintario e come è noto il confine di ogni ager doveva essere
segnato da questo tipo di strada; fra l’altro partendo dalla via
del porto, cardine massimo faentino, il conteggio dei quintari
risulta esatto, come pure risulta esatto il conteggio dei quintari
partendo dal cardine massimo Imolese, cioè la via Selice, infatti il
confine imolese verso Solarolo corrisponde al quintario ora via
Pilastrino. Per essere ancor più chiari: fra i due quintari di
confine restava un tratto di terreno, come fosse “terra di
nessuno”.
Altre ragioni che fanno ritenere la via Longa il
confine fra i due Ager: in detta via vi era la località Limitealto,
cioè un limite; inoltre il Rossini, nel corso della raccolta di
iscrizioni romane trovate in questi territori, ne segnala una trovata
in località Villa San Martino, (vicinissima alla via Longa) e la
dice Faentina.
CONFINE DEL CONTADO
FAENTINO CON IL CONTADO IMOLESE:
Dalla
lettura del “Quaternus fumantorum
comitatus imolae” del 1265 e della
“Descriptiio Romandiolae”del
1371, si può dedurre che questo confine fosse segnato dal fiume
Senio.
Infatti nel già citato
documento del 1265, sono segnate le ville sicuramente imolesi
esistenti in territorio solarolese, Solarolo, Gaiano Casanola, e
giustamente non è segnato Felisio che trovandosi a quei tempi oltre
il fiume Senio, faceva parte del contado faentino come ben dimostrato
anche dalla Descriptio Romandiolae.
La localizzazione di
questo confine, almeno nel periodo di tali documenti, può
considerarsi quasi certo. Occorre tener presente che in tale epoca
i Manfredi di Faenza, diventando i padroni di Solarolo, creano le
premesse per fare arretrare questo confine a danno del contado
imolese.
CONFINE DELLA DIOCESI
FAENTINA CON LA DIOCESI IMOLESE.
Attualmente il confine
è il seguente: dal confine con Castel Bolognese; segue il corso del
canale dei mulini, abbandona tale corso per un breve tratto in
corrispondenza del centro abitato di Solarolo, seguendo un piccolo
fossato; passato l’abitato, segue di nuovo il corso del canale
fino al confine con Barbiano, arrivato a tale confine, prosegue fino
al Senio entrando all’interno del territorio di Cotignola, infatti
alcune case di questo comune appartengono alla parrocchia solarolese
di Felisio.
Non è possibile sapere
a quale epoca appartenga tale confine. Considerato che per un lungo
tratto segue il corso del canale, fa pensare che sia stato segnato
dopo che fu tracciato il corso di detto canale, perciò non prima del
1446, infatti in una carta del 1600 il confine è come l’attuale.
In
una carta riportata dal Cortini, senza data, il confine è il fiume
Senio, stranamente però, in tale carta, non sono segnate le
parrocchie di Gaiano e Casanola, che si trovano ad Ovest del Senio,
sono invece segnate Felisio e Solarolo. Sempre opera di questo
ultimo autore, vi è un elenco di chiese della diocesi imolese, dove
non riporta Felisio, Gaiano e Casanola ma cita Solarolo e Castel
Nuovo, ciò significa che per questo autore, il confine diocesano
deve aver subito un cambiamento e che si veniva a trovare
immediatamente ad Est di Solarolo, come risulta pure segnalato nella
piantina allegata alla “Rationes
Decimarum”.
Il primo ricordo sicuro
che testimoni l’appartenenza della chiesa di Solarolo alla diocesi
faentina risale al 1257, mentre invece Gaiano risulta in diocesi
faentina già nel 1022.
Senza alcun dubbio i
confini diocesani sono quelli che nel corso dei secoli hanno subito
più cambiamenti. I documenti che seguono confermano le continue
variazioni.
740: Liutprando dona
alla chiesa faentina terre ed alcune pievi fra cui quella di S.
Stefano di Barbiano, questo documento ci dice che prima di quella
data tali pievi potevano essere di una altra diocesi, e che il
confine diocesano , al seguito di quella donazione, non poteva
essere il Senio.
1151: Eugenio III
conferma al vescovo di Imola la Cappella di Cunio, che nel 1143 era
in diocesi faentina.
1339: le chiesi di
Solarolo , Felisio, Casanola e Gaiano si trovano sotto la pieve di
S. Pietro in Laguna, questo documento ci dice che vi sono state anche
delle variazioni plebane e che queste chiese, pur trovandosi in
diocesi di Faenza, si trovavano contemporaneamente anche in
contado imolese. Vediamo altri possibili confini diocesani.
Il Santerno: il corso
attuale non può esserlo in quanto la chiesa di Castel Nuovo dal
1187 risulta ininterrottamente in diocesi imolese.
Corso
antico di questo fiume: come è noto fino al 1154 questo fiume
attraversava il territorio solarolese e nei pressi di San Severo si
univa al Senio. Purtroppo non si conosce esattamente il suo
percorso: se come dice il Veggiani passava a Nord di Solarolo, la
chiesa avrebbe dovuto trovarsi in diocesi faentina, se invece il
fiume passava a Sud del centro abitato, la chiesa di Santa
Maria in Castro Solaroli, fino al
1154 , ultimo ricordo del Santerno unito al Senio, avrebbe fatto
parte della diocesi imolese, come un documento del 993 farebbe
pensare.
Rio
Fantino: prima che fosse costruito il canale dei mulini, il percorso
di cotesto rio poteva segnare il confine diocesano. Veramente questo
avrebbe significato che la chiesa di San Mauro si sarebbe trovata,
diversamente da ora, in diocesi faentina, ma è anche vero che
essendo questa chiesa un monastero camandolese, non era obbligata a
dover dipendere da un vescovo,infatti fino al 1463 dipendeva dal
monastero di S. Eustachio di Imola e nel 1513 fu sottomesso al
monastero di S. Ippolito di Faenza. Perciò per un certo periodo,
dopo il cambiamento del percorso del fiume Santerno, questo può
essere stato il confine diocesano. Occorre tener presente che tale
rio era detto”fantino”.
Come si può vedere al riguardo del confine diocesano , regna la
massima incertezza.
CONFINE TRA STATO PONTIFICIO ED IL DUCATO ESTENSE.
In una relazione
diocesana faentina del 1774, vi è uno specchietto ove è segnata
la popolazione di Solarolo, ebbene nel territorio della chiesa
arcipretale vi sono 6 case con 26 abitanti facenti parte della
legazione di Ferrara. In tale delegazione vi erano pure dieci case
con 56 abitanti della parrocchia di Felisio. Grazie a questi dati è
possibile risalire facilmente alla ubicazione di detto confine.
CONFINE FRA
LONGOBARDI E BIZANTINI.
A
circa metà strada fra Solarolo e Bagnara vi è una anonima
torretta che, non essendo col suo vero nome ricordata da nessun
documento, abbiamo chiamata “torretta
di via Ordiere e si trova vicinissima
al confine dei due comuni.
Considerato
che, come abbiamo detto, il territorio solarolese è stato
interessato da molti confini, non si può escludere che anche questa
torretta sia
servita a tale scopo.
Vuole la tradizione che
in antico di queste torrette ve ne fossero altre due nella stessa
linea e che conseguentemente segnassero un confine. Ebbene uno
studioso imolese, il Padovani ha recentemente ipotizzato che nella
zona delle tre torrette vi fosse un confine fra Bizantini e
Longobardi.
Il
caso vuole che seppur per ragioni diverse, anche un altro studioso,
il Pasquali, abbia ipotizzato nella stessa zona un confine che
riguardava la famosa “Forest Magnum”
che nel 740 Liutprando avrebbe donato alla chiesa faentina, a
riprova di ciò, un tratto dei confini riportati nella cartina
allegata, corrisponde esattamente alla linea che formavano le tre
torrette. Non si può comunque escludere che tale confine fosse
stato segnato dal passaggio del fiume Santerno, che come abbiamo
detto ha più volte cambiato percorso.
Una ultima interessante
constatazione: lunghi tratti dei confini di Solarolo con gli altri
comuni, sono segnati da dei quintari,cioè la quinta strada romana,
un problema che merita di essere approfondito.
SANTI
VENERATI NEL SOLAROLESE.
7 sono le chiese
parrocchiali in territorio solarolese: Arcipretale, Felisio Gaiano
Casanola , San Mauro, Castel Nuovo, e per un certo periodo lo è
stata anche la chiesa di San Cristoforo.
Queste chiese
dipendono tuttora da due vescovadi: Solarolo, Felisio ,Gaiano e
Casanola, a quello di Faenza, San Mauro, Castel Nuovo e San
Cristoforo a quello di Imola.
Oltre a queste, sono
ricordate, alcune esistenti altre scomparse, altre chiese o semplici
cellette:
Rosario,( una dentro
alle mura)ed un’altra in Gaiano,; San Sebastiano (lungo il Canale),
Annunziata(dentro alle mura), Madonna delle Grazie (una dentro le
mura, una in Gaiano ed una nei confini con Barbiano, (celletta
bruciata) , Santuario Madonna della Salute, Madonna del Carmine (via
San Bartolo), Madonna del Tempio(via Felisio), Madonna di Loreto
(via Sganga), Madonna della Salda (Castel Nuovo), S.Maria Maddalena
(podere Folli in San Mauro), Madonna della Visitazione (nella Rocca),
S.Maria in Donegallia ,San Bartolomeo (via San Bartolo), S. Antonio
Abate (una in Casanola ed una in via Lunga), S.Antonio da Padova(via
san Bartolo), San Marco (dentro le Mura), San Biagio (in Casanola),
Santa Croce (una in Felisio ed una a Castel Nuovo), Sant’ Antonio,
senza altra indicazione, (in Felisio), Celletta San Mauro (San
Mauro), San Vittore (Ex Celletta Biondelli), Santa Maria (la
primitiva chiesa di Solarolo).
ALTARI:
In CHIESA ARCIPRETALE: Sant’ Antonio da Padova
(due), S.Corpo di Cristo, S.Lucia, S.Savino, S. Francesco di
Assisi, S: Sebastiano( con Reliquia), S. Filippo e Giacomo, S.Nome di
Cristo, S. Ambrogio, Transito di San Giuseppe, S. Sacramento, S.
Biagio, Pio Suffragio, e due alla Madonna.
CHIESA DEL ROSARIO: Tre
alla B.V. S.Pietro, S.Biagio, S.Paolo, S. Lazzaro, S.Apollonia,
S.Ambrogio e nicchie con S.Domenico, S.Vincenzo, S.Rocco e
S.Sebastiano.
CHIESA DELLA
ANNUNZIATA:B.V, S.Biagio, SS Crocifisso.
CHIESA DI SAN
SEBASTIANO:B.V, S,Carlo, S.Sebastiano.
CHIESA DI SAN MAURO:B.V,
S.Antonio abate, S.Giorgio, S.Pietro e Paolo, S.Lorenzo.
CHIESA DI CASTEL
NUOVO:S.Antonio da Padova, S.Sebastiano, S.Macario, B.V.
CHIESA DI GAIANO:B.V,
S. Biagio, S.Eurosia, .
CHIESA DI CASANOLA:
B.V, S.Biagio.
SANTUARIO MADONNA DELLA
SALUTE: B.V, S.Teresa, S. Andrea Avellino , San Francesco di Assisi,
Sacro Cuore.
CHIESA DI FELISIO: due
alla B.V, SS.Crocifisso.
PATRONI:San Sebastiano,
San Rocco e Madonna della Salute.
ORDINI RELIGIOSI:
Serviti(chiesa di San Sebastiano), Camaldolesi (San Mauro), Terziari
Francescani (Santuario Madonna della Salute).
La chiesa di Solarolo
può vantare due VESCOVI ; un Antonio da Solarolo(1417) e Francesco
Baldassarri (Vescovo di Imola) , e due VENERABILI; Don Filippo
Scardavi e Don Martino Foschi)
Vi sono a Solarolo due
opere d’arte religiosa di un certo interesse: l’Assunta del
Foschi e la Madonna col Bambino attribuita da alcuni a Desiderio
da Settignano.
STORIA DELLA
FRUSTA(Gli Sciucaren)
Anzitutto una curiosità, il “ciocco” avviene in
quanto facendo roteare la frusta, il punto terminale supera il muro
del suono, cioè oltre 1200 km orari.
Il primo ricordo
storico di una frusta,( per frusta si deve intendere uno strumento
formato da un manico molto flessibile con attaccato una corda
nodosa, alla cui estremità viene aggiunto uno spago sottile, il
cosi detto s’ciocchino che è poi quello che produce lo
s’ciocco),risale all’epoca di Troia(circa 3300 anni fa), infatti
il via ai “Ludus Troiae”, gare di corsa con carri e cavalli,
veniva dato con un colpo di frusta.
Le tracce sicure di un
manico attorcigliato ove era attaccato una fune, trovato in una tomba
gallica del IV secolo a.C, fa pensare che anche a quei tempi fosse
molto diffuso l’uso della frusta. Di tale usanza è rimasto un
ricordo nella toponomastica, in Francia, luogo di origine di tali
tribù, vi è la cittadina di Parpignan (Perpignano), ebbene
“parpignan” è anche il nome romagnolo del manico della frusta.
Pure i romani usavano
la frusta per fare qualche ciocco, infatti se ne servivano per dare
il via alle gare dei cavalli e carri che , non a caso erano pure
dette “ludus Troiae”, con un colpo di frusta.
Per trovare un ricordo
storico di uso della frusta per fare numerosi ciocchi, occorre
risalire indietro di alcuni secoli: nel XVII secolo le coste
romagnole furono invase dagli Uscocchi, predoni provenienti dalla
Dalmazia(Iugoslavia); questi , come si apprende da antiche cronache
ravennati, su veloci cavalli e potenti ciocchi di frusta,
terrorizzarono le popolazioni rivierasche. Nonostante che questi
facessero s’cioccare la frusta per usi bellici, possono essere
anche loro definiti degli S’ciucaren.
Successivamente questa
usanza fu portata avanti dai birocciai, questi durante i loro lunghi
viaggi, facevano s’cioccare la frusta per divertimento o per
segnalare che stavano rincasando.
Risulta che molti
birocciai accompagnavano con i ciocchi i passi dei cavalli. Dalle
sfide fra amici si passò a vere e proprie sfilate competitive;
forse è questa la ragione per cui in Romagna, più che altrove,
questa usanza si è perfezionata.
I s’ciucaren
romagnoli portano avanti fedelmente questa usanza, con la sola
differenza che con gli s’ciocchi non si accompagnano i passi dei
cavalli ma le note musicali.
BREVI DI CRONACA.
UN ERETICO SOLAROLESE.
La “febbre ereticale”
che sconvolse l’Europa nel corso del XVI° secolo, contagiò anche
il nostro piccolo centro. Pecora nera della diocesi faentina fu un
frate servita solarolese, un certo Gianbattista. Il cardinale
Cervini, che poi diventò Papa col nome di Marcello II, chiamava
questo nostro concittadino, ”l’architetto di tutte le
malignità”.
Non si sa che fine
abbia fatto, ma considerato “l’aria che tirava”, ben
difficilmente questo frate morì di vecchiaia.
IL PASSATORE A SOLAROLO.
Come per quasi tutti i comuni della Romagna, anche
Solarolo fù “teatro” delle gesta del Passatore. Fra le sicure
vittime del Pelloni e della sua banda vi fu anche un possidente
solarolese Antonio Rampi, bottino 3000 scudi.
Risulta che facevano
parte di detta banda anche due solarolesi: Casadio Pietro ed
Almerighi Sante, come pure risulta che questi ricevevano alloggio in
tre case solarolesi: “Calchira”, “Grossi” e “Clementi”.
LA GALLERIA SOTTERANEA DI CATERINA SFORZA.
Fra le gesta leggendarie attribuite a Caterina
Sforza, vengono ricordate le varie gallerie sotterranee che questa
avrebbe fatto costruire in quasi tutti i comuni ove lei aveva
dominio. A parere di uno storico faentino, una di queste gallerie
collegava il castello di Solarolo con quello di Bagnara, entro questa
la Caterina avrebbe più volte incontrato il duca di Calabria.
Si tratta di pura
fantasia: in verità dalla Rocca di Solarolo partiva una breve
galleria in direzione Bagnara, ma si trattava semplicemente della
indispensabile uscita di soccorso.
BIBLIOGRAFIA STORICA SOLAROLESE
.Per
conoscere che cosa è stato detto riguardo Solarolo vedere
BIBLIOGRAFIA SOLAROLESE 1993 di Donati Lucio.
In particolare hanno
scritto su Solarolo:
LUCIO DONATI (una
serie infinita di articoli pubblicati in varie riviste specializzate
ed in molti periodici.
DON GIULIO FOSCHINI
( tre volumi , ove ha ricostruito in parte l’archivio storico
solarolese , ed altri scritti riguardanti la nostra comunità)
SGUBBI GIUSEPPE.
Sgubbi: Solarolo
dalla preistoria ad oggi (1977) Waberti
Sgubbi: Storia della
B.V.della Salute (1979) Cartotecnica 2000
Sgubbi:Contributo
sul corso antico del Santerno nel territorio di Solarolo , in
Archeologia tra Senio e Santerno (1983) Arti grafiche Faenza.
Sgubbi: Dalla più
remota antichità all’anno 1000, in Il territorio di Solarolo e le
sue vicende (1992) offset Ragazini.
Sgubbi.Dai primi
abitanti alla colonizzazione romana in Storie per un millennio
1993,Tipografia commerciale –Russi.
Sgubbi: Circe Ulisse
ed Enea in Adriatico?(2000) s.c.a.
Sgubbi: Alla ricerca
del tesoro di Spina nel santuario greco di Delfi (2001) s.c.a.
Sgubbi: alla ricerca
della località Quinto ove nel 536 fù ucciso il re dei Goti
Teodato(2002)
Sgubbi: San Procolo
titolare di Pieve Ponte.c.s.
Sgubbi : Quintario,
duodecimano ed altri aspetti poco noti riguardanti la centuriazione
romana.c.s
TUTTI GLI SCRITTI DI QUESTI AUTORI SONO CONSULTABILI
NELLA BIBLIOTECA COMUNALE DI SOLAROLO, ALCUNI SI TROVANO PURE IN
ALTRE BIBLIOTECHE.
GIUSEPPE SGUBBI VIA BORGO BENNOLI 30
48027
SOLAROLO TEL O546 52616